International Seminars on planetary emergencies. 46th Session: "The role of science in the third millennium" - Erice, 19-25 agosto 2013
Cari amici,
con grandissimo piacere ho accolto l'invito a prendere parte a questo importante appuntamento scientifico che oggi giunge al ragguardevole traguardo della 46^ edizione. Per prima cosa voglio rivolgere un saluto cordiale e grato agli scienziati giunti da ogni parte del mondo per fornire il proprio contributo d'intelligenza e di impegno al futuro del pianeta e dell'umanità. Ringrazio per l'invito e l'ospitalità la Federazione Mondiale degli Scienziati, il Laboratorio Mondiale ICSC e la Fondazione Ettore Majorana e vorrei esprimere la mia stima personale al Professor Antonino Zichichi, per la competente e appassionata dedizione con cui per decenni ha tenuto alta l'attenzione della scienza, dell'opinione pubblica e della politica sulle emergenze del pianeta, coniugando il rigore scientifico con la capacità di divulgazione.
Oggi intervengo pervaso da questo spirito, dalla necessità di una grande alleanza tra scienza e politica. Lo stesso spirito manifestato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che da molti anni segue con vivo interesse i vostri lavori e che come me appoggia il progetto del World Federation Scientists della costruzione di un Centro Internazionale di studi esclusivamente impegnato ad unificare Scienza Tecnologia e Cultura ed a fornire al potere politico gli elementi per rispondere alle emergenze planetarie.
Mi piace pensare a quest'appuntamento annuale, che si svolge nella mia Sicilia, nella meravigliosa cornice di Erice, come ad un ideale punto di congiunzione tra due mondi, quello della scienza e quello della politica. Condivido, quindi, in pieno il tema posto dal Professor Zichichi circa la necessità di una grande alleanza fra politica e scienza. Ma oggi vorrei proporre di "girare una sedia" a questo nostro tavolo anche a un altro convitato: l'etica, nella sua doppia dimensione di scienza dell'uomo e di scienza per l'uomo. Dall'etica bisogna partire per individuare le coordinate di scienza e politica, discipline che con metodi diversi s'incaricano entrambe di tracciare rotte percorribili sulla medesima mappa, il futuro del genere umano. Ma se la scienza muove da punti solidi, cardinali - la ricerca della conoscenza - la politica ha per sua natura una geografia più incerta e variabile, perché è luogo di scelte discrezionali, ed è dunque compito dell'etica spostare le strategie della politica dalla parte della scienza per perseguire il futuro del pianeta, il benessere e i diritti fondamentali dei cittadini.
Questi incontri sono nati in un periodo in cui incombeva la Guerra Fredda e l'incubo della catastrofe nucleare, e hanno visto la nascita di quel Manifesto di Erice del 1982 che ha contribuito a superare l'incubo atomico. Per questo mi piace ricordare in apertura alcuni brevi passaggi da un carteggio del 1932 - sollecitato dall'"Istituto Internazionale di cooperazione intellettuale" - tra due grandi pensatori del secolo scorso e che proprio di politica, guerra, scienza ed etica andavano a trattare nelle loro lettere.
Scriveva Einstein a Freud:"[ho] la gradita occasione di dialogare con Lei circa una domanda che appare, nella presente condizione del mondo, la più urgente fra tutte quelle che si pongono alla civiltà. La domanda è: C'è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? [...]
Penso anche che coloro, cui spetta affrontare il problema professionalmente e praticamente, divengano di giorno in giorno più consapevoli della loro impotenza in proposito, e abbiano oggi un vivo desiderio di conoscere le opinioni di persone assorbite dalla ricerca scientifica, le quali per ciò stesso siano in grado di osservare i problemi del mondo con sufficiente distacco."
Freud rispose:"Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all'antagonista di questa pulsione: l'Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra. Questi legami possono essere di due tipi. In primo luogo relazioni che pur essendo prive di meta sessuale assomiglino a quelle che si hanno con un oggetto d'amore. La psicoanalisi non ha bisogno di vergognarsi se qui parla di amore, perché la religione dice la stessa cosa: "ama il prossimo tuo come te stesso".
Ora, questo è un precetto facile da esigere, ma difficile da attuare. L'altro tipo di legame emotivo è quello per identificazione. Tutto ciò che provoca solidarietà significative tra gli uomini risveglia sentimenti comuni di questo genere, le identificazioni. Su di esse riposa in buona parte l'assetto della società umana."
