Cento anni del settimanale «L'eco del Chisone»
Ho piacere di rivolgere a tutti i presenti un saluto davvero cordiale. Un ringraziamento particolare agli organizzatori di questo evento che festeggia cento anni di attività di un giornale, una cosa importante per tutta la vostra comunità.
Sono venuto volentieri a celebrare con voi questa occasione perché considero davvero rilevante il rapporto di fiducia e di riconoscimento che il vostro giornale locale ha saputo costruire e mantenere con tutta la realtà civile di questa parte del Piemonte.
Il 10 novembre del 1906 veniva pubblicato a Pinerolo il primo numero de "L'Eco del Chisone".
Oggi sono passati esattamente cento anni da quell'evento e il vostro settimanale è ancora vivo e vitale, come dimostrano i dati della sua diffusione e, soprattutto , quelli della sua lettura.
Nel primo editoriale fu esposta la linea, moderna per quei tempi, che definiva gli obiettivi di questa nuova pubblicazione.
«Il giornale del pubblico nel senso più largo della parola - lo definiva il suo fondatore - ossia un giornale che potesse accogliere le opinioni, i pensieri, i reclami, le proposte eque ed oneste su qualunque argomento e di qualunque persona che volesse far noti i propri desiderata ed esporre le loro idee».
Per la prima volta un libero giornale si rivolgeva a tutti, anche ai contadini e agli operai che volessero «far noti i loro desiderata ed esporre le loro idee».
Questa impostazione così aperta - in un'area economica avanzata come quella del Piemonte - non era cosa di poco conto in anni nei quali la lotta di classe aveva radici ideologiche e sociali forti. Proprio questa linea, innovativa e pragmatica al tempo stesso, determinò il successo di allora e di oggi del giornale.
Dopo pochi mesi dalla fondazione il giornale fu acquistato dalla Diocesi di Pinerolo. Il cambiamento di proprietà non significò un mutamento della linea che rimase costantemente "laica", di ispirazione cattolica.
Confermando sempre l'attenzione nei confronti della realtà della società, L'Eco andava così rafforzando l'attitudine ad affrontare le questioni sociali in termini solidaristici anziché antagonistici. La rotta era quella della collaborazione responsabile fra le classi. Questo era il cuore della straordinaria e attuale concezione del grande Papa romano che, pochi anni prima, aveva lanciato al mondo industriale la sua Dottrina sociale.
L'Eco del Chisone cominciò a parlare di diritti dei lavoratori e di giuste vertenze finalizzate a trovare accordi con i datori di lavoro. I temi dello sciopero e di altre forme di rottura delle relazioni non venivano negati ma lasciati in ombra, per valorizzare invece una attitudine a cercare comunque dei risultati migliorativi. Lasciatemi dire che quella attitudine, certamente coraggiosa per il tempo ed il luogo, si impone - a mio modo di vedere - per la sua modernità.
Con parola oggi forse un po' abusata potremmo definirla una scelta "riformista". E, pertanto, una scelta di progresso che non è affidato allo scontro pregiudiziale o alla contesa ideologica ma alla fatica di trovare punti progressivi di intesa che consentano il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita insieme alla crescita produttiva.
Da questa strada torniamo ad un tema che a me sta particolarmente a cuore: la concertazione. Mi è capitato di parlarne anche in altre occasioni: considero la concertazione tra le parti sociali ed il governo più che uno strumento per affrontare le vertenze o risolvere i conflitti. Naturalmente alla fine è - e deve essere - nella responsabilità dell'esecutivo assumere le decisioni perché così si fa in democrazia.
Ma attraverso la concertazione si possono e si debbono affrontare anche le grandi questioni che, partendo dal mondo del lavoro, si trovano ad avere peso e riflessi altissimi sul presente e sul futuro delle nostre società.
Ho in mente, e lo dico con poche parole, la questione del lavoro precario. Viene calcolato che sono circa quattro milioni i giovani, e meno giovani, che oggi vivono la condizione del lavoro a termine, spesso, spessissimo, mal pagato e tutelato. Ho detto "meno giovani" perché - come ricordano le statistiche - almeno il 50% di costoro ha superato i trent'anni.
Abbiamo il dovere di trovare il giusto equilibrio tra le flessibilità necessaria e la drastica riduzione dell'area del precariato. Sappiamo bene cosa vuol dire l'incertezza e la precarietà: speranza di futuro migliore prossima a zero, rinuncia a costruire una vita di coppia, impossibilità di un'esistenza serena e rischio forte di solitudine. Una società solidale non può accettare questo destino.
Un Papa da tutti noi molto amato, un Papa indimenticato com'è Giovanni Paolo II nella enciclica Laborem Exercens - scritta a novant'anni dalla magistrale Rerum Novarum di Leone XIII - ammoniva: «Il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla dal punto di vista del bene dell'uomo».
Non possiamo stare a guardare l'enorme faglia che sta separando sempre di più quanti oggi hanno venti o trenta anni e quanti, invece, più anziani, sono più garantiti, tranquilli e - diciamo - anche distratti. Qualcuno ha parlato di "patto generazionale": si lavori per farlo. Si costruiscano le condizioni perché lo Stato sappia mostrare a questi giovani donne e uomini il suo volto amico, perché la Repubblica sappia investire nel suo futuro, perché "il domani per i giovani sia migliore dell'oggi" per loro così come lo è stato per noi.
So bene che non si tratta di opera semplice, ma so altrettanto bene che abbiamo un dovere etico e costituzionale da adempiere. Un dovere che chiama in causa tutte le componenti riformiste e di progresso del Paese.
L' "Eco", dunque, giornale votato all'informazione aperta e completa era giornale sempre schierato dalla parte dei lettori e dalla parte di un miglioramento sociale graduale ma effettivo.
Credo che gli storici possano trovare molti spunti e documenti davvero utili per comprendere l'Italia di quegli anni, ma anche dei decenni successivi, attraverso le pagine de L'Eco la cui attenzione era rivolta sempre a tutti i fatti generali, oltreché a quelli locali.
La voce de "L'Eco del Chisone" non fu cancellata dal fascismo perché seppe rimanere legata a ciò che accadeva, senza sbavature o letture ideologiche, sempre vicina ai problemi concreti della popolazione.
Anche i grandi dibattiti sui diritti civili, a partire dalla fine degli anni Sessanta, furono affrontati dal giornale a viso aperto, con un ragionevole realismo che non metteva in ombra i valori di fondo della nostra comunità e, al tempo stesso, si confrontava con le aspettative delle donne e dei giovani, con i cambiamenti dei comportamenti individuali e della società.
Quando oggi, spesso, si parla della disaffezione dei cittadini per i mezzi di comunicazione bisognerebbe avere il coraggio e l'umiltà di guardare ad esperienze come la vostra - che non è certo l'unica nel Paese - che sentono l'impegno giornalistico ed editoriale non come un potere che a volte può superare anche quello delle istituzioni e della politica, ma come un vero e delicato servizio per tutti, specie per la popolazione più debole.
Un giornale locale, dunque, sempre attento agli interessi generali della comunità, capace di accompagnare la sua crescita e la sua autonoma evoluzione. Una attenzione forte agli interessi generali, da parte di tutti coloro che hanno responsabilità nella vita sociale - a cominciare dalla politica - mi sembra la grande esigenza del Paese, la stessa richiesta dei cittadini.
Mi auguro, dunque, che il vostro Eco, e lo spirito che lo anima, si faccia sentire sempre più vivo e forte nella vostra realtà locale come in tutto il Paese.