La Responsabilità Sociale d'Impresa nell'Enciclica Caritas in Veritate
Autorità. Signore e Signori. Non è la prima volta che in Senato si dibatte sul significato, le prospettive, le sfide lanciate dall'Enciclica Caritas in veritate. Ritrovo, tra i presenti, molti di coloro che hanno già assistito alla presentazione del documento il 28 luglio dell'anno scorso, nella Sala Capitolare, da parte del Segretario di Stato, nostro autorevole e gradito ospite, il Card. Tarcisio Bertone. Oggi la partecipazione dei principali protagonisti della vita economica e sociale del Paese, che saluto e sinceramente ringrazio, rappresenta una sorta di messa a fuoco di come il messaggio fondamentale dell'Enciclica sia stato finora compreso, sviluppato, concretamente realizzato.
Inizierò il mio intervento con due citazioni, che so essere particolarmente care all'amico Maurizio Sacconi e che da tutti voi saranno immediatamente ricondotte ai rispettivi Autori. La prima si trova in un'opera agile, direi sintetica, e allo stesso tempo unanimemente considerata un "pilastro" della disciplina lavoristica. Alludo alle "Nozioni di diritto del lavoro" di Francesco Santoro-Passarelli. " Tutto il diritto del lavoro è ordinato caratteristicamente alla tutela della libertà, anzi della stessa personalità umana del lavoratore [...]". La seconda citazione, in parte inedita, afferma: "Il lavoro di qualità è un lavoro regolare, emerso; è un lavoro disciplinato da leggi e contratti e, quindi, che non è preda di sfruttamento, di abusi, di ricatti; un lavoro liberamente scelto, liberamente condiviso; un lavoro [...] che dia motivazione, realizzi l'individuo. Un lavoro che concili il grande aspetto della vita umana che è il lavoro con gli altri aspetti ugualmente importanti: la vita familiare, la vita personale; potrò aggiungere [...]: la vita e l'esperienza religiosa. Un lavoro che consenta all'uomo, alla donna, di realizzare pienamente la sua personalità". Sono queste le parole pronunciate da un uomo di alta dottrina, poco meno di due mesi prima dal suo barbaro assassinio, che ricorderemo il prossimo 19 marzo. Queste sono le parole dell'uomo, giusto e libero, di nome Marco Biagi.
La storia del nostro Paese ha conosciuto i testimoni e anche i martiri - studiosi, lavoratori, imprenditori, cittadini - di un messaggio di giustizia vera, che non voleva cedere all'ipocrisia, ma raccogliere le sfide del mondo contemporaneo e le esigenze reali e profonde delle persone, dell'intera comunità. La Caritas in veritate ha il coraggio di proporre due parole contrapposte. Parole di un vocabolario troppo frettolosamente messo in disparte o dimenticato: "ipocrisia" e "verità". Queste espressioni conservano un significato decisivo per tutti: politici, imprenditori, lavoratori, rappresentanti sindacali, cittadini. I processi di innovazione e di ammodernamento del sistema produttivo, così come i progetti di riforma del mercato del lavoro, non possono essere rinchiusi entro il perimetro riduttivo dell'ideologia: vorrei dire, mutuando le parole di Giovanni Paolo II, "non sono né buoni né cattivi, ma saranno ciò che le persone ne faranno". La crescita del profitto e della ricchezza, che passa attraverso lo sviluppo e l'innovazione, non può mai rinunciare all'obiettivo prioritario dell'accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti. Sono parole di Benedetto XVI che aggiunge: "C'è una convergenza tra scienza economica e valutazione morale. I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani". Vi è un'etica sostanziale che impone a tutti gli operatori economici e sociali di preservare in via del tutto prioritaria i livelli di occupazione, anche e soprattutto nei momenti di crisi acuta del sistema. Questo vale ancora di più, nelle aree più fragili del Paese, dove "dare" e "garantire" il lavoro significa "liberare" i più deboli, le famiglie, i giovani dal ricatto della mafia, capace di corrompere le coscienze e sfruttare i bisogni essenziali delle persone con la minaccia, la violenza, l'inganno.
