Lo sviluppo della democrazia e le riforme istituzionali
Discorso pronunciato all'Università di Ottawa in occasione della visita istituzionale del Presidente del Senato della Repubblica, su invito dello Speaker del Senato del Canada Noel Kinsella.
Nel corso della visita, nei g
Madame Chancellor,
Autorità,
Membri del Corpo Diplomatico,
Signore e Signori,
desidero, anzitutto, esprimere una sincera gratitudine a tutte le Autorità canadesi che ho incontrato in questi giorni, anche per i loro calorosi riconoscimenti nei confronti dell'Italia.
Voglio, poi, rinnovare il mio più vivo e cordiale ringraziamento al Senato canadese e, in particolare, allo Speaker Kinsella, per l'invito che mi ha rivolto a visitare il Vostro Paese, e a conoscere, più da vicino, le Vostre Istituzioni e la Vostra realtà locale.
La mia riconoscenza va anche all'Università di Ottawa, e alle Sue autorità accademiche, per l'opportunità che mi è stata offerta di svolgere una breve conferenza in questa nuovissima sala.
Ho pensato di incentrare il mio intervento sui temi dello sviluppo della democrazia e delle riforme istituzionali.
Ho sempre avuto un grande interesse e un vero rispetto per la forza e l'intensità della Vostra peculiare esperienza democratica.
Una esperienza di democrazia e di libertà che, nei secoli più recenti, ha influenzato notevolmente i maggiori Paesi europei.
L'Italia ha conquistato un ordinamento pienamente democratico solo 60 anni fa, e guarda al vostro più lungo cammino con naturale attenzione e vera amicizia.
Nel nostro Paese è da tempo aperto un intenso dibattito sulle riforme istituzionali, al fine di rendere più efficienti e vicine ai cittadini le nostre Istituzioni rappresentative e amministrative.
Nel 2001 sono state approvate, dalla maggioranza di centro-sinistra, prime modifiche costituzionali, volte ad attribuire un ruolo maggiore al sistema delle autonomie regionali e locali.
Modifiche che hanno però, nei fatti, accentuato gli squilibri di competenze funzionali fra lo Stato centrale e le Regioni, e che devono perciò essere meglio bilanciate alla luce dell'esperienza concreta di questi anni.
Con un referendum nazionale i cittadini italiani, nel giugno del 2006, hanno respinto la riforma della Costituzione approvata in Parlamento dalla maggioranza di centro-destra.
Le proposte che ho appena richiamato, approvate dal Parlamento con il solo voto della maggioranza - prima di centro-sinistra e poi di centro-destra - hanno così mostrato tutti i loro limiti concreti.
La prospettiva più realistica - e certamente più efficace - è, oggi, quella di definire e approvare gli "aggiustamenti" veramente necessari, che adeguino alle mutate esigenze l'impianto costituzionale originario che i cittadini considerano, sostanzialmente, ancora valido.
Aggiustamenti e modifiche che devono impegnare con serietà il Parlamento e raccogliere un largo consenso politico per avere così la fiducia piena dei cittadini.
In tutto il mondo - e non solo nei Paesi di più antica democrazia - si manifesta oggi l'esigenza e la sollecitazione per un serrato confronto sull'efficacia delle istituzioni e della politica, al fine di conseguire assetti più efficienti e partecipati.
Le trasformazioni straordinarie che stiamo vivendo - per effetto della globalizzazione economica e dell'avvento della società della comunicazione - impongono, infatti, a tutti coloro che hanno responsabilità nella vita politica e pubblica, una riflessione incisiva e un impegno responsabile a definire proposte e soluzioni all'altezza delle sfide.
La Vostra democrazia rappresentativa e le Vostre istituzioni costituiscono un riferimento importante per molte democrazie.
Mi riferisco, in particolare, alla Vostra esperienza di federalismo, a quella peculiare storia e tradizione politica grazie alla quale il Canada è riuscito, fra l'altro, a contemperare una pluralità composita di istanze sociali, culturali ed etniche.
