Open menu Close menu
Salta al contenuto principale
Il Presidente: Articoli

Difendiamo la nostra civiltà

Panorama

Il presidente del Senato, Marcello Pera, risponde alle polemiche e afferma: «I fondamentalisti ci fanno la guerra. In democrazia invece le teste si contano e non si tagliano». E sulla politica italiana lancia una proposta dirompente: «Nel nuovo Senato delle regioni bisogna dare spazio anche ai sindaci».

La terra delle vacanze toscane del presidente del Senato assomiglia alquanto a Marcello Pera. Bosco ir­to, fitto, impenetrabile, qualche stella di sole che vince la macchia, E quando meno te lo aspetti una casa sul prato. Oltre la siepe, sempre invisibile, il ma­re. È l'ultimo giorno di pace prima del ritorno al ring della politica, È un Pera inedito questo, svestito da presidente: maglietta, abbronzatura, la signora An­tonia («L'ho conosciuta in banca e nel '68 l'ho sposata, ha fatto lo stesso lavo­ro fino a poco tempo fa») che, se si può, è più nascosta di lui.

Il presidente è angosciato dal rapi­mento delle due donne volontarie in Iraq: «Nessuno è più al riparo dal ter­rorismo. Questo è il momento della so­lidarietà con le due generose donne sequestrate e le loro famiglie. Ma è an­che il momento di riflettere e di agire insieme contro chi non ha alcun ri­spetto per la vita e per i nostri valori»,

Pera è anche turbato dalle immagi­ni che continuano a passare in tv sulla strage in Ossezia: «È l'ultimo capitolo tragico di questo terrorismo. L'epilogo dove sono mischiate jihad e rivendica­zioni indipendentiste».

Presidente, lei corre parecchio: non è ancora certo che il fondamentalismo islamico fosse il protagonista del mas­sacro. O sarà forse uno spartiacque co­me 111 settembre? Risponde solo alla seconda domanda: «Se vale l'analogia che ho già fatto fra Brigate rosse e ter­rorismo islamico, la strage degli inno­centi potrebbe diventare quello che fu il caso Moro in Italia, cioè l'inversione di rotta. Ahimè, a giudicare dalle prime reazioni non è ancora così».

È il Pera di sempre, anche con l'ab­bronzatura. Le sue profezie sul terrori­smo di pochi giorni fa hanno visto pri­ma di tutti l'urgenza del dibattito sul­l'Islam. Ma hanno anche sollevato la si­nistra... Sventola una copia della Re­pubblica come una lancia sotto la per­gola con l'uva nera. «Ho detto fermia­mo la guerra del fondamentalismo due giorni prima del dramma. Nell'appello dell'ambasciatore Scialaia e dei rap­presentanti delle comunità islamiche italiane ci sono addirittura due frasi cruciali uguali alle mie. Anche i pen­sieri espressi da Walter Veltroni e da Ezio Mauro sono simili ai miei. Se que­ste sono critiche, sono soddisfatto» sor­ride, Veramente Massimo Cacciari e molti altri hanno ur­lato che così lei infiamma il conflitto. Quel nome lo fa fosco come la sua mac­chia: «Il conflitto è la guerra che combattono contro di noi... Di fronte a questa dovremmo restare ciechi, sordi e muti come troppi leader europei?».

Veramente Pier Ferdi­nando Casini ha detto che la Francia riguardo ai pro­pri ostaggi ha dato una prova di profonda unità nazionale; e che l'unica via oggi è appellarsi all'I­slam moderato. Le prime domande non gli stanno simpatiche. «L'Islam mo­derato è il primo bersaglio dei fondamentalisti che lo vedono come connivente dei miscredenti. Con que­sto Islam abbiamo già rapporti eccellenti. Per esempio con i paesi del Maghreb e del Mediter­raneo che sono diga tra noi e "loro". O anche con i paesi islamici come il Pakistan. Ma il nostro problema rimane l'altro islam, quello fanatico e terrorista.

Che fare? Ho proposto un patto di soli darietà occidentale. Ho parlato prima di tutto all'Europa. Ma se davanti ai massacri la risposta dell'Europa è fare l'appeasement con Hamas o la commissio­ne d'inchiesta su Putin, allora l'Europa è desolante. E di questo passo potrebbe essere perduta». Si alza: «È l'Europa che si deve svegliare, ritrovare se stessa, unirsi all'America, di Bush o di Kerry non importa. E se l'America non piace, almeno si ascolti l'Onu. Non faccia fin­ta di non vedere e capire».

Lei ha chiamato in causa anche i cat­tolici: qualcuno di loro le ha chiesto se per caso avrebbero dovuto marciare per la guerra. «Dovrebbero marciare per di­fendere se stessi, il loro Dio, la civiltà della libertà e della tolleranza. Difende­re le loro chiese. Non solo il diritto degli islamici a costruire le loro moschee».

