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Il Presidente: Intervento in Assemblea

Auguri al Capo dello Stato

Cerimonia di auguri al Presidente della Repubblica
Palazzo del Quirinale

Signor Presidente,
anche quest'anno Le porgo gli augùri per il Natale e l'anno nuovo a nome del presidente della Camera, del Consiglio dei Ministri, della Corte Costituzionale, delle autorità e di tutti i presenti, oltre che mio personale.

Per consuetudine, questa cerimonia è l'occasione per un bilancio. Mi limiterò a citare alcuni tra gli avvenimenti che mi sembrano i più significativi.

Prendo le mosse dall'Italia e in particolar modo dall'attività legislativa.

In questo scorcio di legislatura è stata portata a termine una imponente riforma della Costituzione, che, se supererà il referendum confermativo, inciderà profondamente sulla nostra forma di stato, su quella di governo, sul bicameralismo, sulla devoluzione di poteri legislativi alle regioni, sugli equilibri nei rapporti istituzionali.

Si è concluso anche l'iter della riforma dell'Università, che in particolare riguarda lo status e l'arruolamento dei docenti e il sistema di valutazione nazionale per allocare le risorse pubbliche.

E' stato approvato un nuovo ordinamento giudiziario, che è una riforma prevista dalla VII disposizione transitoria della Costituzione, e che, salvo continui aggiornamenti parziali, non era mai stata effettuata in modo organico.

Da ultimo, la legislatura chiude con la riforma della legge elettorale, la quale cambia drasticamente il sistema prevalentemente maggioritario in vigore da oltre dieci anni.

E' ancora all'esame del Parlamento la legge per la tutela del risparmio, di cui è ora prevedibile l'approvazione definitiva entro tempi brevi.

Nessuno di questi provvedimenti ha effetti immediati. Quando si cambia e si fanno riforme, le conseguenze si possono valutare solo col trascorrere del tempo. Osservo però che nessuno di essi è stato approvato in modo sereno, perché hanno tutti suscitato lunghi e aspri dibattiti tra i gruppi in Parlamento e tra le forze politiche nel Paese. Ho più volte richiamato e lamentato questo aspetto della nostra vita politica. Il nostro assetto bipolare, così normale nelle altre democrazie occidentali, non si è sviluppato come era auspicabile. In particolare, esso soffre del male, grave per una democrazia, della delegittimazione reciproca. Non solo questo fatto non giova all'immagine del nostro Paese all'estero. Esso è anche un ostacolo alla sua crescita, perché una sana dialettica politica entro un quadro efficiente ed equilibrato di istituzioni consente più facilmente di prendere quelle misure che sono necessarie per affrontare la sfida sempre più aperta della modernità.

Dall'Italia passo all'Europa. Si conclude un anno di crisi europea. Il tentativo molto ambizioso di dare all'Unione una Costituzione comune si è arrestato davanti ai referendum popolari in Francia e in Olanda, prima che si arrestasse anche in altri paesi, forse compresi alcuni in cui i cittadini non hanno potuto esprimersi direttamente. Ora quel progetto è congelato e non sappiamo se e quando potrà ripartire.

Manca ancora un demos europeo e un ethos europeo. L'identità dell'Europa è incerta, così come è incerto che cosa l'Europa intenda essere: solo un'area economica, oppure un continente politicamente unito, oppure una potenza geopolitica, oppure un contenitore dai contorni, anche geografici, indefiniti, oppure un contrappeso dell'America, oppure ancora una "terza via", secondo un'espressione abusata alla quale non sembra però corrispondere un concetto ben definito. E' una buona notizia che, proprio nel momento in cui le trattative sembravano sull'orlo di un fallimento che avrebbe avuto conseguenze molto serie, l'Europa abbia almeno raggiunto un accordo sul proprio bilancio. Potrà servire per ripartire. Ma l'Europa ripartirà davvero solo quando ai cittadini dei nostri paesi risulterà chiaro che da essa non devono aspettarsi soltanto direttive e circolari da parte di autorità distanti o ignote, e che, per di più, riguardano aspetti della loro vita sui quali essi continuano a ritenere che le istituzioni locali, regionali e statali siano più qualificate a prendere decisioni democratiche.