La Vostra esperienza istituzionale offre, da tempo, al mondo intero un vero e proprio modello positivo funzionante di immigrazione e di integrazione civile e sociale.
Credo che per il Canada sia giusto parlare di "società federale" perché, come è stato autorevolmente sostenuto, "il federalismo non consiste nella struttura istituzionale o costituzionale, ma nella società stessa. Lo Stato federale è un congegno attraverso il quale i caratteri federali della società si articolano e trovano protezione".
In questo mio breve discorso intendo svolgere tre punti.
Vorrei, innanzitutto, soffermarmi sul rapporto fra federalismo e democrazia.
Passerò, quindi, a parlare delle relazioni esistenti oggi fra democrazia, sistema politico e ruolo dello Stato.
Da ultimo, vi proporrò alcuni spunti sulla situazione politico-istituzionale che l'Italia sta attraversando.
Quando utilizzo il termine "federalismo" sono consapevole dei molteplici significati di questa espressione e delle diverse forme ed esperienze di Stato che ad essa vengono ricondotte.
A partire, naturalmente, dall'ordinamento del Canada nato dalla esigenza di adottare un modello istituzionale in grado di combinare le diversità nell'unità associando, come è stato detto da uno dei Padri di un altro federalismo, quello statunitense, "più Stati in un unico Stato".
Come ho anticipato inizierò con il parlare di federalismo e democrazia, un binomio che sta mostrando una capacità espansiva sempre più intensa, anche in questo nuovo secolo.
Infatti, quanto più si realizza la crescita e la maturazione della democrazia rappresentativa, tanto più si alimentano le aspirazioni di maggiore partecipazione delle comunità locali al governo della cosa pubblica, di maggiore valorizzazione delle identità territoriali, di riconoscimento delle diverse componenti sociali e culturali presenti, oramai, in tutte le società occidentali, ma anche in quelle di molti Paesi in via di sviluppo.
La strutturazione in senso federale dello Stato costituisce uno strumento che si sta dimostrando cruciale per la realizzazione di queste aspirazioni di partecipazione e di maggiore responsabilità della società.
Il federalismo deve essere, infatti, in grado di contemperare le esigenze di coinvolgimento delle popolazioni locali nelle decisioni pubbliche e di valorizzare il pluralismo territoriale con migliori garanzie di equità, di solidarietà e di unità.
I sistemi federali, inoltre, avvicinando il livello della decisione politica ai cittadini, devono anche contribuire a migliorare l'efficienza amministrativa e a rendere insieme più trasparente e più responsabile l'esercizio del potere.
Tutto questo, però, a patto che chi governa abbia ben presente che ogni sistema federale:
- richiede la ricerca e il mantenimento, di equilibri forti, spesso molto delicati e in continua evoluzione;
- comporta una chiara ripartizione di funzioni fra i diversi livelli di governo ed esige la definizione di precise responsabilità fra questi ultimi;
- prevede una più forte coesione nazionale e uno Stato centrale autorevole e con funzioni chiare e indiscusse, accanto ad autonomie regionali e locali capaci di svolgere tutti i compiti loro affidati;
- implica la necessità di sostenere costi che devono essere redistribuiti, anche attraverso effettivi meccanismi di perequazione, fra il governo centrale e quelli locali, senza gravare eccessivamente sui cittadini, e assicurando a tutti un trattamento omogeneo secondo la Costituzione;
- presuppone, inoltre, una vera maturità del sistema politico, a tutti i livelli, che sappia mantenere viva la coesione sociale complessiva e l'unità nazionale, pur nel riconoscimento delle autonomie e delle diversità.
Su tutti questi punti, che ho appena richiamato, devo riconoscere che l'esperienza istituzionale del Canada ha maturato molte cose da insegnare.
