Dopo la tragedia è l'ora della speranza
di Tommaso Gandino
Il presidente del Senato, dopo aver passato la vigilia di Pasqua tra i terremotati, racconta a "Diva e donna" l'emozione sentita nei luoghi devastati dal sisma: «Come uomo ho provato un grande dolore, ma la ferma volontà di reagire e la grande forza d'animo che ho visto sui volti degli abruzzesi hanno accresciuto in me un grande senso di speranza». E ricorda: «Lo Stato c'è». «Come alcuni senatori a vita, anch'io rinuncerò all'indennità di aprile a favore dei terremotati»
Entriamo a Palazzo Madama. Il luogo è austero. Facciamo una breve anticamera a pochi metri dall'ufficio della seconda carica dello Stato.
I commessi sono gentili e sobri. Quando entriamo, Renato Schifani ci accoglie con cortesia. «Benvenuti», ci dice. Si alza e ci fa accomodare. E' diverso da come te lo aspetti. Nessun formalismo, ci mette subito a nostro agio.
Presidente Schifani, lei ha scelto di trascorrere la vigilia di Pasqua nei luoghi colpiti dal terremoto.
«Lo Stato in Abruzzo ha dato un'eccellente prova di efficienza. Protezione civile, Esercito, Vigili dei fuoco, Forze dell'ordine, sanitari, volontari sono stati veramente all'altezza. Lo Stato c'è. Questo è il dato fondamentale e la presenza sui luoghi del sisma dei rappresentanti delle Istituzioni e quella assidua del Presidente del Consiglio, hanno avuto un'importante valenza di conforto per il presente e di impegno per il futuro».
In questo scenario di devastazione, quali sono state le sue emozioni personali? E quelle di uomo delle Istituzioni?
«Come uomo ho provato un grande dolore, ma la ferma volontà di reagire e la grande forza d'animo che ho visto sui volti degli abruzzesi hanno accresciuto in me un grande senso di speranza. Da uomo delle Istituzioni mi sono sentito rassicurato dalla qualità degli interventi organizzativi e dalla compattezza del fronte politico. Spero che il clima di solidarietà nazionale emerso in questa tragica circostanza resista, riducendo la conflittualità tra maggioranza e opposizione».
Dalle cronache televisive di questi giorni si rimane colpiti dalla dignità della gente d'Abruzzo, che pur avendo perso tutto, raramente piange e si lamenta, ma con toccante compostezza ringrazia per gli aiuti.
«Siamo tutti orgogliosi del popolo abruzzese. Ho vissuto anche l'emozione di visitare i feriti ricoverati all'Ospedale Gemelli di Roma. Mi sono fermato a parlare in privato con un uomo che, secondo me, rappresenta il paradigma della dignità e della forza d'animo degli abruzzesi. Parlo dell'avvocato Maurizio Cora che ha perso nel terremoto la moglie, Patrizia, e le figlie Alessandra e Antonella. Un uomo che, seppur colpito da una immane tragedia, vissuta con grande compostezza e dignità, è esempio della fierezza e del carattere straordinario di questo popolo così duramente colpito».
Nella sua visita in Abruzzo, durante la diretta televisiva con Effetto sabato su Rai Uno, lei ha dichiarato che almeno mille euro per senatore sono pochi, come segno di solidarietà.
«Lo confermo. Alcuni senatori a vita hanno rinunciato alla loro indennità di aprile. Io li imiterò. Spero lo facciano in tanti. In ogni caso, chiederò ai senatori di rinunciare al contributo per l'esercizio del mandato parlamentare. Si tratta di oltre quattromila euro. Sto poi pensando a un'altra iniziativa di solidarietà che il Senato si potrà intestare».
La vediamo spesso con i soldati italiani in missione di pace all'estero. Nel 2002 ha passato la Pasqua a Pech in Kosovo. La vigilia di Natale del 2003 a Nassyria, poche settimane dopo il tragico attentato. Un'altra vigilia in Libano, a Shama, ed ora è appena tornato dall'Afghanistan. Perché?
«I militari italiani sono grandi professionisti. Veri portatori di pace nel mondo. Penso che le Istituzioni debbano far sentire la loro vicinanza a chi, con coraggio e sacrificio, lavora in difesa della sicurezza internazionale e della democrazia, rischiando la propria vita. I nostri ragazzi sono lontani dalla Patria ma vicini ai nostri cuori. Devono sapere che tutto il Paese è orgoglioso di loro, di quello che fanno e che rappresentano».
