Crescita del Paese, sviluppo locale, competititvità
Per un rapporto fra Stato e Autonomie locali efficiente e sostenibile
Discorso pronunciato al convegno di Banca Intesa
Roma - Complesso Monumentale di San Michele a Ripa Grande
Desidero preliminarmente ringraziare il Presidente di Banca Intesa, Giovanni Bazoli, e l'Amministratore Delegato, Corrado Passera, per l'invito a questo vostro importante incontro.
Gli impegni istituzionali, anche odierni, mi consentono di formulare solo un saluto e qualche breve considerazione sui temi del vostro lavoro.
Del resto, che la responsabilità affidatami dai senatori sia un pochino impegnativa anche per la struttura di maggioranza ed opposizione a palazzo Madama è una cosa, credo, nota.
Signore e Signori,
la questione della competitività del nostro Paese è diventata tema centrale del dibattito economico e politico degli anni recenti. Al di là di tanti fattori specifici, a mio avviso la ragione principale risiede nel fatto che la competizione economica è diventata veramente globale.
Tutte le economie produttive dei Paesi occidentali sono sfidate da aree di nuovo e più recente sviluppo. In questa competizione, sostanzialmente pacifica, l'Italia è impegnata ad essere all'altezza delle sue notevoli capacità reali e a liberare al meglio le sue potenzialità. Del resto, tirare fuori il meglio di noi quando siamo in difficoltà è un dato distintivo del nostro carattere nazionale. Ne sanno qualcosa tedeschi e francesi, se mi è consentito in un'aula come questa evocare recenti vicende sportive certo meno rilevanti sul piano del dibattito economico e politico ma comunque fortemente coinvolgenti dell'animo del nostro Paese.
Siamo ad una svolta difficile, stretti tra esigenze di misure per il riequilibrio dei conti pubblici, tra domande sociali di maggiore equità, tra pressanti esigenze del sistema produttivo di interventi mirati al sostegno al nuovo sviluppo.
La politica e le istituzioni hanno da tempo sul tavolo questi temi e si cercano, spesso un po' troppo affannosamente, risposte incisive. Queste risposte, ovviamente, non sono solo di carattere economico o finanziario, ma interpellano l'organizzazione dello Stato, il funzionamento della sua macchina amministrativa, l'efficienza e l'efficacia del suo ordinamento.
Nei primi anni Novanta, con le modifiche alle leggi elettorali, abbiamo introdotto alcune importanti semplificazioni nel sistema istituzionale, con l'avvio della democrazia bipolare al centro e nei governi locali, e con l'elezione diretta dei Presidenti di Regione e dei sindaci.
Qui la politica ha un'urgenza, la sottolineo a voi, ma anche alle forze politiche, perché starà a loro stabilire i tempi e i modi: non esito a definire la legge elettorale ultima, con la quale il Paese è andato al voto nelle recenti elezioni politiche, un forte arretramento, una cancellazione dell'idea del cittadino arbitro, e quindi il Paese, il Parlamento, le forze politiche hanno il problema di correggere questa legge elettorale come un'urgenza.
In parallelo a queste decisioni, si è sviluppato un lavoro di riflessione e di dibattito per la riforma della Costituzione, riflessione e dibattito che non hanno impedito di far compiere errori ad entrambi gli schieramenti, come quelli determinati dal centro-sinistra nel 2001 con la frettolosa e unilaterale riforma del Titolo V, o quelli dal centro-destra con il progetto complessivo di revisione della II Parte della Costituzione, largamente bocciato dai cittadini italiani con il referendum di quattro mesi fa.
Nel quadro attuale, l'esigenza sentita da cittadini ed imprese di una revisione profonda del sistema degli apparati pubblici centrali e locali rimane ancora senza adeguate risposte. È questo l'argomento che più mi ha convinto nella relazione all'Assemblea Generale di Confindustria del Presidente Montezemolo, come pure nelle Considerazioni Finali del Governatore della Banca d'Italia Draghi.
Ma allora, sia pure per cenni e con l'occhio al dibattito tra di voi in questi giorni, cosa bisogna fare concretamente per dare qualche vera risposta al problema?
"Il buon governo dipende assai di più da una buona amministrazione che da una buona Costituzione": questa affermazione, contenuta in un antico manuale di diritto pubblico, torna utile per capire quanto le istituzioni concrete, quelle deputate alla cura e alla promozione degli interessi sociali ed economici contino realmente nell'assicurare efficienza, tempestività e quindi competitività alle comunità al cui servizio sono poste.
Occorre dunque passare da una fase di costante instabilità, sia negli ordinamenti che nei generici giudizi di inefficienza rivolti alle strutture e al personale pubblico, da questa fase di costante instabilità ad una fase che vorrei riassumere con tre concetti: stabilità, regolarità e responsabilità.
Non c'è dubbio che limitati aggiustamenti costituzionali sono necessari per dare stabilità al nostro originale modello federalista e completarlo con gli aspetti della fiscalità. Insistere, però, nel momento in cui bisogna fissare delle priorità rispetto all'urgenza dei problemi, sull'ingegneria istituzionale senza cambiare la mentalità, la qualità, gli obiettivi che ogni amministrazione pone a se stessa, significa continuare a terremotate le regole e gli apparati rendendo impossibile l'efficienza alla cui base vi è innanzitutto la certezza della stabilità.
Quale grande organizzazione aziendale potrebbe mai affrontare una profonda ristrutturazione senza una certezza e una stabilità degli ordinamenti e delle regole? Dunque, stabilità e regolarità, ovvero rispetto delle regole esistenti, che sono tante e spesso giù in grado di incidere, se non messe sempre in discussione.