Proseguendo: "Orbene, poiché la guerra contraddice nel modo più stridente a tutto l'atteggiamento psichico che ci è imposto dal processo civile, dobbiamo necessariamente ribellarci contro di essa: [...] non si tratta soltanto di un rifiuto intellettuale e affettivo, per noi pacifisti si tratta di un'intolleranza costituzionale [...].
Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti?[...] Nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che promuove l'evoluzione civile lavora anche contro la guerra."
Bene, tutti noi oggi siamo qui proprio per "promuovere l'evoluzione civile". La scienza ė il propulsore di pace più efficace che esista al mondo.
Come saprete sono approdato alla politica solo da pochi mesi, dopo avere trascorso 43 anni in magistratura; e mi sono subito reso conto che il primo dovere della politica, della buona politica, particolarmente in tempi di crisi, è quello di coltivare il pensiero strategico. Dobbiamo sapere guardare ai grandi temi del Paese e del genere umano con una visione prospettica, slegata dalla quotidianità, dagli interessi di parte e dai limiti temporali dei mandati elettivi, per pianificare la riforma delle istituzioni, creare il sostrato strutturale per il progresso e superare la grave crisi di legittimazione, fiducia ed etica che attraversa la politica, e non solo in questo Paese.
Le emergenze planetarie che verranno trattate in questo seminario dovranno divenire una componente essenziale e e prioritaria dell'agenda politica di ciascun Paese e dell'intera comunità internazionale.
La costanza con cui la Federazione Mondiale degli Scienziati ha trattato queste tematiche ha posto le premesse affinché la disponibilità al confronto tra il mondo istituzionale e quello scientifico si consolidasse. Spesso siamo portati a distinguere la cultura scientifica da quella umanistica, le conoscenze tecniche dalle scelte valoriali. Al contrario, la capacità di abbattere le barriere e le contrapposizioni che molto spesso appaiono tra politica e scienza rappresenta una sfida prioritaria per dare concretezza ai progetti nati dal pensiero scientifico; e anche per restituire alla nostra democrazia rappresentativa parte di quella credibilità, che oggi appare compromessa. La politica, come la scienza, è una dimensione al servizio dei bisogni sociali, che trova il proprio obiettivo ultimo nella difesa della qualità della vita. Per risolvere le emergenze che minacciano il pianeta, la politica deve imparare a raccogliere le migliori risorse in campo e utilizzarle con il rigore del metodo scientifico, svincolata da precognizioni e conflitti d'interessi. Una scienza trasparente al servizio di una decisione libera. Questa è la sfida che siamo chiamati ad affrontare.
Il dibattito di oggi prende le mosse da due variabili che s'intrecciano e vengono spesso trascurate dal dibattito pubblico: la crescita esponenziale di nuove vulnerabilità che non avevano finora raggiunto il livello di emergenza; e una deriva oligarchica di gestione delle emergenze a fronte della quale l'attuale articolazione delle forme della democrazia non sembra in grado di proporre risposte efficaci.
Il rischio è che la comunità scientifica slitti verso posizioni isolate e solitarie. D'altro canto dovere dei politici deve essere invece avvicinare la comunità scientifica all'esercizio del potere pubblico per costruire insieme le politiche del futuro. Una risorsa sociale da valorizzare per chi ha a cuore le sorti della democrazia.
Per farlo è necessario anche un forte rinnovamento nei percorsi partecipativi, come dimostrano alcune esperienze nell'area del welfare, dell'ambiente e dell'urbanistica dove, nell'affrontare un argomento che impatti l'intera società, si è avuto il coraggio di ascoltare e considerare il pensiero di tutti: cittadini, esperti e associazioni.
Gli obiettivi sono molteplici: mappare le esperienze che stanno muovendosi per fronteggiare in modo attivo le nuove emergenze planetarie, connetterle e costruire, a partire da queste connessioni, nuove ipotesi di lavoro. Ma anche promuovere l'avvio di percorsi in grado di fronteggiare queste nuove criticità attraverso lo sviluppo di progetti partecipati in grado di arricchire e articolare le attuali forme della democrazia. E' questo un impegno che ciascun politico deve personalmente assumere anche a livello locale. Scienza e politica, insieme, una volta definito un problema e la sua soluzione, devono abituarsi a coinvolgere i cittadini nei processi di decisione e di attuazione di qualsiasi applicazione tecnologica.
