In ricordo di Giuseppe Saragat
Dal resoconto stenografico della seduta n. 17 »
PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l'Assemblea). Onorevoli colleghi, sono trascorsi venti anni da quando, l'11 giugno 1988, veniva a mancare Giuseppe Saragat, quinto Presidente della Repubblica italiana, già Presidente dell'Assemblea costituente, padre nobile della socialdemocrazia italiana.
Nato il 19 settembre 1898 a Torino, Saragat rappresenta una personalità di straordinaria vitalità intellettuale, capace di dirigere e guidare un partito, fino quasi a immedesimarsi completamente in esso, trasformarne le strutture portanti e determinarne le linee guida in un tempo lungo e difficile.
La genesi e la storia del Partito socialdemocratico affondano le radici nel suo inesausto tentativo di riunificare le correnti del socialismo italiano prima e durante l'esilio che segue i primi anni di militanza nel Partito socialista unitario di Turati e Matteotti, cui si iscrive nel 1922, appena dopo la scissione di ottobre, accedendo alla direzione del partito, a soli 27 anni, nel 1925.
La sua formazione culturale - lo ricordava il presidente Spadolini nella commemorazione tenuta in Senato il 14 giugno del 1988 - si fonda su influenze nobili e composite: Turati e Treves, Croce ed Einaudi.
La decisiva esperienza dell'espatrio tra il 1926 e il 1943 e poi della Resistenza contribuisce allo sviluppo del suo modo di intendere il socialismo in chiave umanitaria e riformista - riformista intransigente, si vorrebbe dire - e lascerà segni durevoli nella sua concezione dell'Europa, delle fasi storiche dello sviluppo del continente, ma anche in una visione politica al tempo stesso equilibrata ed idealista, riassumibile nella frase per cui «non si può e non si deve rinunciare alla soluzione di un problema, solo perché questo ne pone altri parimenti difficili (...) ogni età e fase della storia pongono problemi solubili per il fatto stesso che la coscienza degli uomini li ha creati e fatti propri.
Il rientro in Italia, cui seguono i mesi concitati dell'arresto, l'evasione e poi l'attivismo politico clandestino nel Partito socialista italiano di unità proletaria, costituisce il preludio di quella straordinaria carriera politica vissuta ed intesa sempre come proiezione costruttiva nella vita delle istituzioni democratiche. Percorso ricco, attraversato da suggestioni variegate e da un intarsio di esperienze che lo vedono prima ministro senza portafoglio nel II Governo Bonomi, nel 1944, poi anche ambasciatore d'Italia a Parigi, l'anno successivo.
Il 26 giugno del 1946 è eletto Presidente dell'Assemblea costituente e conduce in modo esemplare tutta la prima fase della legislatura costituente, quella comunemente ribattezzata dell'unità nazionale, che contribuirà in modo determinante a gettare il seme fertile per il compimento dell'opera di redazione della Carta costituzionale. In qualità di Presidente, Giuseppe Saragat svolge un delicato e paziente ruolo di mediazione tra le varie anime già emerse in seno alla Commissione dei Settantacinque, poi condotte ad ammirevole concordia e sinergia nell'ultima parte dei lavori dell'Assemblea, sotto la guida di Umberto Terracini.
Nel pieno di quell'esperienza ricca, stimolante, sempre votata alla composizione dei dissensi in una prospettiva di fruttuosa collaborazione, pur nel riconoscimento delle reciproche differenze, anche nello stesso campo socialista, Giuseppe Saragat si trova di fronte ad un momento cruciale della storia politica del Paese, quando si rompe l'accordo tra la Democrazia cristiana ed i Partiti socialista e comunista.
La sua contrarietà alla convergenza tra il Partito comunista ed il Partito socialista lo conduce, il 6 febbraio 1947, alle dimissioni da Presidente dell'Assemblea Costituente e alla scissione socialdemocratica di palazzo Barberini, che chiude definitivamente la fase dell'unità nazionale e prelude alla nascita di un nuovo soggetto politico: il Partito socialista dei lavoratori italiani.