Già due secoli fa Tocqueville aveva colto il nesso fondamentale tra federalismo e democrazia ed aveva evidenziato come l'assetto federale di uno Stato potesse controbilanciare, in modo efficace, quei fenomeni che possono portare ad una degenerazione della democrazia.
Certamente il federalismo non è la panacea dei molti mali che affliggono le democrazie contemporanee, strattonate, da una parte, dalla crisi di vecchie politiche sociali, da istanze autonomistiche e localiste, da fondamentalismi religiosi e culturali, dalla mutevolezza delle proprie componenti etniche, e, dall'altra, dalla competizione e dalla globalizzazione delle economie e dei mercati, nonché dalle spinte ad equilibrare il prelievo fiscale e a rendere più efficienti la spesa pubblica.
Tuttavia, l'insegnamento di Tocqueville credo sia ancora attuale e in grado di spiegare la diffusa tendenza degli Stati contemporanei a ricorrere a sistemi istituzionali caratterizzati dalla coesistenza di forti governi locali accanto a quello centrale.
E qui, consentitemi di allargare le mie riflessioni al rapporto fra democrazia, sistema politico e ruolo dello Stato.
I problemi delle democrazie contemporanee, che ho appena richiamato, fanno emergere con sempre più evidenza l'insoddisfazione verso gli attuali meccanismi di scelte collettive e, il passo è breve, il diffuso scontento anche verso i sistemi politici.
In Italia, ad esempio, abbiamo appena vissuto una stagione di forte attacco verso la politica e verso il sistema pubblico, considerati solamente dei costi da ridurre in modo drastico.
Lo Stato nel suo complesso viene messo in discussione fino al rischio che, nelle teorie del cosiddetto "Stato minimo", si finisca per riconoscere solamente il "mercato" come principio regolatore indiscusso e assoluto.
Sono convinto, al contrario, e senza gettare ombra su talune criticità che effettivamente esistono, che la fase delicata e nuova che stanno vivendo le nostre democrazie richieda un impegno straordinario del "sistema pubblico".
Penso, però, ad un sistema "pubblico" moderno, efficiente, rispettoso dell'autonomia del privato e del ruolo essenziale delle imprese, capace di orientare, di accompagnare e di promuovere la crescita civile e lo sviluppo economico.
Così come sono convinto, e come ho avuto modo di dire anche in altre occasioni, che le problematiche straordinariamente complesse con cui le nostre società si confrontano devono tornare ad essere affrontate dalla politica.
Da una politica fortemente e direttamente responsabilizzata, che sappia assumersi l'onere di decisioni concrete, delle riforme possibili, con il gradualismo necessario.
Il compito al quale siamo chiamati non è affatto facile.
Un assetto istituzionale e politico con significativi poteri e funzioni decentrati a livello locale può contribuire a migliorare il rapporto di fiducia fra cittadini e apparati pubblici e a rafforzare la stessa legittimazione democratica del sistema politico.
Irrobustire i poteri regionali e locali deve anche rappresentare l'occasione per uno snellimento significativo dello Stato centrale, che ne rafforzi le funzioni di indirizzo, di coordinamento e di controllo, lasciando invece le attività di gestione diretta, appunto, ai poteri locali o alle organizzazioni della società.
In Italia, come dicevo all'inizio - e così arrivo all'ultimo punto del mio intervento - il confronto culturale e politico è oramai da molti anni incentrato sulla necessità di individuare riforme istituzionali e costituzionali capaci di dare risposte più adeguate alla fase di transizione e di cambiamento che sta vivendo il Paese.
Le nostre Regioni - che grosso modo equivalgono alle Vostre Province - pur previste nella Costituzione Repubblicana, entrata in vigore nel 1948, sono state attuate solo nel 1970 perché vi erano vive preoccupazioni per la possibile disarticolazione dello Stato in un quadro politico interno di forte contrasto ideologico e di "guerra fredda" sul piano internazionale.