Oggi non si può più ritenere di realizzare una grande opera infrastrutturale, frutto di applicazione scientifico-tecnologica, senza prima valutarne insieme a tutte le componenti interessate l'impatto ambientale e sociale, anche per evitare situazioni di conflitto, a volte lungo anni, con ripercussioni sotto il profilo dell'ordine pubblico. In Italia gli esempi della TAV, della TAP e del MUOS in questo sono emblematici. Forse era possibile arrivare a soluzioni diverse con un approccio diverso: qualsiasi applicazione tecnologica deve quindi essere preventivamente affiancata da valutazioni di ordine politico, economico, culturale e sociale.
Le precedenti edizioni di questo appuntamento annuale hanno messo alla prova alcuni dei luoghi comuni che normalmente accompagnano il nostro modo di percepire le emergenze ambientali e di regolarne, in chiave normativa, le manifestazioni. Ci hanno invitato a non disperdere energie verso falsi problemi, che voi indicate ad esempio nell'effetto serra e nell'anidride carbonica, reindirizzandole verso quelle emergenze che, in molte parti del mondo, potrebbero essere affrontate con minore dispendio di risorse. Quest'appello al pragmatismo rappresenta un primo e fondamentale tassello per una nuova politica delle emergenze planetarie che intenda passare dall'ideologia e dalla demagogia ai fatti mettendo da parte emotività e facili convinzioni. Un approccio maturo alla regolazione di questi fenomeni impone innanzitutto un'attenta selezione delle priorità fondata sulla conoscenza, e soprattutto sul pluralismo nella conoscenza. Sono due le riflessioni che dall'impostazione che da decenni permea questo appuntamento dovrebbero trasferirsi al mondo della politica, nazionale e globale. La prima è che è arrivato il momento che chi ha in mano le leve decisionali passi dalla formale dichiarazione di condivisione delle emergenze planetarie alla destinazione di risorse materiali ed umane per affrontarle e, possibilmente, risolverle. La seconda è che tali risorse non vadano sprecate in base alle onde emotive del momento o ad interessi particolari ed economici. Per questo la realizzazione dei numerosi progetti-pilota in corso in 60 laboratori di 38 nazioni ci deve portare ad avere una precisa direzione politica. Tali progetti, non ispirati da alcun particolare interesse, devono costituire fonti di certezza per la politica, in modo da non sprecare finanziamenti destinati a finte emergenze che distolgono da quelle vere, da voi identificate in 71 diverse, raggruppate in 15 classi.
Ne voglio citare qualcuna.
L'Acqua: le sorgenti continuano a diminuire mentre la distribuzione di quella esistente presenta pericoli d'inquinamento. Si dice che sarà l'acqua la risorsa scarsa per cui si combatterà in futuro, che sarà alla radice delle guerre dei prossimi decenni. Sono molti i fronti di studio, dalla protezione delle risorse naturali alla ricerca di nuove fonti, dalla desalinizzazione al risparmio che può partire da ciascuno di noi.
L'Energia: un bene indispensabile per far girare il mondo. Al momento 1 miliardo di privilegiati, tra cui noi, utilizza risorse pressoché illimitate e ancora tendenzialmente a basso costo. Ma cosa succederà quando gli altri 6 miliardi di persone chiederanno, con pieno diritto, di consumare la nostra stessa energia pro-capite?
La Vita: l'uomo geneticamente è programmato per vivere in media cento anni. Presto si arriverà a questo traguardo, dal momento che la scienza ha scoperto che le cause di invecchiamento sono frutto di errori che potranno essere evitati dall'analisi individuale del DNA. Si pensi come in tale evenienza vada riorganizzata la vita lavorativa e sociale della comunità mondiale. Adesso si va in pensione, almeno in Italia, in media intorno ai 65 anni: si può continuare a pensare agli anziani in termini improduttivi e solo assistenziali? O dovremmo già da ora ripensare il ciclo della vita di ciascuno in modo sostenibile e in modo da non disperdere energie, idee, risorse, esperienze ancora in grado di dare molto alla società?
La Guerra: quando questi incontri ebbero inizio il mondo viveva l'incubo della guerra fredda e dei disastri che avrebbero potuto provocare le bombe H stipate negli arsenali delle maggiori potenze. Oggi quel tipo di guerra, ancora possibile, appare improbabile, ma sono tante le minacce alla sicurezza internazionale, dal terrorismo alla guerra cibernetica. Occorrerebbe, pertanto, investire in sicurezza soprattutto in quella parte della cibernetica che attraverso sofisticati sistemi hardware e software sovrintende alla distribuzione dell'acqua e dell'energia. Un attacco cibernetico potrebbe paralizzare interi Paesi o gettare nel caos affollate metropoli. Sempre in tema di guerra: il prodigioso sviluppo della tecnologia è stato reso possibile dagli enormi finanziamenti per studi e ricerche a fini bellici. Perché le stesse risorse non sono oggi destinate dal potere politico al superamento delle emergenze planetarie?