Non era lei il primo alfiere del laici­smo? Lei a urlare «viva la libertà»? Oppure oggi anche il Cristianesimo diven­ta il primo dei valori occidentali? «Lo è sempre stato. Ma molti lo dimenticano. O hanno interesse a dimenticarlo».

Ecco il Pera politico che torna filosofo. È forse in questo sdoppiamento il per­ché dei suoi successi? «Macché sdop­piamento! Non ci sono due Pera. Io so­no sempre lo stesso».

Si rituffa nell'Islam: «Il fondamentalismo teorizza la sharia, cioè la fusione di stato e religione. Concetto superato da secoli e avverso ai principi cristiani che dividono il pubblico dalla sfera religio­sa. Del resto il Papa a Lourdes ha detto coraggiosamente che uguaglianza, li­bertà e fraternità sono anche valori cri­stiani. Perché principi ospitati nel Van­gelo. Ma guarda caso gli stessi principi sono per antonomasia fondamento del­lo stato laico. Dunque Cristianesimo e laicità si incontrano nella libertà e nella democrazia che fanno della nostra una civiltà migliore».

Non l'aveva detto con qualche pro-blemino anche Silvio Berlusconi? «Non dovremmo temere di crederlo e di dirlo. Sì, siamo i migliori. Perché vogliamo in­tegrarci e parlare con tutti. "Loro" ci fan­no la guerra. In democrazia le teste si contano e non si tagliano».

Le guardie del corpo appaiono e scompaiono come ombre lontane. «Po­chi parlano, sinora. È paura o calcolo miope. La verità è che l'invocato politi-cally correct è un velo dí ipocrisia sulle cose che molti pensano e nessuno dice». Non lo aveva detto Oriana Fallaci? «Lo aveva detto e dovrebbe ringraziarla an­che chi non è d'accordo». Non sarà pro­prio il professor Pera la musa e la fiam­ma del nuovo neoconservatorismo ita­liano? A proposito di velo lei è natural­mente contrario a quello nelle scuole... «Assolutamente favorevole».

Ecco lo Zelig delle identità. Ecco il Pe­ra eretico soprattutto nei confronti di se stesso. «Il velo è il segno di un'identità. Chi lo proibisce lo fa imponendo arbi­trariamente principi laicisti e nazionali­sti. E cioè un'altra religione. Inoltre una scuola con allievi diversi aiuterà la cu­riosità, lo scambio e l'integrazione».

La signora Antonia con l'abito a fiori chiama alla tavola. Ravioli al pesto, po­modori e mozzarella. E nel finale un'im­mensa torta alla frutta offerta da una vi­cina che lo ringrazia per quello che ha detto. Lui non ama smancerie che lo ri­guardano.... Beh, molta gloria presiden­te. E poi dice sempre che Casini è più bravo di lei... «Non solo è più bravo, è più bello e più professionale in politica. Forse...». Forse? «È un po' più scarso di me in filosofia».

Eh già, perché l'alieno Pera viene da altri mondi. Oggi a sessant'anni ha già consumato sette vite: funzionario di ban­ca, professsore di filosofia, editorialista, quasi ministro della Giustizia. Ma nessuno è diventato più politico di lui. «O Marcello, non è che oggi tu parli trop­po?» lo apostrofa improvvisamente la si­gnora Antonia, che scopre il perché di un matrimonio durato 30 anni.

Tra un raviolo e una mozzarella di bu­fala si parla della villa di Berlusconi in Sardegna. «E come Versailles... e lui, sa, conosce il nome di ogni pianta». Se do­vesse dare l'identikit di Berlusconi? «Fantasia, tenacia e coraggio». E quel­lo di Carlo Azeglio Ciampi? «Ciampi o della sicurezza». Si cade sulla Rai: con­sidera un successo o un fallimento il suo consiglio di amministrazione? Come sempre risponde a un'altra domanda, quella che voleva. «Ho lanciato il presi­dente di garanzia e rivendico la scelta». Ma se il presidente Lucia Annunziata si è dovuta dimettere... «Non certo per col­pa mia. Insomma, la formula non è fini­ta bene ma la rivendico lo stesso. Se poi Annunziata ha deciso di andare...».

Misura anche i millimetri delle paro­le. «Accidenti, ma che colpa ho io se mi hanno fatto presidente del Senato... Insomma la Rai con il nuovo consiglio della legge Gasparri rischia di tornare a un sistema antico: un consigliere a partito».

Per un intellettuale come lei non è umiliante vedere programmi culturali relegati all'una di notte? «C'è qualcu­no che li vedrebbe prima? Io per esem­pio la tv la vedo solo all'una di notte. Compresi i tg. La tv non è fatta per quelli come noi». E per chi allora? «In­somma, la Rai aveva un obiettivo eco­nomico. L'ha raggiunto. Ha migliorato bilanci e audience. E il mercato che de­cide chi vince».

