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Il Presidente: Discorsi

La sfida delle Istituzioni e della società civile alla criminalità organizzata

Intervento del Presidente del Senato Renato Schifani in Sala Zuccari

Autorità, Signore e Signori,
sono sempre lieto di partecipare a convegni come questo, nei quali si dibatte e si discute il tema della criminalità organizzata.
Il "contagio" è un libro che, attraverso l'intervista del giornalista Gaetano Savatteri al Procuratore Giuseppe Pignatone e al Procuratore Aggiunto Michele Prestipino, ci immette con grande efficacia, nelle eccezionali dimensioni che la 'ndrangheta ha assunto, in modo sempre più crescente, nel panorama italiano e in quello internazionale.
Un virus che si diffonde "senza guardare in faccia nessuno", occupando trasversalmente ogni parte della società.
Ma i virus si curano e si distruggono, ed è questo il significato del convegno che vuole indicare i percorsi di legalità che la società deve imparare a seguire e che sono gli unici vincenti.

Ne sono conferma gli eccezionali risultati della Direzione della Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria - guidata fino a qualche mese addietro da Giuseppe Pignatone - e dei giudici che hanno celebrato i processi, con centinaia di arresti e condanne, con la cattura di numerosi latitanti e soprattutto con il sequestro e la confisca di beni di inestimabile valore sull'intero territorio nazionale.
Così come l'inizio di alcune collaborazioni di uomini e donne di questa organizzazione criminale che, vivendo da anni immersi in quella illegalità, conoscevano le dinamiche e i risvolti più profondi della 'ndrangheta, ha contribuito a disvelare i meccanismi delle reti di collegamento che hanno superato i confini della Calabria, invadendo vaste aree del centro e Nord Italia. Anche questo è un dato eccezionale in una terra fortemente omertosa che sfida costantemente lo Stato.

E mentre si discuteva negli ultimi anni del primato della mafia sulla 'ndrangheta, o viceversa, mentre sterili polemiche e inutili corse ad affermazioni di principio continuavano a tenere banco su tutti i maggiori organi di informazione, la 'ndrangheta proseguiva con inaudita velocità ad ingrandirsi, perché gli ostacoli investigativi e giudiziari che le venivano frapposti, non erano così forti da scalfirne la forza invasiva e criminale.

Probabilmente la diversa incisività nell'affrontare questa associazione rispetto a quella mafiosa è stata dettata dalla priorità data, in termini di risorse, di uomini, di mezzi, al contrasto a cosa nostra che, con le stragi del '92 e del '93, aveva abbandonato la strategia dell'immersione, per colpire al cuore lo Stato, uccidendo i suoi uomini migliori; e quando Provenzano ha tentato la retromarcia verso la sommersione, è stato troppo tardi.

Nel frattempo le ricchezze della 'ndrangheta crescevano e dismisura ed esigevano il loro investimento non più soltanto in ambito locale.
L'infiltrazione sistematica nel tessuto sociale, nell'economia, nell'impresa; l'arroganza, lo strapotere, l'irriverenza e l'assoluta e totale violazione dei nostri principi e delle leggi che fondano la nostra democrazia, hanno fatto di questa organizzazione criminale una gravissima minaccia per il progresso economico dell'Italia e non solo.
La "colonizzazione" sempre più serrata e la contaminazione del cuore produttivo del nostro Paese; l'inquinamento della crescita economica e il furto sistematico di parte del nostro PIL; tutti questi elementi, di cui a lungo ha parlato da Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, sono divenuti finalmente chiari, soprattutto se messi in relazione con la strage di Duisburg che probabilmente ha concorso a creare quel "tallone d'Achille" dal quale iniziare ad investigare per meglio capire e ovviamente meglio incidere.
Lo hanno ben compreso i magistrati intervistati da Savatteri che, in quattro anni di indagini, hanno conseguito risultati di altissima rilevanza.

