Presentazione del libro di Michele Vietti "La fatica dei giusti"
Signor Presidente della Camera, Autorità, Signore e Signori,
ho letto con attenzione e con curiosità "La fatica dei giusti" di Michele Vietti e ritengo che un testo così completo e interessante, che contiene spunti di riflessione su temi di grande attualità, dovrebbe essere largamente diffuso soprattutto fra i giovani. E' un libro che, con puntualità e grande chiarezza, aiuta a capire il difficile lavoro del magistrato, il suo percorso formativo, gli avanzamenti di professionalità, il sistema retributivo, il sistema disciplinare, offrendo, inoltre, una interessante e utile comparazione con i sistemi giudiziari degli altri Paesi europei. Tutti gli elementi e i particolari offerti al lettore aiutano, attraverso dati concreti, a sfatare quei luoghi comuni che troppo spesso accompagnano questa professione e la progressione in carriera. Vengono delineati i severi criteri affidati ad apposite circolari dal Consiglio Superiore della Magistratura, l'organo di autogoverno che è per eccellenza garante dell'osservanza dei principi che caratterizzano il difficile e delicato ruolo del giudice e del pubblico ministero.
Sul piano del controllo disciplinare le istruttorie e i giudizi finali che il CSM ha espresso con grande equilibrio, accuratezza e ponderazione, hanno condotto - come è dato apprendere dalle statistiche riportare nel libro - a sanzioni, alcune anche di destituzione del magistrato. Decisioni spesso difficili, come afferma lo stesso autore che da Vicepresidente del CSM sente con grande fierezza e senso di responsabilità il difficile compito che è stato chiamato a svolgere.
Il concorso per la magistratura è difficile e selettivo; i magistrati in Italia sono appena 9615, a fronte di un numero di avvocati talmente elevato da fare dire a Vietti che ci troviamo di fronte alla tipica questione dell'uovo e della gallina, difficilmente risolvibile: abbiamo tanti avvocati perché c'è troppo contenzioso o c'è troppo contenzioso perché abbiamo troppi avvocati? Il rapporto è di 10,2 giudici per ogni 100.000 abitanti contro una media europea di 18,0; è ancora più ridotto per i pubblici ministeri: 3,4 per ogni 100.000 abitanti mentre l'Italia balza al primo posto in Europa per il numero di avvocati rispetto alla popolazione: 346 avvocati ogni 100.000 abitanti.
Capacità, diligenza, impegno, uniti ai criteri sovrani dell'indipendenza e dell'imparzialità rappresentano i capisaldi sui quali poggia una magistratura all'altezza del compito affidatole e che nell'esercizio della giurisdizione vanno tenuti sempre e rigorosamente presenti, quasi scolpiti in chi deve amministrare la giustizia. L'osservanza rigorosa di questi principi, unita alla doverosa e naturale riservatezza che deve contraddistinguere il magistrato, fanno da soli la differenza.
Vietti si sofferma su un tema che riveste grande attualità: la divisione delle carriere da più parti richiesta con forza, quasi rappresenti la panacea di tutte le disfunzioni della giustizia. Ma non ritiene che l'attuale assetto della magistratura, con un unico concorso e un unico organo di autogoverno sia la causa di tutti i mali. D'altronde le restrizioni contenute nella recente riforma dell'ordinamento giudiziario, hanno reso più difficile il passaggio da una funzione all'altra, sia per ragioni territoriali (i divieti a ricoprire la diversa funzione nella stessa provincia se non nella stessa regione), sia per i requisiti richiesti e i giudizi ai quali occorre sottostare prima di ottenere la diversa funzione.
Vietti definisce la "separazione delle carriere" una realtà concreta proprio alla luce delle difficoltà obiettive che la legge ha imposto e, utilizzando dati statistici, perviene alla conclusione che la scelta di ricoprire la funzione di pubblico ministero o di giudice quasi sempre si realizza ad inizio carriera, ed è spesso ancorata al primo trasferimento e conseguente avvicinamento del magistrato al luogo di originaria abitazione.