Signor Presidente, Lei è molto impegnato sul versante sociale. Ha voluto avvicinare le Istituzioni al mondo del volontariato e del recupero sociale. Ha voluto più volte rendere visita all'indiano al quale alcuni teppisti avevano dato fuoco. Ancora: il suo intervento personale è stato decisivo per permettere all'italiana Alessia Ravarotto di riabbracciare il figlio di tre anni, che era stato rapito dal padre egiziano.
«Sono profondamente convinto che le Istituzioni debbano uscire dal Palazzo per entrare nel sociale. E quando posso essere presente per testimoniare il mio sostegno, sento il dovere di farlo. Il mondo del volontariato e del "sociale" costituisce una grande ricchezza italiana. Per la vicenda del piccolo italo-egiziano, desidero rinnovare il mio grazie al presidente Mubarak che ho incontrato in visita ufficiale. Ha risposto positivamente e in tempo reale alla mia richiesta di intervento. Così come sono andato a manifestare la mia solidarietà all'indiano ustionato, vittima di un vile e inaccettabile atto barbarico. Ripeto, è giusto che le Istituzioni escano dal Palazzo e siano vicine ai cittadini che soffrono per essere davvero solidali con gesti concreti».
Lei non ama entrare nella polemica politica. Proviamo a stuzzicarla: election day, europee e referendum. La maggioranza era contraria, l'opposizione e il presidente Fini favorevoli. Lei?
«Da capogruppo del PdL mi sarei espresso. Da presidente del Senato non ho ritenuto e non ritengo opportuno far valutazioni politiche».
Palermitano, nato in una famiglia di impiegati statali, studente modello, poi, dopo la "fuga" dal ruolo di bancario, avvocato. Lei si è fatto da sé con grande determinazione e senso del dovere: da queste sue personali vicende di vita le deriva il modo di far politica vicino alla gente e in particolare con lo sguardo rivolto ai giovani?
«Che cosa sarebbe la società se non avesse a cuore le giovani generazioni? Certo che i giovani sono al centro delle mie attenzioni, così come lo è avvicinare i cittadini alle Istituzioni. Incontro moltissimi studenti e promuovo per loro iniziative di approfondimento dei principi alla base della qualità della democrazia, come quelli della nostra Costituzione e della Dichiarazione universale dei diritti umani. Del resto una nazione che non investe sul futuro e non è realmente al servizio dei cittadini, è destinata al declino».
Lei ha una fotografia che ama particolarmente, tanto da averle anche dato un titolo: Lezione di Storia.
«È stata scattata ad Auschwitz, durante la mia visita. Quell'immagine è rimasta nel mio cuore ed è un vero e proprio simbolo. I giovani ebrei che tornano sul luogo del massacro dei loro avi, con le bandiere dello Stato di Israele al vento, da vincitori. La vittoria del bene sul male, la sconfitta del nazismo, dell'orrore e della barbarie. Una vera e propria lezione di storia».
Lei richiama spesso il ruolo del Valore Italia. Che cosa significa?
« L'Italia, con la sua cultura, la sua operosità e il suo ingegno, al di là delle appartenenze, è un patrimonio leader nel mondo e va protetto, valorizzato e rivendicato. Ma il nostro Paese è anche altro: volontariato, generosità, solidarietà, impegno per gli altri. E questo è un aspetto fondamentale che non dobbiamo mai dimenticare. Dobbiamo esserne fieri».
I suoi rapporti con i media?
«Reciprocamente ottimi con quelli nazionali».
E con quelli della sua Regione?
«A volte provinciali nei miei confronti e più sensibili al gossip politico che all'ampiezza dei fatti reali».
Mi permetta qualche domanda privata. Lei non frequenta salotti. Decisamente una vita riservata. Quante ore lavora al giorno? E i suoi impegni con la famiglia?
«Lavoro molto, la carica che ho l'onore di ricoprire mi fa dimenticare la fatica. Inizio di mattina presto e termino la sera tardi, spesso a notte inoltrata. Sono grato a mia moglie Franca, che ha saputo accettare la mia necessaria assenza dalla vita familiare. E devo dire grazie anche ai miei splendidi figli Roberto e Andrea che mi aiutano sempre con il loro affetto e la loro maturità».