Voglio sottolineare questo punto perché mi sembrerebbe davvero una grande rivoluzione per il nostro Paese, troppo abituato, purtroppo, ad invocare sempre nuove soluzioni e ricette, invece di applicarsi ad usare bene e rispettare intanto quelle che esistono.
È poi decisivo il tema della responsabilità, come molti degli amministratori che sono qui sanno più di me.
Cosa vuol dire oggi responsabilità nel nostro sistema pubblico? Vuol dire, ad esempio, capacità, attitudine delle diverse istituzioni a convergere verso obiettivi comuni e non solo a dialettizzare senza limiti.
Vuol dire credere nel principio della leale collaborazione tra istituzioni e corpi dello Stato, rinunciando al classico gioco del rimpallo.
Vuol dire pure, nell'alternanza naturale e democratica del cambiamento dei gruppi dirigenti alla guida delle amministrazioni, attuare gli impegni politici presi nel rapporto con l'elettore ma sempre nel rispetto dell'interesse generale che non si presta a cancellazioni repentine di responsabilità, ma a cambiamenti programmati e traguardati sempre all'interesse dell'intera comunità.
Le democrazie di più lunga tradizione si fondano su questi principi e vivono la complessità e la pluralità dei poteri istituzionali con l'impegno e la condivisione di finalità comuni. Traguardate all'interesse generale, naturalmente.
Vado dicendo da quando la legislatura è iniziata, e non solo per la esiguità della maggioranza di centro-sinistra al Senato perché problemi seri li ha avuti anche il centro-destra nella scorsa legislatura con una maggioranza ben più larga, che è necessario consolidare e far maturare il nostro giovane bipolarismo.
Le forze politiche di maggioranza e di opposizione, alla luce del sole, nel confronto parlamentare, devono poter convergere su temi essenziali del Paese. A me pare che il richiamo del Capo dello Stato - che c'è oggi sugli organi di stampa - si ispira proprio allo sforzo, in una situazione politica che ci ha visto molto divisi, di individuare momenti nei quali mettere al primo posto l'interesse generale.
I cittadini e gli operatori economici sarebbero avvantaggiati da scelte più solide ed equilibrate, da decisioni frutto di azioni determinate dalla ricerca dell'interesse generale.
Queste cose le dissi anche quando ringraziai il Senato della mia elezione, dinanzi alla sostanziale divisione a metà della Camera che presiedo. Forse non è giusto dire proprio così perché in democrazia anche un voto è determinante e del resto proprio di un voto si tratta perché, non votando più io, se conto solo gli eletti in Italia al Senato lo schieramento da cui provengo ne ha uno solo in più, 158 a 156, in quanto il Presidente che non vota. Poi, certo, i senatori a vita e i sei eletti all'estero che hanno gli stessi diritti degli altri eletti. Però il problema esiste.
E lo scetticismo è sempre ingiustificato, perché, pur senza alcun trionfalismo - non è il caso e non ce ne sono le condizioni - debbo però sottolineare che almeno in queste ultime settimane al Senato la buona volontà di tutti e la disponibilità quando, ce n'è la ragione, a convergere su un punto d'interesse generale, ha portato all'approvazione bipartisan, del decreto Mastella sulle intercettazioni concordando faticosamente dentro la Commissione Giustizia modifiche importanti al testo. C'era stato già un risultato di questo genere sui decreti legislativi successivi alla "legge Castelli" sull'ordinamento giudiziario, in parte sospesi per un'azione di riforma da sviluppare successivamente: doveva essere un punto di feroce scontro, non è accaduto e io sono grato a chi ha lavorato per questo. Lo stesso per il dibattito sulle violente reazioni proveniente da parti del mondo islamico all'intervento del Papa a Ratisbona: alla fine, pur partiti da posizioni e da mozioni molto distanti tra loro si è arrivati alla conclusione con un voto di quasi unanimità.
Quando ci sono le divisioni, le logiche della contrapposizione vanno rispettate, la dialettica tra le forze politiche è scontata, però io insisto nel dire che almeno lo sforzo, come ho detto il primo giorno, ripeto oggi e dirò ancora, quando si individua un punto sul quale si concentra un interesse fondamentale del Paese, il dovere è almeno provare a chiarirsi ed a cercare di risolverlo. A volte può avere risultati positivi. Questa è un'esigenza che ha la politica oggi.
Concludo: così come tra i livelli centrali e quelli regionali l'impegno ad un maggiore e costante confronto per costruire insieme le soluzioni idonee, mi sembrerebbe il terreno più serio di lavoro. I Paesi che vantano un federalismo avanzato ed efficiente funzionano attraverso patti ed accordi tra le diverse istituzioni, con l'impegno di tutti a cercare le soluzioni equilibrate e ragionevoli per i problemi. Se saremo capaci di sviluppare queste cose, credo che faremo veramente quelle riforme che il Paese attende, per esprimere tutta quella capacità competitiva, tutte le energie profonde e le risorse straordinarie delle quali disponiamo, perché io alla ineluttabilità del declino proprio non credo, se guardo e conosco bene il nostro paese, anche alla luce di una lunga esperienza sul piano sociale e sul piano politico.
Sono convinto che queste mie brevi considerazioni, espresse qui tra di voi in un'occasione promossa da una banca che si sta impegnando con serietà e continuità nelle sfide di adeguamento ai nuovi scenari europei e mondiali, potranno trovare una qualche attenzione e mi auguro contribuire al lavori del vostro convegno.