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Il Presidente: Discorsi

Commemorazione di Paolo Borsellino nel ventesimo anniversario della strage di via d'Amelio a Palermo.

L'intervento in Aula del Presidente Schifani

Onorevoli colleghi,

venti anni or sono, in questo giorno di luglio, in via Mariano d'Amelio a Palermo, un vile attentato esplosivo spezzava la vita di Paolo Borsellino e di cinque agenti della sua scorta.

Paolo Borsellino era nato a Palermo nel 1940 e, dopo essersi laureato a soli ventidue anni in giurisprudenza, aveva vinto il concorso in Magistratura nel 1963, diventando il più giovane magistrato d'Italia.
Dopo le prime esperienze negli uffici giudiziari di Enna, Mazara del Vallo e Monreale, nel 1975 fu trasferito a Palermo, dove entrò a far parte dell'Ufficio Istruzione Affari Penali, diretto da Rocco Chinnici.
L'attività istruttoria del giovane magistrato iniziò a svilupparsi con grande profitto in alcune inchieste su delitti compiuti da personaggi legati alla mafia, così quando, nel 1980 fu decisa la costituzione, in seno all'Ufficio, del "Pool antimafia", con l'obiettivo di incrementare lo scambio di informazioni fra i magistrati impegnati nelle indagini sulla criminalità mafiosa, Paolo Borsellino assunse naturalmente, insieme al collega ed amico Giovanni Falcone, un ruolo di primo piano nell'azione del gruppo.

Il suo profilo di magistrato sereno, competente, scrupoloso nell'applicazione delle leggi e nella ricerca di riscontri obiettivi per tutte le informazioni raccolte nell'attività istruttoria, lo rendeva infatti un modello per tutti i colleghi.
Il principale risultato di quella stagione di indagini, come è noto, fu l'istruzione del primo maxi processo, che si concluse nel 1987 con centinaia di condanne nei confronti di esponenti di ogni grado dell'organizzazione mafiosa.
Prima ancora della conclusione del maxi processo, nel dicembre 1986, Paolo Borsellino aveva chiesto ed ottenuto di lasciare Palermo per rivestire l'incarico di Procuratore della Repubblica di Marsala.

Al momento del suo brutale assassinio, Borsellino era tornato da soli sette mesi a lavorare a Palermo, come Procuratore aggiunto, per proseguire, dopo il trasferimento di Falcone a Roma, nell'applicazione di quello che era ormai diventato il "loro" metodo d'indagine.
Dal giorno della morte di Falcone, come hanno raccontato tutte le persone a lui più vicine, Paolo Borsellino lavorava senza sosta: al fronte delle indagini, per proseguire nella direzione tracciata dal comune lavoro investigativo, aveva affiancato, con sempre maggiore frequenza, una tenace e consapevole attività di testimonianza, che si rivelò determinante nell'accendere la scintilla del risveglio delle coscienze contro la mafia.

La stessa violenza mafiosa, che spezzò la vita di Paolo Borsellino cinquantasette giorni dopo quella del suo amico e collega, non riuscì a strozzarne la voce, facendo invece sì che la sua testimonianza di eroe e di martire diventasse ancora più forte.

Oggi, a vent'anni da quel tragico 19 luglio 1992, ci è di conforto la consapevolezza di quanto di incisivo è stato compiuto nella lotta alla mafia sulla scia dell'azione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a cominciare dalla ribellione di parti sempre più importanti della società e dell'economia siciliana alle varie forme di ricatto e di oppressione del potere mafioso: dall'estorsione alla concorrenza sleale delle imprese colluse con la criminalità.  

Rilevantissimi sono i risultati sul piano dell'aggressione ai patrimoni di origine illecita, nella quale l'Italia vanta - anche per merito di quanto proseguito dal Parlamento e dal Governo in questa Legislatura - la legislazione forse più avanzata al mondo, la cui efficacia è dimostrata, da ultimo, dalle recenti, ingentissime confische compiute ai danni dei patrimoni mafiosi in tutta Italia.

È anche questa consapevolezza, intrisa di gratitudine, a rinnovare ogni giorno l'inestinguibile ricordo di Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina: il loro sacrificio e la loro testimonianza sta nell'aver immolato la vita nell'adempimento del proprio dovere, pur nella piena comprensione di quanto ciò sarebbe potuto costare in particolare ai loro cari. Proprio ad essi desidero esprimere oggi i sentimenti unanimi di commossa vicinanza e affetto dell'Assemblea del Senato.

Il nostro impegno è quello di proseguire nel cammino tracciato da questi autentici eroi, affinché prevalgano sempre e sopra ogni cosa i valori dell'onestà, della correttezza ed il rispetto dei principi che fondano la nostra democrazia, contro ogni forma di violenza, di sopruso, di sopraffazione della criminalità organizzata mafiosa. Seguire il loro esempio sarà il modo migliore per onorarne la memoria e per riuscire a realizzare un futuro di piena legalità da consegnare alle nuove generazioni.



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