«Confronto aperto sulle nuove regole in Senato»
di Carlo Fusi
Il Parlamento è troppo lento e Silvio Berlusconi la sua ricetta l'ha già enunciata: governerò con i decreti, ovviamente sottoponendoli al vaglio del Quirinale per i requisiti costituzionali di necessità e urgenza. Il centro-sinistra è insorto. Con Di Pietro, e c'era da aspettarselo. Ma anche con Walter Veltroni e tanto di deriva "autoritaria". Contro il pericolo che la legislatura salga sulle barricate, Renato Schifani, Presidente del Senato, da sempre fautore del dialogo tra schieramenti - ha una ricetta. Che serve ad entrambi gli schieramenti. Ma soprattutto serve al Paese. Eccola. «La frequente decretazione costituisce una prassi da parte di tutti i governi, e questo proprio a causa del lento iter legislativo ordinario», è la premessa. «Ma è chiaro che, in previsione di modifiche regolamentari che snellissero tempi e procedure dei lavoro parlamentare, la richiesta di più decreti verrebbe, ne sono sicuro, molto ridimensionata. Significa che un governo che, appunto grazie a nuovi regolamenti di Senato e Camera, avesse la sicurezza di tempi certi per la pronuncia sulle proprie proposte, non avrebbe nessun interesse a passare attraverso la rigorosa verifica dell'esame sui presupposti di necessità e urgenza. Esame che, ricordiamolo, vede ormai in campo anche la Corte Costituzionale. Con un quadro siffatto, verrebbe anche spezzato il legame, certamente non opportuno, che spesso unisce decreti legge e voto di fiducia e che riduce in modo assai forte la possibilità di intervento delle aule di palazzo Madama e di Montecitorio». Insomma l'equazione giusta è tempi certi uguale meno decreti.
Tuttavia, Presidente, c'è una valutazione preliminare da fare: ha ragione Berlusconi quando parla di tempi parlamentari troppo lunghi che costringono il governo ad usare i decreti, o ha ragione il Pd quando accusa il Premier, a proposito di decreti, di non conoscere la Costituzione?
«Berlusconi, come Presidente del Consiglio, fa quello che hanno fatto tanti altri governi in tema di decretazione d'urgenza. Proprio per ridurne l'uso; si rivolge ai Presidenti delle Camere ponendo la questione di una riflessione sui regolamenti. Riflessione che è compito esclusivo dei due rami parlamentari attraverso i rispettivi organi: giunta per il regolamento, assemblea, gruppi parlamenti, presidenza. Attenzione, riprendo una considerazione a suo tempo fatta dal mio predecessore Marcello Pera: il Parlamento che è uscito dalle urne non è più un Parlamento di partiti bensì di coalizioni contrapposte. I regolamenti devono a mio avviso rispondere a due diverse esigenze: da un parte, quella di un governo che ha il diritto di veder esaminate le proprie proposte, specialmente quelle che ritiene determinanti per la realizzazione del programma sottoposto agli elettori. Il tutto in tempi ragionevolmente certi. Dall'altra, quello dell'opposizione a controllare l'attività governativa, a far conoscere le proprie ragioni, a vedere anche discusse ed esaminate proprie soluzioni alternative. Mi piace ricordare le parole di Anna Finocchiaro quando in Aula ha sottolineato "la grande questione del rapporto tra la democrazia e la decisione, in un mondo che esige ogni giorno decisioni sempre più pronte a tenere conto di evoluzioni anche repentine ed inaspettate dei settori dei quali siamo chiamati di volta in volta ad occuparci". Concordo con lei».
Presidente, parliamoci chiaro: è di queste ore il fatto che il premier accusi il principale partito di opposizione di "sfascismo", mentre il Pd definisce Berlusconi una «anomalia del sistema» e intravede «segnali di perdita della democrazia». Le chiedo: lei ravvisa questa sorta di emergenza democratica? E come è possibile che in questo clima l'opposizione si mostri disponibile alle riforme regolamentari?
