Presentazione del volume "Lavoro, diritti, democrazia. In difesa della Costituzione" in occasione della commemorazione di Massimo d'Antona
Autorità, Signore e Signori,
è con viva commozione che sono qui oggi a commemorare Massimo D'Antona, vilmente ucciso a 51 anni il 20 maggio 1999 in via Salaria a Roma dalle Nuove Brigate Rosse.
Rivolgo innanzitutto un saluto affettuoso alla moglie Olga e alla figlia Valentina.
Il brutale assassinio di D'Antona, avvenuto undici anni dopo quello di Roberto Ruffilli, dava inizio ad una nuova fase del terrorismo tesa a colpire uomini di grande levatura morale e professionale determinanti per la stagione a venire, e impedire così quel processo di cambiamento che si intendeva avviare nel mondo del lavoro.
Insieme a Ezio Tarantelli e a Marco Biagi, Massimo D'Antona apparteneva infatti alla scuola prestigiosa dei grandi studiosi italiani impegnati nelle Istituzioni, che hanno pagato con la vita il proprio impegno per realizzare una compiuta riforma del mercato del lavoro ed una effettiva tutela dei diritti dentro la cornice della solidarietà e responsabilità dei comportamenti e delle scelte individuali.
Convinto sostenitore della "linea costituzionale", e cioè dell'idea che nella stessa Costituzione risiedono i principi fondanti dei diritti dei lavoratori, D'Antona si formò alla scuola della Consulta giuridica di CGIL, di cui faceva parte, e della "Rivista giuridica del lavoro".
Allievo di Renato Scognamiglio, D'Antona aveva insegnato Diritto del Lavoro anche all'Università La Sapienza di Roma, proprio nello stesso dipartimento che fu di Moro e Bachelet.
Vi è un filo rosso che unisce le storie dei testimoni della nostra Italia, che vissero la loro umanità come servizio per gli altri e con generosità interpretarono la loro libertà come strumento per la libertà di tutti e per la democrazia dell'intera comunità.
Fra i fondatori della rivista "Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni", D'Antona ha lasciato il segno delle proprie idee e del proprio pensiero in moltissimi articoli, monografie, appunti. Proprio oggi in Senato ne viene presentata una sapiente selezione curata da Paolo Nerozzi dal titolo " Lavoro, diritti, democrazia".
Uomo mite e ironico, raffinato giurista e professore preparato, D'Antona seguiva con attenzione il mondo accademico e le istanze provenienti dai giovani.
Si considerava verso i giovani quasi in un debito ideale, come se il loro destino non fosse in alcun modo separato dall'impegno e dalla generosità umana, culturale e intellettuale dei loro padri. La vera innovazione era per lui la garanzia e non un limite per la loro crescita e la loro realizzazione.
Si impegnava al servizio delle Istituzioni ricoprendo numerosi, importanti e delicati incarichi prevalentemente presso il Ministero del Lavoro e quello dei Trasporti. Di questo ultimo fu anche Sottosegretario.
Definito "il vero stratega del Patto sociale", del nuovo accordo cioè fra governo, imprese e sindacati per il rilancio dell'occupazione, insieme a Tiziano Treu aveva creato nuove regole sul complesso tema dello sciopero nei servizi pubblici.
D'Antona è stato uno dei padri della Riforma del pubblico impiego, ultimata due anni dopo la sua morte, con l'emanazione del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sull'ordinamento del lavoro nelle amministrazioni pubbliche.
Sosteneva con forza l'effettività del processo di privatizzazione del pubblico impiego, anticipando le necessità che sarebbero emerse negli anni successivi di fronte alle sfide del "mercato globale" e della competitività a livello mondiale.
Affermava che si era dato rilievo eccessivo al mercato rispetto ai diritti sociali, contrariamente a quanto contenuto nella nostra Costituzione.
Con grande lucidità e lungimiranza guardava al futuro e ai cambiamenti negli assetti mondiali che avrebbero mutato definitivamente gli scenari del mondo lavorativo.
Affermava infatti : " L'idea europea è superare il welfare risarcitorio e puntare a migliorare le chances delle persone nel mercato del lavoro.. in primo luogo, ma non solo, delle persone giovani, anche sostenendone il reddito e alleggerendo così la famiglia da una funzione redistributiva che, oltretutto, assegna alla stabilità dell'occupazione del capofamiglia un valore abnorme"....
Pensiero, questo, ancor oggi di grande attualità.
Non si può più difendere ad ogni costo il posto di lavoro - sosteneva ancora - ma occorre arrivare a una maggiore attenzione alla figura del lavoratore e alle sue possibilità concrete.
Il diritto al lavoro non è circoscritto alla mera occupazione, ma è "un diritto della persona", che non comporta né la certezza di avere un lavoro grazie all'intervento dello Stato, né in virtù di un regime di stabilità. Esso consiste invece nelle "garanzie di uguaglianza delle persone rispetto al lavoro disponibile".
Sono molti gli spunti di interesse e di modernità del suo pensiero che ritroviamo anche nel libro presentato oggi.
La "crisi di identità" del diritto del lavoro, a seguito della globalizzazione rendeva urgente ripensare a "un diritto del lavoro diverso" proiettato in una dimensione sovranazionale, capace di tutelare le nuove figure lavorative e non solo gli occupati stabili e subordinati, in grado di guardare al lavoratore come persona e non solo astrattamente.
D'Antona si spingeva oltre, immaginando, ad esempio un diverso ordine pubblico internazionale fra mercato, Stato e comunità; affermando la necessità di abbandonare regole anacronistiche per potere competere a pieno titolo e in posizione di vera eguaglianza nel mercato del lavoro dell'Unione Europea.
Sono riflessioni che rivestono grande attualità e che contribuiscono ad individuare quelle soluzioni innovative idonee a ridare slancio e competitività all'economia italiana ed europea.
Ezio Tarantelli, Marco Biagi, Massimo D'Antona sono stati pionieri di quelle idee, coltivate con grande intuito e con formidabile proiezione verso il futuro.
Per questo la presentazione del libro di Paolo Nerozzi assume un significato che va oltre la raccolta così mirabilmente individuata di alcuni scritti di questo sobrio e grande servitore dello Stato che poneva le sue conoscenze e il suo magistero di docente universitario al servizio del proprio Paese.
Oggi più che mai la lezione di uomini come Massimo D'Antona deve essere di incitamento per completare quella riforma del mercato del lavoro necessaria a ridare slancio e competitività al nostro Paese.
La vita di Massimo D'Antona è il segno di una speranza che non si spezza neppure di fronte alla morte.
Il suo pensiero, i suoi affetti, la sua umanità senza ipocrisie, una umanità integrale, giusta, solidale, vivono oggi in un ricordo che non si spegne ed è già memoria.
Memoria di un impegno, ma innanzitutto memoria di un uomo capace di amare e farsi amare.
All'uomo Massimo D'Antona e a chi più di altri conserva e custodisce il segreto e il sentimento di una vita vissuta insieme, tutti noi siamo debitori e il Paese oggi rivolge la propria riconoscenza e piena gratitudine.