Il clima politico culturale italiano è da tempo mutato e molte esperienze di governo locale - regionale, provinciale e delle città -si sono rivelate assai innovative e più idonee ad affrontare i nuovi problemi dei cittadini.
Anche a seguito della modifica della parte della Costituzione che ha rimodulato i rapporti fra Stato centrale e periferia, i tempi sono dunque maturi per fare passi ulteriori verso un più incisivo ed equilibrato riconoscimento dei poteri locali e una più intensa affermazione del principio di sussidiarietà.
Per far questo credo si debba cominciare dalla riforma del nostro bicameralismo perfetto, dove la Camera dei Deputati e il Senato sono entrambi eletti a suffragio universale e hanno la stessa funzione legislativa.
A mio avviso si dovrebbe definire la trasformazione del nostro Senato nella Camera rappresentativa delle Regioni e di altre forme di Governo locale.
Riscontro ormai, su questo importante argomento, la maturazione di un consenso diffuso tra le forze politiche, che è anche la premessa per un serio confronto parlamentare e per una decisione a larga maggioranza.
Auspico, poi, la conclusione del percorso di riforma del federalismo fiscale, in cui le responsabilità dei governi sul territorio siano accompagnate da strumenti finanziari più idonei e congruenti con le specificità locali, pur con la previsione di necessari meccanismi perequativi e di solidarietà.
Credo, davvero - e voglio sottolinearlo ancora - che molto possa derivare dal rafforzamento equilibrato del nostro originale sistema di articolazione istituzionale che riconosce le Autonomie locali e sociali, e che si propone di rilanciare il protagonismo delle Regioni e di altre forme di Governo locale, così come di dare maggiore spazio e valore ai contributi della società e delle sue diverse e libere organizzazioni.
Ma ogni riforma dei nostri Ordinamenti potrebbe risultare solo una decisione di "ingegneria istituzionale" senza un profondo rilancio della responsabilità politica, senza un rinnovamento della vita pubblica.
Guardo sempre con sospetto agli attacchi moralistici o strumentali che vengono rivolti alla vita politica.
Tuttavia, non posso non convenire con l'esigenza che la politica dimostri una nuova capacità di orientare le grandi scelte delle quali le singole comunità nazionali, e tutto il mondo, hanno bisogno, con il metodo del dialogo, del confronto, e poi, però, con la responsabilità chiara della decisione.
In Italia, i due maggiori partiti del centro-sinistra - la Margherita e i Democratici di Sinistra - hanno, da tempo, deciso di sciogliersi e di dare vita al Partito Democratico.
E' questa, anzitutto, una esigenza di riduzione del numero dei partiti e di semplificazione della vita politica che ha ormai raggiunto taluni eccessi di frammentazione intollerabili e dannosi.
Ma è, anche, una sfida di impegno moderno per una risposta concreta ai problemi del nostro Paese e alla sua capacità di offrire un contributo incisivo nel quadro europeo e internazionale.
Il sistema dei partiti di massa che ha fatto la Repubblica e la Costituzione, che ha sostenuto scelte fondamentali di politica estera e di alleanze internazionali, che ha accompagnato l'Italia nella sua straordinaria crescita economica, sociale e civile, ha iniziato a mostrare i suoi limiti fino dalla metà degli anni Settanta.
La crisi definitiva delle grandi ideologie totalitarie che hanno caratterizzato il Novecento apre spazi nuovi di responsabilità e di iniziativa per la politica.
Spazi che non possono essere riempiti da ciò che resta di vecchie oligarchie partitiche, né, tantomeno, da improvvisati partiti personali o da figure carismatiche in grado, magari, di approfittare delle opportunità offerte dalla società della comunicazione.
Sono oggi maturi i tempi in Italia per vedere la formazione e la responsabilità di nuove forze politiche democratiche, aperte e partecipate, con dirigenti scelti ed eletti dai cittadini, capaci di impegnarsi per risolvere i problemi comuni.