L'Ambiente: è forse il tema principale, che comprende l'inquinamento, l'acqua, l'energia, i limiti dello sviluppo, il cibo, i cambiamenti climatici, il suolo, il problema della desertificazione, la difesa dai disastri e dalle catastrofi.
L'inquinamento culturale: questo forse è uno dei problemi che la politica potrebbe affrontare a partire da oggi stesso. Quante volte e in quanti modi, per interessi di parte, noi politici contribuiamo a confondere invece che a chiarire? A prendere la parte più comoda invece che quella più giusta? A dar voce alle paure, elettoralmente più convenienti, che alle speranze? Ancora più banalmente: quante volte ciascuno di voi ha trovato dall'altra parte della scrivania politici incapaci di guardare oltre il limite della prossima campagna elettorale?
I problemi che la comunità scientifica pone alla politica, nell'interesse collettivo, hanno bisogno di persone in grado di saper guardare alle prossime generazioni, non alle prossime elezioni !!! Il risultato di questa mancanza è, purtroppo, sotto gli occhi di tutti.
Vi è poi il problema della ricerca delle soluzioni normative, ancora oggi troppo spesso dipendente dalla ponderazione d'interessi di parte, soprattutto economici. Offrire risposte concrete alle emergenze del globo significa innanzitutto considerare prioritaria, come già detto, la questione etica nell'esercizio del potere e promuovere quei metodi di produzione normativa fondati sulla valutazione costi-benefici e sull'analisi dell'impatto della regolamentazione, che consentono di individuare le alternative più efficaci ed efficienti.
La maggior parte delle emergenze planetarie da voi scienziati individuate ha una dimensione genuinamente globale che richiede risposte di carattere internazionale coordinate fra gli Stati.
L'Italia deve continuare a farsi portavoce di queste istanze nelle varie sedi istituzionali internazionali, impegnandosi affinché l'Unione Europea che, per estensione geografica, omogeneità di approcci politici ed efficacia giuridica degli strumenti di intervento, si rivela strategica nella politica delle emergenze planetarie, possa consolidare un ruolo di leader mondiale nella salvaguardia del globo dalle minacce che ne mettono a rischio la sopravvivenza.
Il successo di questa sfida dipende anche dalla capacità di considerare la scienza e la conoscenza come una priorità nell'agenda di governo. Nei momenti di crisi più che mai la politica deve investire nella ricerca. L'ignoranza e l'indifferenza sono atavici mali dell'umanità. Ma sono perfettamente curabili. Bisogna intraprendere una battaglia culturale che coinvolga la scuola, la formazione e la comunicazione a sostegno della cultura scientifica. L'educazione alla sostenibilità ambientale fin dalla prima infanzia, la sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle minacce planetarie, il radicamento di una nuova cultura della produzione che sappia vedere nel rispetto degli equilibri del globo una risorsa vincente, costituiscono un'autentica priorità nel cammino verso il radicamento di un nuovo approccio al tema.
I numeri ci dicono che sono ancora pochi, in percentuale, gli studenti che, soprattutto in Italia, si dedicano alle materie scientifiche, e molti tra questi hanno poche possibilità di crescita e di accesso a laboratori e centri di alta specializzazione: mobilità degli studenti, dei ricercatori e dei docenti, internazionalizzazione delle università e degli istituti di ricerca, cooperazione culturale e scientifica tra enti e imprese. La fuga dei cervelli è senza ritorno, le politiche di rientro sono carenti e frustranti. Sono questi gli obiettivi strumentali di medio termine, destinati a creare fra i nostri giovani una coscienza comune basata sui valori scientifici indispensabili ad affrontare le problematiche attuali e a gestire le minacce planetarie future con determinazione e tempestività.
In questo il ruolo della scuola e dei mezzi d'informazione non può che essere centrale. Occorre catturare attraverso i media l'attenzione dell'opinione pubblica sulle emergenze planetarie, la quale potrà agire da centro propulsore dell'azione politica. La potenza dei media è cresciuta in maniera inversamente proporzionale alla loro qualità. Non per caso, come abbiamo detto, l'inquinamento culturale è compreso tra le emergenze planetarie. Ma anche su quest'aspetto sono ottimista: una nuova sensibilità sta nascendo nelle giovani generazioni, merito anche delle possibilità di accesso date dalla rete, che ha cambiato e continuerà a cambiare in positivo sia il mondo della scienza che quello della politica.
