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Il Presidente: Discorsi

Commemorazione di Giacomo Matteotti

Roma, Lungotevere Arnaldo da Brescia

Signore e signori,
ci troviamo, oggi, a rendere il nostro omaggio alla figura di Giacomo Matteotti proprio nel luogo dove, il 10 giugno del 1924, fu rapito e ucciso.

In questo anno in cui celebriamo il sessantesimo compleanno della nostra Repubblica è bene rammentare a noi stessi, e principalmente alle giovani generazioni, che è stato anche grazie all'adesione totale, spinta fino alla morte, ai principi di libertà, di giustizia, di uguaglianza, di tolleranza di uomini come Giacomo Matteotti che la Repubblica ha visto la luce dopo il ventennio fascista e la tragedia della seconda guerra mondiale.

Oggi è giusto anche esprimere un pensiero affettuoso al figlio di Matteotti, Giancarlo, che fu costituente e deputato per diverse legislature ed è scomparso lo scorso mese. Filippo Turati, nel suo discorso pronunciato il 27 giugno del '24 in ricordo dell'amico assassinato, si rivolse all'Assemblea dei deputati di opposizione con una preghiera: «Vorrei che a questa riunione non si desse il nome logoro, consunto di "commemorazione". Noi non "commemoriamo"».

Un invito a non consegnare al ricordo - o solamente al ricordo - il sacrificio di un uomo che pagò con la morte il suo implacabile atto d'accusa contro la soppressione della libertà e della legalità democratica. Infatti nella seduta del 30 maggio del '24 in cui si discuteva la proposta avanzata dalla Giunta delle elezioni di convalidare in blocco gli eletti della maggioranza, Matteotti ebbe il coraggio di denunciare le illegalità commesse dai fascisti e dagli organi di governo durante la campagna elettorale.

Era perfettamente consapevole dell'alto rischio a cui si esponeva, tant'è che al collega Giovanni Cosattini che lo raggiunse per congratularsi dell'intervento disse: «Però voi adesso preparatevi a fare la mia commemorazione funebre».

Alla politica, e al socialismo, si era avvicinato prestissimo, all'età di sedici anni, colpito dalla miseria della sua gente, la gente di Fratta Polesine.

Ricordandolo nell'ottantesimo anniversario del suo omicidio Giuliano Vassalli indicò in lui «il giovane alfiere del socialismo italiano».

Dimostrò come la condizione dei più deboli potesse rappresentare un motivo di sofferenza anche per un giovane che viveva nell'agiatezza.

In una pubblicazione dei profili biografici dei deputati della XXVI legislatura, leggiamo che Matteotti: «quando narrò alla Camera gli atti ignobili, criminali che furono compiuti da vere bande di briganti nel Polesine senza alcun ritegno nemmeno di fronte alle donne e ai bambini, non riuscì a frenare il pianto».

Venne eletto nel 1910 nel Consiglio provinciale di Rovigo e da quel momento l'impegno politico fu al centro della sua vita, una esigenza, una spinta forte, ancora più forte, dell'amore per gli studi giuridici che, tuttavia, non abbandonò mai.

Era fermamente convinto della necessità e dell'utilità dell'impegno sindacale per determinare e accompagnare i cambiamenti. Aveva compreso l'importanza della funzione del lavoro per l'emancipazione delle persone.

La sua vita è una pagina straordinaria di grandi idealità che lo portarono ad essere il socialista riformista che fu, capace di tradurre il pensiero nell'impegno quotidiano. Esemplificativo mi pare questo brano tratto da una relazione dell'aprile 1923: «Rivedere la propria dottrina, saggiarla e aggiornarla al confronto dell'esperienza è cosa degna di un partito d'avvenire che vuole essere al tempo stesso un partito di realtà».

Non saprei trovare parole più esplicite ed eloquenti per disegnare un'identità ed un metodo riformista per un soggetto politico.

Matteotti nel 1919 fu eletto deputato. Alla Camera - lo apprendiamo da numerose testimonianze - era giunto pressoché ignoto alla grande maggioranza degli italiani. In brevissimo tempo, riuscì a distinguersi per levatura morale, cultura e competenza.

Aveva una visione alta della politica e della missione di parlamentare. I suoi interventi in Aula e nelle Commissioni parlamentari non conoscono la retorica, ci mostrano piuttosto lo scrupolo con cui Matteotti raccoglieva cifre, dati, statistiche, prove inconfutabili. Passava ore nella biblioteca della Camera a sfogliare libri, a preparare relazioni, a diramare circolari.

Matteotti capì, prima di ogni altro, che non si trattava solo di ripristinare la legalità e di restaurare l'ordine democratico. Era necessario evitare che il fascismo si impadronisse dello Stato. Lanciò l'allarme del pericolo fascista come fenomeno anche europeo, non solo italiano.

La figura di Matteotti si è trasfigurata nel Martire della Patria, a cui sono state intitolate piazze e vie.

E' nostro dovere fare in modo che quell'esempio resti attualissimo, che il nome di Matteotti non si legga solo in una via o in una piazza. Che il suo stile antiretorico sia un esempio per i giovani e anche per le nuove generazioni di politici che guideranno in futuro il nostro paese.

Matteotti è stato per tutti gli antifascisti italiani, il simbolo della libertà, della passione civile, della lotta contro la violenza, contro la demagogia.

Avverso alla politica dei compromessi praticata anche da molti suoi compagni, coerente avversario della guerra, riformista serio e coerente, uomo d'azione e un uomo di profonda cultura.

Preciso, tagliente, coraggioso fino al punto di affermare: «uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai». Anche in questo era stato profetico. L'idea resiste, sopravvive.

Noi abbiamo il dovere di non disperdere quell'eredità di valori unificanti per i quali fu disposto all'estremo sacrificio.

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