La questione meridionale
Autorità, Signore e Signori,
sono lieto di ospitare, nella prestigiosa cornice della Sala Zuccari, l'incontro sulla Questione meridionale, nell'ambito dei seminari "Politica e istituzioni attraverso 150 anni di Storia d'Italia".
Saluto gli autorevoli relatori presenti e mi scuso fin d'ora se dovrò assentarmi durante i loro interventi, per sopraggiunti impegni istituzionali.
La questione meridionale coinvolge profili sociali, economici e politici che da tempo sono stati oggetto di approfondimento, soprattutto con riferimento al divario tra Nord e Sud del nostro Paese.
All'inizio del processo di unificazione, il divario tra Settentrione e Meridione non si limitava all'industrializzazione, alle strutture economiche, al livello di istruzione, ma si traduceva in un fattore di instabilità e mancanza di coesione sociale.
La necessità di sanare tali diversità fu avvertita come condizione essenziale per la stessa fondazione dello Stato nazionale unitario.
Dinamiche storiche strutturali si sono intrecciate con la mancanza di rinnovamento politico delle classi dirigenti, con non risolte contrapposizioni socio-economiche, con il brigantaggio.
Elementi che hanno inciso negativamente sulla definizione ordinata dei meccanismi rappresentativi e di efficienti strutture di raccordo tra cittadini e apparati.
La partecipazione attiva del Sud al Risorgimento e la sua importanza per il processo unitario sono stati accompagnati dai sacrifici imposti al Meridione sia sotto il profilo economico sia dal punto di vista politico-istituzionale: le istanze autonomistiche furono, infatti, mortificate dalla necessità imposta dal governo centrale di una sorta di omologazione forzata di realtà marcatamente differenziate.
La consapevolezza delle ricadute sociali e nella coscienza collettiva della incomprensione della questione meridionale da parte del potere centrale è oggetto delle meditate riflessioni di intellettuali e politici di grande rilievo, tra i quali Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini, Luigi Sturzo, Antonio Gramsci, Guido Dorso.
Studiosi e intellettuali che con la loro riflessione e analisi hanno indicato il pieno superamento della storica separatezza tra le regioni del Sud e quelle del Nord, quale condizione per la vera unità d'Italia.
La storia del Mezzogiorno d'Italia è costellata da leggi speciali, dalla nascita di associazioni a tutela degli interessi meridionali, dal sorgere di istituzioni amministrative e finanziarie allo scopo di favorire lo sviluppo economico e sociale del Sud.
Non posso non ricordare in questo contesto il saggio di Alcide De Gasperi che descrive la nascita della Cassa per il Mezzogiorno che prevedeva un intervento speciale "straordinario ed aggiuntivo" per sollevare il Sud dal cronico sottosviluppo.
De Gasperi, uomo del Trentino, comprese da subito l'importanza del Mezzogiorno per lo sviluppo e la crescita dell'intero Paese; egli riteneva che lo sviluppo delle regioni meridionali fosse una questione nazionale e non comprensibile se non inserita nel contesto più ampio dell'intera economia italiana.
Scriveva De Gasperi: "Il Mezzogiorno si trova di fronte ad un'occasione magnifica di dimostrare la sua accresciuta consapevolezza e il suo senso di solidarietà meridionale e nazionale".
Parole che per tutti noi, per la nostra classe dirigente nazionale e per quella delle regioni del Sud appaiono anche oggi un monito e un richiamo di assoluta attualità.
Allora come oggi, d'altronde, la questione meridionale riguarda l'esasperato esercizio di distinguersi su tutto, di differenziarsi, di scomporre anche le scelte politiche fondamentali.
Da qui muove l'interrogativo sul destino dei rapporti tra centro e periferia, che assume nell'attualità i contorni del dibattito sulle autonomie territoriali, sul federalismo, sui rapporti dello Stato nazionale con le sue numerose componenti.
Si tratta insomma di riesaminare tutte le analisi fin qui compiute, riflettendo sul significato delle comunità locali meridionali come parte, accanto alle altre, di una ritrovata e conseguente appartenenza nazionale.
Dualismi e divari, economici e sociali, si superano solo con scelte responsabili e solidali, che chiamano a raccolta le forze migliori del Paese per trovare insieme un percorso comune nella politica e nelle Istituzioni in grado di superare rivalità, contrapposizioni, inutili polemiche.
Il Meridione soffre per l'elevata diffusione del lavoro "nero" o irregolare, per la fuga dei giovani laureati verso il Nord o anche fuori dall'Italia, per le difficoltà di accesso al credito da parte del sistema produttivo, per la scarsa efficienza dei servizi pubblici.
Il Mezzogiorno subisce ancora la presenza opprimente della criminalità organizzata che incide sul tessuto sociale ed economico sottraendo allo Stato risorse rilevanti.
Il Sud è carente di infrastrutture e un sistema infrastrutturale efficiente è fondamentale per il progresso e la competitività di un Paese.
Soltanto dal definitivo superamento delle attuali condizioni di sottoutilizzo delle risorse meridionali, potrà iniziare un duraturo sviluppo di crescita per l'intero Paese.
Il Mezzogiorno ha contato per troppo tempo su una spesa pubblica trainante, accompagnata, paradossalmente, da una sostanziale incapacità di spesa del denaro.
Certamente il federalismo potrà essere una preziosa opportunità per un verso salto di qualità, se saggiamente utilizzato: un federalismo che responsabilizzi maggiormente le Amministrazioni locali, che dia ai cittadini la possibilità di un controllo diretto sull'utilizzo della raccolta fiscale.
Il modello federale, insomma, è la base di una capacità rinnovata dei governi locali di favorire una efficiente capacità di spesa.
Ma l'attuazione del federalismo dovrà necessariamente passare dal problema della formazione delle classi dirigenti meridionali e dalla loro responsabilizzazione nell'affrontare questioni nazionali ed internazionali.
Per un effettivo recupero dell'efficienza della spesa pubblica e della ritrovata credibilità delle classi dirigenti locali, sarà necessario un processo di sostanziale rigenerazione delle classi dirigenti locali.
Si impone un passo che allontani il Mezzogiorno dalle politiche assistenziali e redistributive e lo avvicini invece allo sviluppo vero e duraturo: un Mezzogiorno rigenerato nelle classi dirigenti avrebbe titolo a porre allo Stato alcune richieste irrinunciabili.
Ma alla base di questo grande "patto", Stato e Regioni meridionali sono chiamati a porre la imprescindibile necessità di riscatto delle popolazioni locali.
Un riscatto che deve passare attraverso una presa di coscienza degli uomini e delle donne del Meridione, che dovranno essere capaci di opporre un no deciso alla corruzione, al degrado, all'assistenzialismo clientelare, alla criminalità organizzata.
Soltanto attraverso una vera sinergia tra classe dirigente e amministrati, accompagnata da una politica di responsabilità, trasparenza e legalità, il Mezzogiorno potrà riuscire a colmare ritardi, debolezze, obiettive differenze che lo rendono diverso rispetto alle altre parti d'Italia.
E' un tragitto non agevole che esige chiarezza, volontà di fare e non quella di attendere e restare a guardare.
Il Sud deve rimboccarsi le maniche.
Si richiede un atteggiamento di protagonismo positivo che è l'unico ipotizzabile per realizzare l'autentica crescita dell'intero Paese.
La questione meridionale non riguarda solo il sud, ma la tenuta complessiva dell'intera Italia in Europa e nel mondo.
I risultati positivi che si riusciranno ad ottenere andranno a beneficio dell'intera Nazione.