Sembrerebbe, quindi dal contesto iniziale delineato che, il pieno funzionamento dei criteri già esistenti e la rigorosa applicazione dei parametri di legge, non possano che condurre ad un concetto di magistratura efficiente ed all'altezza del compito assegnatole. Non è così se giornalmente da più parti - maggioranza e opposizione compresi - si avverte la necessità di modificare l'assetto della magistratura. La giustizia è sovraffollata da un tale numero di procedimenti che non vengono smaltiti in tempi rapidi, soprattutto nel settore civile dove invece il rispetto delle regole e la durata eccessiva dei procedimenti non appaiono ancora oggi all'altezza di uno Stato moderno e competitivo, con refluenze negative anche sull'economia del nostro Paese. La conseguenza è allora che occorre fare di più per realizzare a pieno il principio della certezza del diritto.
Nel settore penale dove le esigenze cambiano da regione a regione, la situazione non appare differente. Il principio di obbligatorietà dell'azione penale, cardine del nostro sistema, di fatto non appare pienamente osservato - per ragioni diverse sulle quali non intendo addentrarmi. Tutto questo conduce all'abbandono di fatto di alcuni procedimenti a favore di altri e sovente alla prescrizione di molti reati.
La giustizia è materia delicata e complessa; riformare la giustizia non significa riformare la magistratura o riformare soltanto la magistratura. Significa trovare rimedi a tutte le disfunzioni del sistema che da tempo appaiono evidenti innanzitutto ai cittadini. Ma quali può essere l'iter corretto da seguire per pervenire a soluzioni utili e risolutive? Innanzitutto, per innovare il presente, occorre sapere guardare al passato: ogni articolo della Costituzione non è stato né casualmente né precipitosamente formulato. I tre distinti progetti di Giovanni Leone, Piero Calamandrei e Gennaro Patricolo, come ci ricorda Vietti, furono redatti "con la volontà comune di proteggere la magistratura dalle interferenze politiche rafforzandosi le garanzie di governo autonomo". Il dibattito illuminato dei tre grandi giuristi fu serrato, approfondito, e quanto fu realizzato, fu la sintesi di un procedimento che analizzando ogni aspetto, nulla lasciava al caso o all'improvvisazione futura.
Qualunque futuro intervento di riforma dovrà sempre rispettare il principio della divisione dei poteri, perché la magistratura è un ordine autonomo e indipendente in perfetta simmetria con quello legislativo ed esecutivo e la separazione dei poteri è stata voluta a garanzia di tutti.
Ogni riforma è possibile, anzi auspicabile per porre fine alle disfunzioni purtroppo a tutti evidenti e che sono a volte la causa di pesanti sentenze di condanna da parte del Consiglio di Giustizia europeo.
Ogni riforma non è mai nè deve essere intesa contro la magistratura. Non è corretto neanche pensarlo. La riforma deve tendere esclusivamente a dare respiro ad un settore in affanno e ad alleviare, fino ad azzerare, gli aspetti negativi che tutti noi percepiamo. La sua realizzazione passa da un unico presupposto che è la piena condivisione di tutte le forze politiche, con l'apporto necessario di maggioranza e opposizione insieme, e avendo quale unico obiettivo il miglioramento del sistema giustizia. Viceversa ogni modifica potrà risultare inadeguata e inidonea all'ambizioso risultato che pure tutti desideriamo ottenere.
La giustizia si può e si deve riformare, così come oggi tutti siamo chiamati ad introdurre quelle riforme che appaiono indifferibili. Coloro che rappresentano le istituzioni, ma anche le forze politiche, devono dare il meglio di sé proprio e soprattutto nei momenti critici e difficili che attraversano la vita di una nazione, con spirito di servizio, con lealtà, con voglia di riuscire, abbandonando ogni contrapposizione e ogni interesse di parte.