A Termini Imerese, l'ho detto e lo ribadisco, vi deve essere l'impegno di tutti - istituzioni, imprenditori, società civile - per mantenere i posti di lavoro. Senza un lavoro regolare si rischia di dare alle famiglie il pane avvelenato di un lavoro nero, nascosto, invisibile, dove l'abuso fa premio sul diritto, il guadagno sulla giustizia, l'egoismo sulla solidarietà. Si rischia di dare spazio alla criminalità organizzata che da sempre tenta di occupare ambiti che lo Stato lascia vuoti o non adeguatamente sorvegliati. Il successo di una attività non può essere basato solo sul raggiungimento di obiettivi, pure necessari, quali l'abbattimento dei costi, se questo risultato fosse la mera conseguenza della chiusura di stabilimenti o di licenziamenti. Il vero successo di una attività è il giusto equilibrio tra le ragioni del profitto e le ragioni della salvaguardia dei livelli occupazionali. In generale, il lavoro regolare è un baluardo dello stesso stato di diritto. L'anticamera delle morti sul lavoro è la mancanza di trasparenza e di vigilanza, di controllo sulle condizioni dei lavoratori. I lavoratori senza volto sono le vittime di una logica ingiusta che li considera al pari di una merce: senza diritti e senza garanzie. La responsabilità sociale dell'impresa è una vera missione di verità: dare trasparenza, anzi, pretendere trasparenza e combattere l'omertà. Il fenomeno è ancora diffuso e imponente, come attesta la recente relazione del Presidente dell'INAIL sui dati relativi all'andamento infortunistico del primo semestre 2009. Il nostro Paese continua ad avere il più alto numero di morti sul lavoro rispetto agli altri Paesi europei. Il sensibile decremento degli infortuni e dei casi di morte è stato attribuito alla componente "accidentale" rappresentata dalla congiuntura economica particolarmente sfavorevole e alla diminuzione dell'occupazione determinata dalla crisi produttiva. Nel precedente rapporto al Parlamento dell'anno 2008, l'Istituto di previdenza aveva evidenziato una inversione di tendenza per i lavoratori stranieri per i quali si era registrato un aumento degli incidenti sul luogo di lavoro pari al 2%, anche come conseguenza della maggiore presenza degli immigrati sul territorio e sul mercato del lavoro. Sono dati che devono fare riflettere.
Come affermava Giovanni Paolo II, "L'emigrante non deve essere svantaggiato riguardo ai suoi diritti come lavoratore". Non riconoscere i diritti ai lavoratori, mascherando la verità, è come rubare. Il lavoro nero è innanzitutto un furto: significa rubare la libertà e la dignità del lavoratore, della sua famiglia, dei suoi figli. La sana imprenditorialità deve rappresentare un motivo di orgoglio per l'intero Paese. L'intraprendenza dei nostri imprenditori va sostenuta a tutti i livelli, perché l'investimento non è facile, ma è atto di coraggio. La ricerca di una giustizia sociale non ipocrita e, allo stesso tempo, non rinunciataria, richiede anche un impegno reciproco e di ragionevolezza nell'individuare, promuovere e sostenere soluzioni in grado di soddisfare i più, senza danneggiare alcuno. Lungo questo asse portante dell'agire collettivo - quello che in Caritas in veritate viene riassunto nell'espressione "sviluppo umano integrale" - il ruolo delle organizzazioni sindacali appare fondamentale. In alcuni passaggi e soprattutto nei momenti di difficoltà economica generale il compito del sindacato si dimostra decisivo. Ancora una volta è di grande rilievo l'annotazione di Francesco Santoro-Passarelli: "I sindacati debbono vivere e agire in posizione di autonomia rispetto allo Stato [...]; ma debbono al tempo stesso tener conto del bene comune, la cui determinazione e il cui perseguimento spettano allo Stato... ". Questa affermazione di principio trova alcune immediate e concrete implicazioni di ordine pratico. Da un lato, lo Stato come primo datore di lavoro indiretto deve condurre una giusta politica del lavoro; dall'altro, compito dei sindacati non è quello di fare politica, ma di adoperarsi affinché "il lavoratore possa non soltanto avere di più, ma prima di tutto essere di più: possa, cioè, realizzare più pienamente la sua umanità sotto ogni aspetto", come ha affermato Giovanni Paolo II. Caritas in veritate conferma con chiarezza "la distinzione di ruoli e funzioni tra sindacato e politica" e offre anche alle organizzazioni sindacali una nuova prospettiva dove si è chiamati "a farsi carico dei nuovi problemi delle nostre società", come il "conflitto tra persona-lavoratrice e persona-consumatore". Si tratta allora di avere il coraggio - cito sempre dall'Enciclica - di volgere "lo sguardo anche verso i non iscritti", in altri termini di riconoscere, nei diversi contesti sociali e lavorativi, le "autentiche ragioni etiche e culturali". Il sindacato è uno dei pilastri portanti di un Paese democratico e civile.