È questo uno snodo cruciale, in cui si intravedono i paradigmi di una sensibilità altissima, completata dalla piena consapevolezza di un'azione capace di conciliare i diversi livelli della vita del Paese, la strategia politica lungimirante, la salvaguardia e la salute delle istituzioni repubblicane proprio nel momento della nascita e poi del loro delicato e progressivo consolidamento. Infine, e soprattutto, la forza delle idee e la tenacia di quella dottrina socialdemocratica, europeista, umanitaria, liberale, atlantista che costituirà una delle matrici nobili che innerveranno di sé più di quattro decenni della vita culturale e politica del Paese.
Sono queste le suggestioni che conducono Giuseppe Saragat alla fondazione, nel 1951, del Partito socialdemocratico italiano, del quale sarà guida risoluta attraverso le perigliose acque delle diverse fasi del centrismo prima e del centrosinistra poi.
Egli sa farsi equilibrato interprete e protagonista di una posizione progressista e riformista nel panorama delle forze politiche nazionali, costruendo per il Partito socialdemocratico il ruolo di potenziale baricentro per un quindicennio, dal 1950 al 1964. Ed il peso del partito di Saragat è invero decisivo durante la ricostruzione centrista, in forza del suo fecondo rapporto dialettico con Alcide De Gasperi e poi, nella fase successiva, con Aldo Moro.
Le nomine a ministro nei Governi degli anni Cinquanta e poi, via via, negli anni del centrosinistra segnano il progredire di un cursus honorum da cui origina il suo settennato da Capo dello Stato, che si apre con l'elezione avvenuta nel 1964, al ventunesimo scrutinio, e si chiuderà nel 1971.
La straordinaria attualità della figura politica di Giuseppe Saragat vive nella visione dell'Europa, illustrata nel discorso di insediamento avanti al Parlamento in seduta comune, in cui egli ha ad affermare che «la costruzione di un'Europa democratica, economicamente e politicamente integrata, è un potente fattore di pace».
E ancora, è doveroso soffermarsi sull'afflato straordinario con cui Saragat guarda alla Carta costituzionale democratica e pluralista - che con coraggio aveva contribuito a far nascere - quando ricorda, in un momento così delicato e complesso dell'attuazione dei suoi istituti «che non vi è priorità nella realizzazione dei dettati della Costituzione, tutti da attuarsi in armonico sviluppo, in rapporto ai mezzi disponibili».
Il ruolo del Capo dello Stato, custode della Costituzione, si colora con Giuseppe Saragat di quel tratto di umanesimo che lo rende - sono le sue stesse parole nel messaggio agli italiani del dicembre del 1964 - «Presidente al di sopra dei partiti e un sereno moderatore dei contrasti che la vita del Paese sprigiona nel suo sviluppo».
Con il 1971 ha termine un settennato in cui egli ha interpretato in modo rigoroso e sensibile il ruolo della più alta magistratura della Repubblica.
Siede quindi in questa Assemblea come senatore di diritto e a vita in modo esemplare, declinando sempre la forza dei propri valori - patria, libertà, umanità - anche nei momenti più oscuri e difficili vissuti dalle istituzioni repubblicane, attaccate dal terrorismo, dalla violenza, da - e sono ancora parole di Giovanni Spadolini - «i mostri e i deliri» del secolo scorso.
La sua acclamazione a presidente del Partito socialdemocratico italiano, il 29 luglio del 1975, rappresenta, insieme con il ritorno all'impegno politico attivo, il mirabile coronamento di una vita costantemente percorsa da coerenza ed alta idealità e da una spiccata capacità di leggere con passione i complessi sommovimenti della società italiana e le dinamiche del mondo dei lavoratori.
Onorevoli colleghi, certo di interpretare i sentimenti di tutta l'Assemblea, nel rivolgere un pensiero deferente alla figura di Giuseppe Saragat, ricordo le parole pronunziate nel 1925 da lui giovane; esse valgono forse oggi ancor più di allora: «La libertà è la premessa indispensabile di qualsiasi lotta politica e civile. La libertà è l'atmosfera nella quale le altre idee vivono e in relazione alla loro vitalità isteriliscono o si sviluppano. È l'atmosfera nella quale si vincono le battaglie dello spirito moderno». (Vivi, generali applausi).