Presentazione del libro «Alfredo Frassati. Un conservatore illuminato»
Signore e Signori,
con vivo piacere ho accolto la proposta dell'onorevole Jas Gawronski di ospitare qui in Senato la presentazione di questo bel libro che ci dà l'occasione di ricordare la grande figura di Alfredo Frassati.
Il libro della dottoressa De Biasio, che ho avuto modo di guardare pur nei limiti di tempo del mio incarico, offre un contributo assai documentato e articolato, con alcuni aspetti inediti che arricchiscono le conoscenze su Alfredo Frassati. Non spetta a me il compito di recensire e commentare questo lavoro. Ci sono qui autorevoli ospiti che sono stati chiamati per questo, e che sicuramente lo faranno con grande capacità. Io, nel porgervi il mio saluto personale e quello di tutto il Senato della Repubblica, vorrei toccare due aspetti della figura e dell'opera di Alfredo Frassati che mi sembrano di grande attualità. E poi vorrei proporvi qualche considerazione di sintesi su questi aspetti.
E' ben noto che Frassati fu fondatore, e a lungo proprietario, del quotidiano La Stampa, e che sviluppò con senso imprenditoriale e manageriale questa sua iniziativa portando, nel secondo decennio del Novecento, ad una tiratura di oltre trecentomila copie la diffusione del suo giornale. Basta solo questo dato per ricordare a tutti noi l'influenza che questa personalità ebbe nella vita italiana del primo Novecento.
Ma io vorrei anzitutto soffermarmi sulla figura di Alfredo Frassati come giornalista, sul suo impegno professionale, rigoroso e innovativo. Fu un eminente giornalista politico e ispirò tutto il suo giornale all'idea della trasformazione moderna della nostra vita democratica secondo l'esempio delle più antiche democrazie europee, e in particolare di quella inglese.
Come giornalista e editore aveva anche una lucida consapevolezza della funzione strategica della stampa nella democrazia di massa; in quella situazione che si andava formando anche in Italia, per effetto della nascita dei grandi partiti, prima quello socialista e poi quello popolare.
Nel primo numero del suo giornale - che si chiamava all'epoca "La Stampa - Gazzetta piemontese" - Frassati lucidamente notava come nello Stato moderno la stampa fosse ormai destinata a diventare "una forza nuova, ogni dì più potente, che non conosce confini nel suo orizzonte", e come dovesse porsi al servizio della "coscienza pubblica", vigilare affinché questa non fosse deviata dagli "interessi" o dalle "passioni".
Nelle parole dell'epoca è ben evidente la coscienza delle trasformazioni della società italiana che viveva la sua prima grandiosa crescita industriale e tecnologica come Paese unito e che aveva bisogno di una forte spinta culturale, di innovazione e di progresso civile e politico. La sua passione giornalistica lo portò anche a fondare nel 1899 a Torino, sul modello di quelle già esistenti a Milano e a Firenze, la prima Associazione della stampa, con le finalità di tutela degli interessi e della dignità del giornalismo. In quella sede si occupò a lungo anche di aspetti deontologici della professione, di inquadramento giuridico e contrattuale e di aspetti previdenziali del lavoro giornalistico. E il suo impegno fu sempre dalla parte del giornalista lavoratore e non certo dal versante datoriale e padronale, del quale pure lui faceva parte.
Non credo sia esagerato riconoscere in Alfredo Frassati uno dei pilastri del giornalismo moderno del nostro Paese. Moderno sotto ogni punto di vista: nel senso etico di servizio pubblico, come nella strumentazione organizzativa del lavoro.
Ma Frassati fu anche un politico e la sua lunga amicizia con Giolitti rappresentò il periodo più intenso del suo impegno. Frassati era un convinto sostenitore della necessità di affermare anche in Italia una moderna democrazia liberale. Il suo non era un liberalismo moderato a tutela di interessi costituiti. Era piuttosto un liberalismo avanzato, che rifiutava il moderatismo e le fughe in avanti del socialismo.