Faccio due esempi: in tema scientifico è dal 1982 che con il Manifesto di Erice la comunità scientifica riunita in questo luogo ha promosso una "scienza senza segreti", sia in ambito civile che militare. Una visione coraggiosa e pioniera. La rete permette di andare ancora oltre: suscitò molto scalpore, nel 2006, la decisione di una ricercatrice italiana, Ilaria Capua, di pubblicare "on line" la sequenza genetica del primo ceppo africano di influenza H5N1 in un database ad accesso libero e non limitato, prendendo una posizione netta sulla necessità della trasparenza dei dati soprattutto in materia di piani prepandemici. Questo ci porta a considerare gli aspetti positivi che il progresso dell'informazione telematica rende alla scienza: la socializzazione del patrimonio di conoscenze tra gli scienziati e la possibilità di lavorare agli stessi progetti di ricerca, pur rimanendo in parti lontane del mondo, è una conquista che ha cambiato il volto della ricerca scientifica. Le grandi conquiste della scienza possono ora essere messe immediatamente nella disponibilità di tutti.
In tema politico è indubitabile quanto la rete stia allargando le possibilità di partecipazione e di influenza dei cittadini nella vita politica. L'elezione di Barack Obama ne è stato uno dei primi esempi importanti, ma non possiamo dimenticare l'importanza dei social network in tutti i movimenti di protesta e di opinione degli ultimi anni, dall'Italia ai Paesi interessati dalla Primavera araba.
In questo senso mi piace fare mie le parole di Enrico Fermi sulla professione del ricercatore, che "deve tornare alla sua tradizione di ricerca per l'amore di scoprire nuove verità. Poiché in tutte le direzioni siamo circondati dall'ignoto e la vocazione dell'uomo di scienza è di spostare in avanti le frontiere della nostra conoscenza in tutte le direzioni, non solo in quelle che promettono più immediati compensi o applausi". Così come mi piace estendere tali parole alla professione del politico, che deve allo stesso modo spostare in avanti le frontiere delle proprie idee e delle proprie convinzioni, cercando non solo immediati consensi, ma anche, e soprattutto, soluzioni valide e visioni lungimiranti. Non bisogna mai trascurare che al centro di tutto c'è sempre l'uomo, che invece di usare la scienza per vivere meglio, la rivolge contro se stesso o i propri simili, tradendo i valori a cui la scienza si è sempre ispirata: amore verso l'universo e rispetto per la vita e la dignità dei cittadini.
Con questo spirito, nel mio ruolo di Presidente del Senato, non esiterò a battermi affinché il Senato della Repubblica sappia sentirsi parte di questa sfida, utilizzando tutti i poteri e le funzioni a sua disposizione, dalla legislazione al controllo sull'operato del Governo, dall'acquisizione di dati ed informazioni alle inchieste legislative, perché le emergenze planetarie siano considerate adeguatamente, in un confronto costruttivo e trasparente, perché è questa la più bella battaglia di civiltà che si possa immaginare.
Mi auguro che a quest'obiettivo sapremo giungere anche attraverso la rinnovata alleanza tra la politica e la scienza che gli appuntamenti ericini hanno sempre invocato. Essere buoni alleati non significa confondere i ruoli. Significa imparare a condividere risorse e capacità per perseguire con forza e determinazione progetti comuni. Acquisire come bene comune i risultati di una "Scienza senza segreti e senza frontiere" e passare dall'emozione al progetto attraverso una ferma volontà politica: un'utopia che può divenire realtà.
L'utopia ha una sua forza inarrestabile nella misura in cui qualcuno, difendendo le proprie idee anche fino alla morte, dimostra che il cambiamento è possibile. Galilei, Copernico, Newton, Fermi, Einstein e tanti altri, pur considerati degli eretici dai loro contemporanei, son riusciti a far progredire l'umanità.
Speriamo che le utopie del terzo millennio, pur nella generale incredulità, possano realizzarsi e contribuire al progresso del mondo. E' questo l'auspicio che oggi vorrei affidarvi, nella convinzione che l'entità dei valori in gioco ci renderà straordinariamente coraggiosi nel perseguire gli obiettivi.
Auguro quindi buon lavoro ai 124 scienziati che, nel corso dei seminari, si potranno aggiornare e confrontare sui progressi compiuti nell'attuazione degli oltre 100 progetti di ricerca in corso nei 60 laboratori di 38 nazioni.