Si va sul mare col tramonto. Sorpresa: si lascia martirizzare dal fotografo. Pera sotto la tenda. Pera che guarda il mare. Anche se gli piace di più la campagna. Ecco il segreto: «Facevo ritratti. Solo in bianco e nero. Mi interessavano i con­torni e le luci delle persone e delle co­se», Non era lui il ragazzo che aveva vi­sto La dolce vita sette volte? «Non per le curve di Anita Ekberg. Per entrare nel congegno della storia. Per capire l'ani­ma del nuovo Fellini. Quel film mi inse­gnò a pensare. Mi spinse a scrivere».

All'epoca è un giovane avido di sa­pere che lavora in banca di giorno e stu­dia di notte. «Quando lasciai la banca mio padre soffri. Eravamo poveri. Il la­voro fisso era il suo unico traguardo. Ba­stava ai suoi sogni. Alle medie l'ho aiu­tato a sostenere un esame: passava da manovale delle ferrovie a operaio... Abi­tavamo fuori le mura. Dentro ci stavano i borghesi ricchi... Non credo che sa­rebbe felice di sapermi cosi importante oggi. Smentirebbe la sua rassegnazio­ne, i suoi principi».

Il sole finisce. Come l'estate dei politici. Il 14 settembre si discute alla Camera il testo sul Senato federale. Il tam tam della ripresa non parla che di devoluzione. Quale devolution per quale Italia presidente? «Se ne parla tanto ma pochi, compresi i giornalisti, capiscono davvero cos'è». Ci siamo: il diritto, dopo la filosofia è la sua passione. Come il cinema, come la logica. Pera è una matrioska. Ma non si sa mai qua­le sarà l'ultimo dei suoi pezzi nascosti. «Oggi pare che sia la devolution il killer e lo smembramento dello Stato italiano! Ma la devolution c'è già: si chiama rifor­ma del Titolo V ed è stata votata dalla scorsa legislatura. Senza che nessuno pe­raltro abbia mosso un dito. Oggi final­mente gli si scoprono svariati difetti, Que­sta riforma ha prodotto un'incertezza del diritto che ha già portato 200 volte alla Corte costituzionale lo Stato contro le re­gioni. E le regioni contro lo Stato. Si ren­de conto che di molte leggi non sappia­mo ancora cosa sono?».

Un caso eclatante? «Il condono. Oggi bisogna correggere e completare la riforma». Perché non decapitarla? «Perché il processo è partito inesorabilmen­te. E nessuno propone di abolire il Tito­lo V. Allora io dico partiamo dal Senato federale, dove devono entrare i 20 pre­sidenti delle regioni. Ma aggiungiamo insieme a questi 20 sindaci». I sindaci? «Certo è una novità assoluta. Ma ragio­nevole, mi creda ». Ennesimo sasso get­tato nello stagno. Non molti saranno contenti di questa sua novità presiden­te. «I comuni sono l'unità politica am­ministrativa per eccellenza ma soffrono troppo del peso schiacciante delle re­gioni. Sono anche un'istituzione di pri­maria identità, come s'è visto con i gon­faloni e i prefissi telefonici mostrati da­gli italiani alle Olimpiadi. Inoltre il Se­nato non dovrà avere potere di veto su decisioni che riguardano mate­rie di governo. Il Senato fede­rale deve funzionare». Alla fac­cia del filosofo... Sergio Cofferati ha detto: «Se faremo le cose giuste vinceremo alle elezioni». E lei che dice? «Auguri!». Ma quali sono le co­se giuste che devono fare i si­gnori della Casa delle libertà? Attaccare elezioni politiche a quelle regionali? «Macché, sono contrario a elezioni anticipate. La le­gislatura deve durare 5 anni. Stesso lea­der, niente ribaltoni. Niente cambiamenti di maggioranza». E la Finanziaria la vuo­le dimenticare? «Come sì fa? Dunque per prima cosa c'è il problema di abbattere le tasse poi interveniamo sulla legge del risparmio. Che si rimetta in moto. L'Italian on può accettare disastri come quello di Parmalat o della Cirio».

Il sole affonda nell'acqua. Che fine ha fatto lo spirito liberale di Forza Italia, cioè il suo? Che fine hanno fatto i libe­rali del partito? «Forza Italia dovrebbe insistere sui temi del liberalismo popo­lare e democratico per i quali era nata: liberalizzazione, privatizzazione, desta-talizzazione. Dovrebbe essere un vero traino e non consumarsi a spegnere ba­ruffe nella coalizione. I liberali? Alcuni dei cosiddetti professori sono tornati da dove erano venuti, cioè a sinistra. Mai fidarsi dei professori».



Informazioni aggiuntive