Crescita collettiva equilibrata e diritti individuali chiedono oggi - certamente in Italia - un nuovo progetto di modernizzazione sociale e politica, dopo quello degasperiano del dopoguerra e quello del primo centro-sinistra.
Sono cresciute in questi anni le aspirazioni di cittadinanza democratica di fasce sempre più vaste di cittadini che esigono una democrazia più aperta ed efficiente.
L'esistenza e l'idea del Partito Democratico non sono dunque di oggi: hanno radici nel dibattito vivace, e a volte confuso, di questi anni, tra spinte di movimenti elitari e resistenze di partiti vecchi solo restaurati.
La nascita di questa esperienza nuova non potrà avvenire dall'alto, attraverso decisioni verticistiche di elite ristrette.
L'obiettivo non è dunque quello di dare vita ad un nuovo partito, ma ad un partito nuovo, che non nasce dalla semplice fusione della Margherita e dei Democratici di Sinistra, ma che può contare sulla esperienza di collaborazione, da più di un decennio, di culture e forze politiche socialdemocratiche, cattolico-democratiche, liberaldemocratiche e ambientaliste.
L'ambizione di questo disegno - voglio sottolinearlo ancora come Presidente di un ramo del nostro Parlamento - è che un simile processo di semplificazione e di chiarificazione possa germogliare anche nello schieramento di centro-destra, contribuendo così ad una piena maturazione del nostro sistema bipolare, e ad una maggiore capacità di governo.
La politica nel suo complesso deve dunque offrire proposte più incisive e stimolanti, capaci di intercettare la crescita diffusa di cittadinanza democratica e di coinvolgerla nelle responsabilità della vita collettiva e dei suoi equilibri di giustizia e di libertà.
Dunque, una nuova politica che deve anzitutto rispondere a domande vere e profonde della società e che deve esprimersi attraverso una nuova generazione di politici più giovani, capaci di nuove responsabilità nella nostra vita comune.
La nostra vita democratica dovrebbe così caratterizzarsi con un più sano ed efficace bipolarismo, con coalizioni capaci di sfidarsi e di competere per governare e non per difendersi l'una dall'altra secondo gli schemi di un contrasto ideologico che non esiste più nella realtà delle cose.
Come potete capire ho ritenuto di dover fare qualche riferimento concreto e attuale alla situazione politica del mio Paese, non solo per offrirvi una mia riflessione, ma proprio per raccontarvi dal vivo quello che accade, e per rinsaldare così quel sentimento di lungo confronto e di amicizia che ha sempre distinto i nostri rapporti.
Quel sentimento di fiducia reciproca che ha portato decine di migliaia di italiani a scegliere il Vostro Paese come luogo di lavoro e di residenza e ad integrarsi pienamente e democraticamente in esso.
Quel sentimento che ha radici profonde non solo nella comune origine europea, ma anche nella solida alleanza atlantica e nella comune visione di molti grandi problemi del pianeta.
Una visione solidale dello sviluppo civile, della tutela dei diritti umani e della diffusione della democrazia nell'arena internazionale e che ci ha portato, negli anni più recenti, a condividere, pur in forme diverse, l'impegno per sostenere il cammino libero e democratico dell'Afghanistan.
Proprio per questi motivi, abbiamo interesse a conoscerci più a fondo, valorizzando opportunità e complementarietà. A cominciare da una maggiore sintonia tra le nostre Istituzioni parlamentari, cioè dal cuore di ogni democrazia: come in questi giorni è stato fatto, grazie alla sensibilità e alla collaborazione dello Speaker Kinsella, che ancora ringrazio.
Ringrazio ancora anche l'Università di Ottawa per avermi consentito l'opportunità di esporVi queste mie considerazioni e mi auguro che la nostra amicizia e la collaborazione fra i nostri Paesi e le nostre Istituzioni - non solo sul piano politico ed economico, ma anche su quello culturale - proseguano e crescano con reciproca soddisfazione.