Una parola non ipocrita e di verità porta allora a riconoscere al sindacato il compito e l'ambizione di non essere corporativo, ma aperto alle nuove sfide. L'orgoglio a non strumentalizzare i lavoratori a fini politici, come talvolta potrebbe accadere, si accompagna ad una politica del lavoro fondata anche sulla lotta al privilegio. Il privilegio nega l'essenza stessa dei beni fondamentali che si debbono tutelare: i diritti. Un nuova cultura contro il privilegio richiede in alcuni settori oggettivamente più fortunati di rinunciare a fare lotte che difficilmente si raccordano con le emergenze occupazionali e di reddito diffuse nel Paese. I lavoratori sanno che all'interno delle Istituzioni pubbliche - tutte le Istituzioni - la sobrietà è non solo uno stile da preservare rispetto all'opinione pubblica, ma un preciso obbligo morale nei confronti di chi vive davvero in difficoltà e angoscia. In alcuni settori di grande prestigio la giusta valorizzazione del merito e dell'impegno non possono essere considerate un dato acquisito, ma sempre oggetto di valutazione e verifiche. Un alto livello di retribuzione deve commisurarsi a puntuali indici di meritocrazia: vale a dire qualità e quantità superiori alla media. La logica del privilegio va altrimenti e sempre combattuta senza arretramenti. Occorre che i vari settori del nostro sistema Paese che si incrociano nel mondo del lavoro, instaurino tra di loro una forte e radicale intesa perché nella loro vita quotidiana prevalga fortemente un'etica che faccia tesoro dei principi della lealtà, della trasparenza, dell'onestà e del rispetto delle regole. Regole che quanto mai devono essere chiare, credibili e allo stesso tempo rigorose nell'isolare coloro i quali non si riconoscono in un sistema di garanzie. Regole che non sono un concetto astratto e derogabile ma principi rigorosi che mettono ordine e danno equità e garanzie a tutto il sistema. Va pertanto accolta senza esitazione l'indicazione che Giovanni Paolo II riassumeva in queste parole: "lo sciopero deve servire ai sindacati come estremo rimedio per la difesa dei giusti diritti dei loro membri". Ma l'Enciclica Caritas in veritate individua con chiarezza anche un vero e proprio cortocircuito del nostro tempo: da un lato, efficienza, produttività, profitto e, dal lato opposto, ridimensionamento o contrazione dei posti di lavoro. La sobrietà deve manifestarsi pertanto anche nel settore privato, senza ipocrite o demagogiche battaglie contro alcuno, ma nella piena consapevolezza che alla efficienza va sempre accompagnata la saggezza che deriva dal senso di comune appartenenza alla comunità. La pace sociale che anche nella crisi economica e finanziaria mondiale ha contraddistinto il nostro sistema Paese rappresenta un risultato di cui dobbiamo essere fieri tutti, senza distinzioni di parte, proprio perché significa che i nostri imprenditori e i nostri lavoratori hanno saputo concretamente declinare la saggezza delle loro scelte come sapienza dei propri comportamenti. La speranza e la fiducia nella ripresa non sono pertanto un'utopia, ma rappresentano il doveroso e giusto riconoscimento del valore di una responsabilità dell'agire individuale e collettivo che è sempre stata ed è tuttora la più grande risorsa dell'Italia.