«Una Costituente dei moderati per la grande riforma dello Stato»
Egregio Direttore,
ogni volta che il Parlamento approva una buona legge, come presidente del Senato, dovrei teoricamente sentirmi contento e soddisfatto. Da un po' di tempo a questa parte, invece, mi chiedo se le istituzioni, il governo e le forze politiche stiano facendo veramente di tutto per fronteggiare una crisi che travolge, giorno dopo giorno, non solo la credibilità dello Stato ma anche la fiducia dei cittadini. Fino a qualche mese fa sembrava che il nostro Paese fosse aggredito solo da una violenta crisi economica e che, risolto il problema dello spread, tutti potessero tornare alla vita di prima. Purtroppo siamo andati oltre.
L'attuale governo ha tamponato le urgenze più gravi, ma quando ha tentato di risollevare il malato, sperando che potesse muovere qualche passo da solo, si è dovuto prendere atto che la politica dell'emergenza da sola non basta, perché questo Stato è ormai troppo vecchio e, in molte sue parti, addirittura refrattario ad ogni cura. Ecco il punto. Noi pensiamo che a volte basta una legge, una buona legge, per riconquistare la fiducia degli elettori o degli investitori stranieri, e magari riusciamo a farla. Ma poi succede che quella legge non trova gli spazi necessari per la sua sopravvivenza oppure precipita in un contesto così obsoleto da essere trasformata in uno strumento utile per complicare i problemi che si volevano invece risolvere.
Il Corriere della Sera, con un editoriale di Michele Ainis, ha evidenziato ad esempio le nefaste conseguenze dei poteri concessi alle Regioni con la modifica del Titolo V della Costituzione: aumento della spesa pubblica e degli sprechi. Fermo restando che le Regioni rimangono pur sempre importanti strumenti di partecipazione, l'assunto di Ainis sta a dimostrare che se non si riforma radicalmente questo Stato anche i migliori propositi rischiano di trasformarsi in una beffa. Una beffa della politica e della storia: sono passati vent'anni da Tangentopoli e siamo ancora qui a discutere su una legge in grado di arginare la corruzione. Il provvedimento sembra ormai cosa fatta, ma siamo sicuri che le nuove norme ci aiuteranno ad appagare quella sete di giustizia che viene dalla società civile, dal mondo cattolico e da tutte le associazioni impegnate nell'affermazione di un principio sacrosanto come la legalità? Lo spero, ma questa legge, come tante altre, rischia di essere soffocata dalla lentezza della nostra macchina della giustizia che non siamo riusciti a riformare.
Nasce anche da queste considerazioni, caro Direttore, la necessità di scrivere il manifesto di un nuovo Stato. La filosofia dello struzzo può anche essere consolatoria, ma alla lunga trascina nel fondo tutti, giovani e vecchi, moderati e progressisti, responsabili e rottamatori. Dopo il fallimento della prima e della seconda, come pretendiamo di entrare nella terza Repubblica senza un progetto in grado di ristabilire il patto tra i cittadini e lo Stato, tra i cittadini e la politica? Con quale diritto potremo mai sperare di parlare all'Europa e di rivendicare sovranità e dignità se non saremo capaci di ridare nuova efficienza al nostro Stato?
Un compito enorme, ma non sono pessimista. Certo, vedo i bagliori dell'antipolitica e vedo anche con quanta insistenza si accendono i fuochi del populismo. Ma all'Italia non servono rivoluzioni improbabili e mistificatrici. Serve un nuovo Stato e serve soprattutto una classe politica che sappia coniugare rinnovamento ed esperienza, merito e solidarietà. Il populismo non ha né programma né responsabilità perché non è altro che l'ordinaria amministrazione dei risentimenti. Io invece credo che esistano tante energie pronte a mettere il proprio impegno al servizio di una iniziativa certamente ambiziosa ma ormai indispensabile per salvare la nostra democrazia. E credo anche che un progetto di così grande respiro avrà di sicuro il sostegno di tutti quei moderati che vogliono costruire e non demolire; di tutti coloro insomma che intendono affrontare il futuro con l'obiettivo primario di regalare ai nostri figli uno Stato moderno, in grado di dare serenità alle famiglie e di restituire ai giovani una speranza, un lavoro, un sogno e, soprattutto, l'orgoglio di crescere e vivere in questo bellissimo Paese.
L'oppressione fiscale è un freno allo sviluppo e alla crescita economica, anche se accompagnata da parziali agevolazioni di settore. Lo ha ben capito Giorgio Squinzi quando ha dichiarato la disponibilità di Confindustria a rinunciare agli incentivi pur di avere in cambio uno Stato meno fiscale e perciò capace di fronteggiare una recessione che alla lunga rischia di strangolarci. E' un atteggiamento che condivido. Per quanto mi riguarda, anzi, vorrei andare oltre e dire che il manifesto del nuovo Stato è da impugnare come una bandiera perché resta l'unica strada da intraprendere per spezzare il circuito perverso di una spesa pubblica che, per alimentarsi, impone, a tutti i livelli, tasse sempre più alte. Se riusciamo a snellire lo Stato e a renderlo essenziale e trasparente; se riusciamo a prosciugare le falde sotterranee degli sprechi e dei privilegi, allora sì che avremo finalmente realizzato quella spending review necessaria per abbassare le tasse e portarle a un livello di sopportabilità. Meno Stato e meno tasse: deve essere questa la frontiera della prossima legislatura, se vogliamo liberare risorse per una crescita. Meno Stato e più crescita: se sapremo vincere questa battaglia, tutto il resto seguirà.
Ricordo ancora, caro Direttore, l'editoriale con il quale Lei, pochi giorni fa, ha tentato di scuotere dall'immobilismo i nostri partiti denunziando opportunamente il "tempo zero della politica". Bene. Il manifesto per la Terza Repubblica potrebbe rappresentare la base per una "costituente dei moderati", una sorta di patto pre-elettorale che fissi le linee guida della Grande Riforma, la riforma dello Stato appunto. E potrebbe rappresentare anche per i partiti un'opportunità irripetibile: quella di rigenerarsi, di rivedere i propri codici di comportamento e di ritrovare quel principio di onestà e di servizio al quale spesso ci richiama la Chiesa. So che non è facile. Ma so pure che per rifondare la politica non bastano gli slogan di questi giorni. Ci vuole una grande idea, ci vuole un grande progetto. Per realizzare il quale non servono né giovani né vecchi, ma solo persone di buona volontà.