«Io questa emergenza democratica non la ravviso. Certamente non in Parlamento. Che funziona, come ha funzionato nella precedente legislatura, grazie anche all'atteggiamento dell'opposizione che non ha assunto metodi ostruzionistici. Vengono garantiti spazi a tutti, le Commissioni lavorano a pieno regime. Personalmente non la colgo neanche nel Paese. Non respiro questo clima. In Italia è garantita la libertà di comunicazione, di espressione e di critica anche aspra. I cittadini vanno a votare ed esprimono liberamente il loro consenso, le loro opinioni. Quanto alla seconda domanda, vorrei sottolineare che in un sistema bipolare, in una democrazia dell'alternanza, l'opposizione di oggi può avere legittime aspettative di divenire maggioranza domani, ed avrà allora tutto l'interesse a realizzare il programma su cui gli elettori le hanno conferito il mandato. Lei mi ha chiesto di parlare chiaro ed io lo faccio: con le riforme del regolamento, ai poteri dati al governo dovrebbe corrispondere il riconoscimento di un ruolo "forte" dell'opposizione. Non spetta a me entrare nei dettagli ma è evidente che l'obiettivo deve essere quello di aumentare i poteri di controllo sull'attività di governo, di far conoscere con chiarezza le proposte alternative, di vederle anche discusse e votate, con procedure definite, dalle due Assemblee».
Insomma secondo lei, nonostante le bordate reciproche, i margini per una intesa bipartisan ci sono ancora...
«Me lo auguro. Anche perché le regole del gioco si dovrebbero cambiare di comune accordo. Ed ho più volte dato atto del fatto che, qui in Senato, maggioranza ed opposizione hanno sempre contribuito a definire il quadro delle cose da discutere; dividendosi poi, ed è sacrosanto, su come quelle cose dovessero essere realizzate. Aggiungo che per evitare il venir meno della fiducia da parte dei cittadini nei confronti del Parlamento - ad oggi unico organo direttamente rappresentativo della volontà popolare risulta più che necessaria una riforma che lo renda più pronto a rispondere ad esigenze che oggi spesso vengono, diciamo così, "scoperte" in ritardo. Dunque serve una maggiore trasparenza dei nostri lavori. Un rapporto più stretto sul territorio non solo dei singoli parlamentari ma dell'istituzione Parlamento non può che rinvigorire la fiducia in quella che rimane, per me, pur con tutti i suoi limiti quotidianamente ricordatici dalla stampa, il fondamento della nostra libertà: la rappresentanza parlamentare scelta col libero voto dei cittadini».
Passiamo al tema dei razzismo, Presidente. Anche qui le chiedo: siamo in presenza di fatti singoli seppur gravissimi, oppure almeno in questo caso è giusto parlare di fenomeno ad ampio spettro e dunque ancora più allarmante?
«Una cosa è parlare di razzismo in Italia, un'altra è parlare di singoli episodi di razzismo. Escludo che nel nostro Paese possa parlarsi di razzismo in senso assoluto: non è nel Dna dei nostri valori, della nostra tradizione, che è intrisa di tolleranza, accoglienza, aiuto ai più deboli ed emarginati, del rispetto delle etnie e delle culture. L'Italia non è, non è stata e non sarà mai un Paese razzista. Altra cosa è valutare episodi che non vanno sottovalutati, ma che appunto sono singoli. Io li vedo come un risveglio da parte di quella frangia estremista e fortunatamente minimale che ha reagito in maniera anomala a certi episodi efferati (penso all'omicidio Reggiani) commessi ahimè da extra-comunitari. Io sono andato a visitare in ospedale il signore cinese aggredito a Roma, ho parlato con la moglie che mi ha chiesto: ma domani possiamo camminare per strada? L'ho rassicurata sul fatto che il nostro è un Paese sano, che non accetta queste forme di violenza. Aggiungo che poiché gli assalitori, purtroppo in questo e in altri casi, sono dei minori, mi chiedo se non occorra che il legislatore faccia delle proposte specifiche per il loro recupero. Il tema della violenza giovanile, del teppismo, del bullismo è decisivo: forse servono risposte nuove rispetto a quelle già esistenti per stroncare il fenomeno».
Ancora una questione, pure questa targata Parlamento. C'è uno stallo, riprovevole, sia per quel che riguarda l'elezione di un giudice costituzionale sia per l'elezione del Presidente della Commissione di vigilanza Rai. Il gioco dei veti incrociati tra partiti blocca entrambi. Per la Vigilanza, è stato proposto il metodo della rosa di nomi rispetto all'indicazione secca del dipietrista Orlando. Lei è d'accordo?
«Come metodo, se accolto rappresenterebbe certamente un fattore di novità che potrebbe essere l'avvio di un cambiamento di atteggiamento. Quando si parla di "rose", è sempre meglio. L'importante è che si tratti di rose reali, cioè di candidature che riguardano esponenti sui quali si possa effettivamente innescare la discussione e il confronto».