La sua dura battaglia contro la massoneria e le sue esagerate ramificazioni nello Stato, nella politica e nello stesso giornalismo dell'epoca, sono l'esempio più forte della sua concezione autorevole e libera dello Stato e della sua rilevanza per il progresso civile e economico.
Alfredo Frassati era quello che oggi si chiamerebbe un liberaldemocratico autentico, con profondi principi morali e sociali. Il grande rapporto di amicizia, di stima e di sostegno esplicito verso Giolitti non gli impediva di mantenere integri e chiari il suo pensiero e la sua originalità. La sua fiduciosa adesione nel 1911 fu piena, quando paragonò Giolitti a Cavour che "affermava e proponeva coi fatti che le riforme fatte a tempo evitano sempre le rivoluzioni sanguinose".
Tuttavia lo storico Valerio Castronovo ha ben riassunto quella che fu sempre una amichevole dialettica, scrivendo che "mentre l'azione di Giolitti era di contenimento delle forze nuove del Paese e si attuava essenzialmente in una politica di difesa della monarchia con il metodo della libertà, le vedute di Frassati contemplavano, piuttosto, l'esigenza di una espansione dei ceti produttivi e, quindi, anche degli operai e dei loro più diretti rappresentanti e una trasformazione dell'istituto monarchico sul modello della democrazia inglese".
E' ben noto che questo straordinario dibattito di idee e quelle trasformazioni sociali che si svolgevano nell'Italia di quegli anni poi non trovarono sbocco in una evoluzione democratica ma nella dittatura fascista. Non ho bisogno di ricordare che Alfredo Frassati fu un intransigente antifascista, e che perse il controllo del suo giornale proprio a causa delle sue idee e della sua indisponibilità a compromessi rilevanti.
Alfredo Frassati fu Senatore del Regno e Senatore di diritto nella prima legislatura della Repubblica. Quando nel 1961 morì - all'età di 93 anni - qualcuno notò che aveva voluto vivere fino al giro di boa del primo secolo dell'Unità d'Italia, quasi per constatare la solidità di un edificio e di una edificazione che amava più di ogni altra cosa. Una Italia alla cui crescita civile dedicò tutta la propria vita.
Sono davvero significative le parole che furono pronunciate nell'Aula del Senato, a caldo, il giorno 22 maggio del 1961, in apertura di una Sessione ordinaria dei lavori dell'Assemblea, poche ore dopo la sua scomparsa avvenuta la sera precedente. Il Senatore socialista Alberti lo definì "non solo come un liberale illuminato, ma anche il liberale non insensibile al primo, inquieto grido delle rivendicazioni del mondo operaio". Il Senatore comunista Berti non si trattenne dal dire "Noi stessi, l'ala estrema del movimento operaio che aveva dovuto prendere spesso posizione contro il gruppo e le idee politiche che egli rappresentava, tuttavia aveva sempre riconosciuto l'anelito liberale a cui egli si ispirava, a cui egli ha ispirato tutta la sua vita". Il Presidente del Senato Merzagora, facendo sue le parole di tanti colleghi intervenuti concluse dicendo che " egli proveniva dall'alta borghesia piemontese e fu sempre comprensivo del diritto dei poveri e dei valori sociali della nostra epoca moderna. Fu sempre democratico e parlamentare, anche quando questo gli costò molto caro. Aveva un carattere, e per questo, forse, si diceva che aveva un cattivo carattere. In un Paese come il nostro, dove gli uomini di carattere sono meno numerosi degli uomini di ingegno, egli rimane per tutti come un ricordo, come un monito, come un esempio".
In una Italia che stava vivendo il primo boom economico, e nella quale si lavorava per un centro-sinistra riformatore, la figura di Alfredo Frassati ci appare in tutta la sua incisiva modernità, sempre priva di retorica e pronta a pagare il prezzo per le proprie idee.
"La politica è una cosa seria, come la vita", scriveva Frassati nel 1919. Quasi cento anni spesi nel costante impegno per la crescita della democrazia nel nostro Paese.