Noi non abbiamo bisogno di un'Europa ripiegata su stessa. Al contrario, situazioni internazionali difficili e cruciali richiedono che essa dispieghi appieno il suo ruolo di potenza democratica, che assume responsabilità mondiali in armonia e assonanza con i nostri alleati d'Oltreatlantico.

Il fronte principale su cui esercitare questa azione è anche la principale minaccia dei nostri tempi: quell'internazionale terroristica che si ispira ad una versione fondamentalista e violenta dell'islam. L'anno scorso l'Europa fu colpita a Madrid, quest'anno a Londra, dove, terroristi di seconda generazione - cittadini di quella stessa Inghilterra che era divenuta la loro patria - hanno seminato la morte e il panico.

Ma le azioni terroristiche non hanno colpito solo l'Europa. Esse non hanno dato tregua ad Israele, dove pure, dopo il ritiro da Gaza voluto dal premier Sharon, vediamo avanzare qualche speranza di soluzione del conflitto israelo-palestinese. E anche i paesi arabi hanno continuato a pagare un prezzo al terrorismo fondamentalista. Penso innanzitutto all'attentato di Sharm El Sheik dello scorso luglio, dove tra le 83 vittime, hanno perso la vita anche sei giovani italiani. Abbiamo ricevuto l'ennesima prova che i terroristi non solo colpiscono noi in quanto, come essi dicono, siamo "giudei e cristiani", e quindi siamo portatori di una grande civiltà; essi intendono anche abbattere quei regimi arabi e islamici che con noi desiderano avere, e hanno, un rapporto costruttivo e di collaborazione. Abbattere questi regimi e seminare paura e sgomento in quell'Occidente che essi chiamano il "grande Satana", sono le due facce di un medesimo disegno totalitario.

Per questo sono importanti un'analisi corretta del fenomeno, un'assunzione di responsabilità e interventi adeguati. I terroristi temono in particolare la libertà e la democrazia, perché sanno che esse sono esattamente ciò che solleva le sorti di coloro che ne sono privi. E combattere i terroristi promuovendo la democrazia è un nostro còmpito.

Lo si è visto quest'anno in Iraq come già si era visto in Afganistan. La grande affluenza alle urne dell'ultima chiamata elettorale - la terza in un breve spazio di tempo - può essere interpretata in molti modi. Ma di certo testimonia che i cittadini iracheni hanno scoperto il gusto per la democrazia, anche a costo di alti rischi personali. Dobbiamo ringraziare i nostri militari che, in Iraq, in Afganistan e altrove, stanno costruendo quelle condizioni minime - dalla sicurezza alla ricostruzione materiale - affinché la democrazia possa attecchire.

Il 2005 sarà anche ricordato da molti nel mondo e in particolare in Italia come l'anno dell'uscita di scena di uno dei grandi protagonisti dell'ultimo secolo, Giovanni Paolo II, che tanto si spese per la fine di una dittatura e tanto si prodigò per la rinascita spirituale dell'Europa. A lui è succeduto al soglio Pontificio Benedetto XVI, il quale è coraggiosamente impegnato in prima linea nella difesa di quei valori - dalla tutela della vita al rispetto della dignità della persona - che sono propri della religione cristiana e che perciò tanto hanno contribuito allo sviluppo della civiltà europea e occidentale dove più si sono affermati. Anche questo evento conferisce all'anno che sta per chiudersi il sapore di una svolta. Darle un senso preciso è un impegno per tutti noi, in vista dei tempi che ci aspettano.

Rinnovo, signor Presidente, a Lei e alla Sua famiglia, i migliori auguri di buon Natale e di un felice 2006.

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