«Questa é una città ferita. Ora la Giustizia contro la barbarie»
di Marco Romano
«Chi ha visto qualcosa collabori con gli investigatori e faccia la propria parte per individuare gli assassini. Il mio è un accorato appello che rivolgo alla città». Quella città che il presidente del Senato Renato Schifani dice adesso di non riconoscere: «Io amo profondamente Palermo, continuo a viverla nonostante i molteplici impegni istituzionali, la sento parte di me stesso. Ed è un amore indissolubile»
Perchè allora dice che questa non è la sua città?
«L'omicidio di Fragalà costituisce una ferita al cuore della Palermo serena, malata sì di quel bubbone che si chiama criminalità organizzata, ma al quale ha sempre contrapposto una forte resistenza sociale ed etica».
Nell'immaginario collettivo, però, Palermo non viene certo definita una «città serena»...
«Episodi così efferati a mia memoria non fanno parte della violenza criminale che la nostra città ha mai manifestato, fatta eccezione, naturalmente per le grandi stragi e i delitti di mafia. Una violenza umana di livello bestiale che rimarrà indelebile, almeno finchè non saranno stati scoperti i malfattori. Fino ad allora, sarà una città ferita».
Si è fatto un'idea di cosa può esserci dietro ad un gesto di tale violenza?
«Credo si tratti di una rabbiosa lezione che qualcuno ha voluto infliggere al povero Enzo, con rabbia e volontà di uccidere. Una vendetta, forse, che voleva essere quanto più eclatante possibile. Farlo morire facendolo soffrire a lungo. E questo naturalmente non esclude, ma è solo il mio personale parere, la matrice mafiosa, un gesto di reazione contro chi ha magari offeso qualche personaggio con la p maiuscola».
Che ricordi ha del povero Fragalà?
«A lui mi legavano tante cose. Abbiamo iniziato a fare gli avvocati contemporaneamente frequentando il tribunale insieme, lui penalista rampante, io civilista. Poi i primi passi in politica insieme al comune amico Nino Lo Presti, un percorso parallelo di grande sintonia, amicizia, affetto e condivisione dei valori della legalità, del garantismo e di una visione liberaldemocratica del nostro Paese. Enzo era una persona positiva, leale, che affrontava tutto con grande trasparenza e forza etica e professionale. Questa perdita lascia in me un vuoto più personale che politico».
Il procuratore generale Croce parla di ritorno ai tempi bui della Palermo degli anni Novanta, il procuratore capo Messineo dice addirittura che questo è un passo indietro anche rispetto a quegli anni. Condivide?
«Di certo non è un bel momento per questa città, estremamente buio e pieno di nebbie. Confido sull'impegno del procuratore Messineo, ottimo magistrato e inquirente, affinchè si assicurino alla giustizia gli assassini. Ma la città saprà reagire, stringendosi alla famiglia Fragalà. Io nonostante la contrarietà di molti, ho voluto vedere la salma del povero Enzo e mi sono reso conto della ferocia inaudita, inspiegabile e orrenda di chi lo ha voluto uccidere. Non dimenticherò mai quello che ho visto».
Gli avvocati ora hanno paura. Lo Presti ha perfino invocato per loro il porto d'armi...
«Comprendo il suo stato d'animo. Ma bisogna avere fiducia nelle istituzioni e negli inquirenti. Così come sento di manifestare la mia profonda solidarietà ai colleghi palermitani che stanno vivendo questo terribile momento. A loro resto profondamente legato, costituiscono ancora oggi la mia famiglia»."