Rileggiamo Popper maestro di democrazia
Il presidente del Senato, Marcello Pera, prima di tutto è un filosofo. E proprio come il suo Karl Raimund Popper, al quale ha dedicato più di un saggio molto acuto, crede in una società aperta, dove la discussione critica è alla base di tutto. E la discussione, sostiene Pera, si interrompe solo per contarsi, non per fare strage dell'avversario. Del filosofo ha il taglio e il modo di interloquire: cerca di accompagnarti con garbo alla soluzione del problema; o almeno sulla strada complessa della discussione critica, fonte della democrazia. Al filosofo austriaco e alla filosofia della scienza ha dedicato anni di studio, e oggi rappresenta la punta più avanzata di questa disciplina nel nostro Paese, dove sempre più `povera e nuda va filosofia'.
Presidente, parliamo di Popper, qual è il suo destino?
«Direi un destino multiplo: prima è stato ostacolato perché giudicato anticomunista. Poi è diventato uso comune: tutti popperiani, come oggi sono tutti liberali. Infine ecco l'oblio: lo hanno dimenticato. Distratti da altro. Tutto qui».
Forse perché non è un filosofo adatto al nostro tempo?
«Guardi, in un momento di crisi delle ideologie e della politica, se oggi uno vuole un filosofo che sia ancora fonte di ispirazioni politiche, quello è Popper».
Una volta lei mi ha parlato della sua `Terza via'....
«Non corra, ci arriviamo alla Terza via. Ma partiamo dalla democrazia. Comunemente democrazia è governo di popolo. Popper è più sofisticato: la divide in concettuale, e cioè espressione di un governo di discussione critica; istituzionale, dove il governo è controllato dai governati, e i governanti possono essere pacificamente cacciati; e infine politica, con un governo che lascia gli individui liberi nelle loro scelte e difende la tradizione del metodo critico, le istituzioni della società civile nei confronti dello Stato. Tradizioni come l'individuo, la famiglia, la scuola, le associazioni, i sindacati...»
Per cui la democrazia è tradizione?
«Lo è, è la tradizione della discussione critica. Se ci pensa bene è definizione meno banale di governo di popolo».
Ma lo Stato che fa?
«Ha compiti e limiti preci i. Deve mantenere e rafforzare le libere istituzioni, come il Parlamento, ma anche le 'invenzioni' della società civile, come dicevo prima: scuola, famiglia, sindacati e così via. Poi deve fissare le regole che sono la cornice legale per le politiche pubbliche. Ma soprattutto, ripeto, deve difendere la libertà individuale».
Altri filosofi pensano così...
«Popper va oltre, ammette un interventismo negativo: lo Stato deve evitare che individui troppo potenti o così ricchi da poter sottomettere gli altri, abbiano il sopravvento. Capisce? E' in gioco la libertà individuale, sia sul piano politico che economico. Così lo Stato deve fermare questi prevaricatori....»
Insomma, tutto sommato è un socialdemocratico.
«Niente affatto, l'intervento dello Stato è di tipo negativo, istituzionale, preventivo, non vuole rendere tutti ugua-li, felici, ricchi. Lo Stato interviene solo per eliminare certi ostacoli, per far giocare tutti, ma non pareggia tutti. Non livella uguaglianza, felicità ricchezza: se vede che qualcuno non può giocare la partita, interviene, altrimenti...».
Una teoria di destra: lo Stato minimo alla Milton Friedman.
«Ecco vede che non è facile? No, non è così: quella teoria concepisce lo Stato da una parte e l'individuo dall'altra. I teorici della destra dello Stato minimo non prevedono niente per promuovere le istituzioni intermedie come scuole, sindacati.... Secondo Popper si deve invece intervenire per aiutare le libere istituzioni che la società civile si è data. E' diverso, le pare?»
Ma allora cos'è politicamente Popper?
«Un conservatore liberale. Perché privilegia, favorisce, sostiene le istituzioni esistenti e le tradizioni viventi. Dice che viviamo una realtà di tradizioni e che le politiche pubbliche non possono toccare queste tradizioni, la più importante delle quali è l'economia di mercato. E questo è conservatorismo».
Quindi tutto si basa sulle tradizioni?
«Le tradizioni sono libertà, sono cultura. Per Popper abbandonare la tradizione è finire su un terreno infido. Perché la tradizione è il risultato di quello che è una società di individui, e l'individuo viene prima dello Stato che può intervenire su scuola, tribunali e così via, ma mai sull'individuo. Perché la libertà viene prima della stessa giustizia sociale. E così siamo alla società aperta».
E quindi, finalmente, alla Terza via?
«Esatto. Popper accetta l'interventismo dello Stato ma non di carattere socialista, limitandolo alle sole istituzioni e mai all'individuo che deve avere libertà ampia, senza cadere nell'anarchismo. Non toglie ai ricchi per dare ai poveri. Insomma è la Terza via. E' l'Occidente con tutta la sua cultura di antiche tradizioni».
E qui viene il difficile...
«No, perché? E' la teoria dei valori occidentali. E' in Occidente che nasce la tradizione della discussione critica e dello scambio di opinioni: insomma, la democrazia. E questa è la formula migliore, in assoluto, fra tutti i regimi possibili. Nessuno l'ha disegnata la democrazia, si è scoperta da sola nel tempo: famiglia, tribunali, religione, parlamento, scuole. E noi dobbiamo difenderla a ogni costo. Per Popper, che individua oggi la cultura occidentale soprattutto nella società americana, dobbiamo difenderla anche con le armi. Come è stato fatto in Europa con i fascisti e comunisti un tempo oggi dobbiamo farlo, se necessario, coi fondamentalisti».
Chiusi in una turris aurea?
«Tutto il contrario. La nostra società occidentale deve essere come è sempre stata, mul-tietnica. Aperta ad apporti di idee, arricchita da innesti continui. Questa è la società aperta: chiuderla significherebbe interrompere il dialogo e disseccarla. Non possiamo lasciare gli immigrati chiusi nelle loro tradizioni né possiamo trasferirli nelle nostre. All'immigrato va detto: entra e ti offro una scuola perché tu impari anche le mie tradizioni e impari il pluralismo. Ti integro, non ti indottrino. Ci pensi, come le ho detto: oggi Popper sarebbe davvero una bella fonte di ispirazione politica. Purtroppo lo citano in tanti, ma non lo studia nessuno».