Un salto di qualità che è frutto, oltre che di grande professionalità, di intenso lavoro; ma anche di coordinamento efficace con altri Uffici giudiziari, privo di protagonismi, ricco di interscambio continuo di informazioni, di atti, di documenti, senza omissioni.
E senza fughe di notizie che avrebbero potuto pregiudicare l'esito positivo dei risultati e che, al di là di chi ne è l'autore, complicano le indagini e consentono a qualunque organizzazione criminale - così come a chi sa di essere indagato - di predisporre quegli "anticorpi" che possono compromettere se non azzerare il frutto di tanto lavoro.

Di fronte a tanti positivi successi, come da un copione che noi siciliani ben conosciamo, non sono mancati episodi di delegittimazione e di gravi minacce per l'incolumità fisica nei confronti di quanti indagavano; la società civile sana ha mostrato solidarietà.
Questo inaspettato e positivo comportamento deve indurre ad un moderato ottimismo.
Tuttavia, anche in presenza di ripetuti successi dello Stato e degli uomini che li hanno conseguiti, quando parliamo di 'ndrangheta siamo costretti a confrontarci con un fenomeno tutt'altro che sconfitto.

Oggi il problema più rilevante è che attraverso le operazioni di riciclaggio, sempre più numerose, si raggiunge il punto di non ritorno, con la piena e totale integrazione dell'illecito in ogni settore dell'economia legale.
Una strada senza uscita per coloro che utilizzano i capitali della 'ndrangheta e con essi stringono accordi con chi li detiene; perché, come ha giustamente affermato il Procuratore Giuseppe Pignatone, "non è pensabile che l'offerente resti fuori da questo meccanismo perverso, anzi entra a farne parte a pieno titolo divenendo coprotagonista, in quanto regista, grazie ai metodi intimidatori che sono alla base del modo di essere di questa pericolosa organizzazione".

Per evitare il sorgere di una legalità mista, dove le organizzazioni criminali si insidiano nella borghesia, nella finanza, nella vita economica del Paese, la capacità di prevenzione e repressiva dello Stato non può affidata unicamente alle forze dell'ordine e ai magistrati.
Il bene comune e il benessere sociale sono incompatibili con modelli di collusione, contiguità, "fratellanze" fondati con mezzi e finalità illecite.

Se in alcune zone questa organizzazione criminale gode del consenso di una parte - mi auguro sempre più minoritaria - della popolazione, o comunque di un "non dissenso", è evidente che la componente onesta del Paese, che vive nel rispetto delle regole, non può continuare a soffrire per la presenza di una legalità debole che impedisce il benessere sociale e il bene comune.
Occorrono, allora, il coinvolgimento e l'attenzione di quanti sono impegnati e vogliono costruire il giusto percorso di legalità del nostro Paese.
In Calabria questa gente comincia ad esserci e lo dimostra con i fatti.

Mantenere alta l'attenzione significa anche sensibilizzare per trasmettere la conoscenza della portata reale del fenomeno.
Un'opera che va condotta su tutti, a partire dai più giovani la cui formazione è vitale per abbandonare schemi, coinvolgimenti e percorsi non soltanto usurati ma pericolosi: non smettendo mai di dire quello che è stato e che è ancora questa associazione criminale; educando alla legalità tutte le forze sociali.

Se combattere la 'ndrangheta significa vivere la realtà del territorio "attraverso i vetri oscurati di un Ufficio" come ci racconta Savatteri nella prefazione al libro, facendo mie le parole del Procuratore Pignatone, "l'importanza di fare il proprio dovere vale per tutti"; "l'eroe solitario non può vincere"; "per riuscire a vincere, occorre l'impegno collettivo della società".
Il futuro dell'Italia è affidato alla capacità, alla volontà e alla professionalità della parte sana del nostro Paese.
Alle tecnologie del malaffare dobbiamo essere capaci di opporre quelle che ci porteranno a contrastarlo in modo sempre crescente, fino a rendere difficile e speriamo presto impossibile, ogni azione delittuosa che impedisce la crescita sana dell'economia e della finanza.



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