Sull'attentato terroristico a Sharm El Sheik
PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l'Assemblea). Colleghi, purtroppo non è la prima volta in questi anni che iniziamo una seduta in segno di lutto per ricordare le vittime del terrorismo islamico. Esprimiamo oggi il nostro cordoglio per la morte, nell'attacco terroristico di Sharm El Sheik, di Sebastiano Conti e di sua moglie, Daniela Maiorana, e inviamo alle loro famiglie i sentimenti della nostra solidarietà. Purtroppo, altri italiani sono ancora dispersi e, nonostante la nostra speranza, temiamo che anch'essi abbiano perduto la vita.
Il terrorismo islamico ha massacrato ancora, ha colpito cittadini colpevoli solo di passare qualche giorno di vacanza oppure, come nel caso di Benedetta Ciaccia, massacrata a Londra, di essere al lavoro altrove. Ha colpito un centro turistico affollato e, dopo la Gran Bretagna, un Paese colpevole di intrattenere rapporti normali, di collaborazione e di dialogo con l'Europa e l'Occidente. Ha colpito esseri umani rei di essere giudei e cristiani, colpevoli non già di aver fatto qualcosa bensì di essere qualcosa.
Questo terrorismo mira alla nostra cultura, alla nostra civiltà, al nostro modo di vita, quello stesso di cui noi, nei nostri e negli altri Paesi, intendiamo fare partecipi tutti, senza distinzione, senza discriminazione alcuna. Questo terrorismo, che ci dipinge come Satana o come una civiltà degradata, non passerà. Ci ha dichiarato guerra, ma non vincerà; ci vuole distruggere, ma non prevarrà. Però noi sappiamo che la guerra sarà lunga e cruenta.
Ce lo dicono la più che decennale azione dei fanatici, iniziata ben prima dell'attacco alle Torri Gemelle; ce lo dice la scansione delle date che ormai sono diventate un simbolo: 11 settembre, 11 marzo, 7 luglio, 22 luglio. Ce lo dice la ferocia con cui, con i loro comunicati, i terroristi intendono combatterci. Ad un atto di guerra si risponde con la consapevolezza intellettuale e politica della situazione da affrontare, con la fermezza delle reazioni da assumere e con le misure appropriate da prendere.
Credo che occorra, in primo luogo, che l'Europa e tutto l'Occidente si mostrino coscienti ed uniti nell'affermare e difendere le proprie ragioni, senza cedimenti e senza infingimenti, neppure verbali. Non abbiamo dichiarato la guerra ad alcuno. La guerra la subiamo. E già ne portiamo troppi lutti per poterci concedere divisioni o polemiche. Solo l'unione di tutti noi, perché tutti noi siamo ugualmente un bersaglio, abbrevierà i nostri dolori.
Questa unione di tutti, al di là delle nostre normali divisioni politiche, la dobbiamo a Sebastiano, a Daniela, a Benedetta ed ai tanti altri, di cui abbiamo pianto la morte. La dobbiamo a noi stessi e la dobbiamo anche ai nostri figli che non vogliamo allevare in un mondo impaurito ed imbarbarito dal terrore. Per questo, colleghi, vi prego di osservare un minuto di silenzio.
(L'Assemblea osserva un minuto di silenzio).