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Il Presidente: Discorsi

Auguri al Capo dello Stato del Presidente del Senato, alla presenza delle alte cariche dello Stato

Discorso pronunciato a Palazzo del Quirinale

Signor Presidente della Repubblica,

è per me un vero piacere ed un onore formularLe, in occasione delle feste del Santo Natale e di fine anno, gli auguri più sinceri anche a nome del Presidente della Camera, del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Presidente della Corte costituzionale, delle Autorità civili e militari della Repubblica e di tutti i presenti.
Quello che sta per terminare è stato per l'Italia un anno molto significativo. Abbiamo celebrato il 70esimo anniversario dell'entrata in vigore della Costituzione e i 100 anni dall'armistizio di Villa Giusti con il quale si pose fine alla Prima guerra mondiale.
Il 2018 è stato anche l'anno delle elezioni politiche, con un avvio di legislatura che non ha certamente rappresentato un momento ordinario o scontato per le Istituzioni repubblicane, a fronte del quale mi consenta di esprimerle il più vivo ringraziamento per l'equilibrio e la saggezza che hanno contraddistinto il suo operato.
Con la sessione di Bilancio in corso, prendiamo atto di un articolato confronto con l'Unione europea in merito al rispetto dei parametri di bilancio, alla vigilia di quelle elezioni che porteranno tutti i cittadini europei a pronunciarsi sull'Unione e sul suo futuro.

È a mio avviso fondamentale che l'Italia, dove nacque il sogno di Ventotene e dove furono firmati i Trattati di Roma, sappia nell'immediato futuro rispondere a quelle sfide che la storia ci ha consegnato.
Essere un Paese fondatore significa infatti saper far fronte, anche nelle più complicate contingenze politiche, a quegli scatti in avanti di cui le istituzioni comunitarie hanno oggettivamente bisogno. A nessuno sfugge che nel percorso dell'integrazione tra i Paesi membri non sempre tutto ha funzionato al meglio, non tutte le aspettative sono state accolte o esaudite.

I cittadini italiani hanno potuto constatare come, ad esempio, per quanto ha riguardato e riguarda l'emergenza sbarchi, il nostro Paese sia stato lasciato per troppo tempo solo a fronteggiare un fenomeno globale, che come tale andava affrontato sin dall'inizio.
70 anni di progresso, di benessere, di fratellanza, rappresentano però un patrimonio materiale e immateriale che non può e non deve essere né sminuito né dato per acquisito.
Classi dirigenti, forze sociali e cittadini sono tutti chiamati all'onere della proposta, della costruzione. Le occasioni non mancano. Dal bilancio pluriennale dell'Unione alla nuova governance finanziaria, le scelte che l'agenda politica europea esige saranno decisive e determinanti per il percorso che insieme faremo nei prossimi anni.

Così come abbiamo colto in un virtuoso e attento utilizzo dei fondi strutturali una straordinaria opportunità di sviluppo, oltre che di riscatto per le aree del Paese più in difficoltà, allo stesso modo l'Italia ha il diritto-dovere di incidere sulla politica agricola comune, sulla priorità da assegnare all'innovazione e alla ricerca, agli aspetti sociali, educativi, culturali.
Numerose sono le sfide che attendono l'Unione europea nell'immediato futuro.
Anzitutto la necessità di riscoprirsi solida e competitiva per fronteggiare le prove che la globalizzazione impone, sia sotto il profilo delle ricadute occupazionali e sociali, sia rispetto ai rapporti internazionali.

Lo stesso sviluppo dell'Africa, unica vera soluzione per invertire la tendenza di migrazioni incontrollate e incontrollabili, non può evidentemente prescindere da un grande piano di aiuti internazionali che solo i più diretti vicini di casa, gli europei, possono ideare e realizzare.
Il recente attentato di Strasburgo ci ricorda poi drammaticamente la necessità di non abbassare la guardia nei confronti del fanatismo. Tutto ciò sarà realmente possibile solo recuperando la coscienza dell'alto significato morale e spirituale che l'Unione rappresenta; un legame frutto di comuni radici, consolidato da valori e principi condivisi.
La consapevolezza forte della propria identità culturale rappresenta infatti lo strumento unico per la costruzione del futuro.
Per essere forti e credibili in Europa e nel mondo dobbiamo però esserlo, prima di tutto, al nostro interno: è quanto mai indispensabile mettere in campo ogni strumento utile per fronteggiare quella che appare come la prima e più stringente emergenza: il lavoro.
Con una disoccupazione giovanile inaccettabile, soprattutto al sud e in particolare tra le donne, c'è il rischio concreto dell'aumento della sfiducia, della marginalizzazione sociale, delle disuguaglianze.
L'innovazione tecnologica applicata all'industria sta sempre più rapidamente modificando le dinamiche produttive; la quarta rivoluzione industriale pone l'automazione e la robotica in grado di realizzare più prodotti, in meno tempo, con minori costi. Resta però centrale l'uomo, la sua capacità di interazione, la sua intelligenza, la sua professionalità.
Per governare tale processo e non subirne i contraccolpi occupazionali c'è però bisogno di investire nella formazione, nella specializzazione, nelle politiche attive.
Le imprese italiane danno quotidianamente prova di saper stare sul mercato, di essere competitive e innovative.
C'è però bisogno che lo Stato, a tutti i livelli, le sostenga eliminando quegli ostacoli che ne frenano o limitano l'attività, dagli adempimenti burocratici ai pagamenti della Pubblica Amministrazione. È necessario ridurre il peso fiscale del lavoro e realizzare le infrastrutture necessarie, a partire dalle reti tecnologiche.

Questi primi mesi di legislatura ci consegnano un Paese quasi ogni giorno esposto ad una calamità naturale, a causa di una fragilità idrogeologica acuita dai cambiamenti climatici in atto, cui serve porre tempestivamente rimedio;
un Paese che registra una denatalità preoccupante. E allora c'è bisogno di una riflessione approfondita sui veri ostacoli che impediscono alle famiglie italiane di mettere al mondo dei figli.
Dalla mancanza di lavoro per un giovane su tre alla difficoltà di superare una condizione di precarietà contrattuale, dall'assenza di strumenti di conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro all'insufficienza dei servizi pubblici, a partire dall'impossibilità, in tante città italiane, di trovare un posto al nido o alla scuola dell'infanzia.

Qui è a rischio il patto sociale che ha reso possibile il progresso ed il benessere nei decenni;
un Paese che ha bisogno di restituire sicurezza ai cittadini - soprattutto nelle periferie metropolitane -, di dedicare maggiore attenzione alle fragilità: a chi soffre, alle donne vittime di violenze, agli anziani, ai giovani meritevoli costretti a lasciare l'Italia per trovare un'occupazione in linea con i loro studi e le loro capacità.
Il nostro è però anche e soprattutto il Paese degli eroi civili sempre pronti ad intervenire nelle emergenze;
il Paese con un numero altissimo di volontari e associazioni no profit, delle piccole comunità che si auto-sostengono, delle eccellenze nella ricerca scientifica, nella manifattura, nella moda, nell'arte, nella cultura, nell'ingegno;
il Paese leader per siti iscritti nella Lista del Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco, delle tante imprese che creano lavoro e benessere;
il Paese che in tutto il mondo, con le proprie donne e i propri uomini in divisa, porta ogni giorno una speranza di pace nei luoghi più difficili della Terra.
Alle istituzioni, alla politica, a tutti noi, il compito di far prevalere l'Italia migliore.
E' con questo auspicio, Signor Presidente, che le rinnovo i più sentiti auguri da parte di tutte le Istituzioni presenti.



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