Open menu Close menu
Salta al contenuto principale
Il Presidente: Articoli

Attaccano la nostra civiltà fermiamo i fondamentalisti

La Repubblica

Il presidente del Senato è allarmato. Gli ultimi sviluppi della crisi irachena, l'assassinio di Enzo Baldoni e il rapimento dei due re­porter francesi, lo rattristano profondamente. Ma non lo stupi­scono perché a suo giudizio confer­mano un dato acquisito. I terroristi islamici continuano a fare ciò che hanno dichiarato da tempo: la guer­ra all'Occidente, ai suoi valori dì tol­leranza e dì libertà. A sorprenderlo è semmai lo stupore di intellettuali e politici i quali sottovalutano questa drammatica emergenza. Marcello Pera ritiene che la nostra civiltà sia sotto grave minaccia e rivolge un duplice appello ai paesi che credo­no nella democrazia, e la praticano, per indurli a sottoscrivere un "patto di solidarietà Occidentale"; alle for­ze politiche italiane affinchè accan­tonino divisioni e polemiche ormai superate da fatti che impongono strategie comuni. Alle quali dovreb­bero concorrere anche i cattolici che salvo rare eccezioni, ad avviso di Pera, sembrano poco disposti a difendere la civiltà cristiana.

Presidente, la crisi irachena è sempre più drammatica. Lo stesso Bush riconosce di non aver fatto bene i conti per il dopo Saddam. Le parole della politica e la capacità di comunicare con l'opinione pub­blica araba sono soffocate dalla guerra. Come uscirne?

«Non ho una ricetta su come uscirne. Ho un'analisi da offrire e un metodo da proporre. L'analisi è che in Iraq c'è stata una guerra di libera­zione e c'è adesso una guerra civile. La posta in gioco e lo scopo degli estremisti e dei terroristi è la trasformazione dell'Iraq in uno stato fondamentalista islamico che si allei con altri stati e diffonda il fondarnentalismo altrove. Se questo scopo venisse raggiunto, non solo il Medio Oriente ma tutto il mondo ne sarebbe destabilizzato, gli equilibri internazionali compromessi e anche la pace sarebbe a rischio».

E quale metodo suggerisce?

«Per evitare esiti tragici, il mio meto­do è quello della soli­darietà occidentale, Serve un patto su grande scala, quella stessa che in Italia funzionò contro le Brigate Rosse. Dob­biamo avere una strategia comune e prendere decisioni comuni. Le sedi sono quelle delle istitu­zioni internazionali, in primo luogo l'Onu e l'Unione europea».

Ma l'Europa è la grande assente, mentre l'Onu arranca...

«È vero, queste istituzioni oggi sono divise e anche paralizzate. Invece dovremmo farle funzionare. Ma la solidarietà occidentale deve cominciare dall'interno di ciascun paese. Intendo dire che non si devono invocare le istituzioni internazionali per scaricare il problema, per crea­re alibi, per dividerci tra maggioran­ze e opposizioni. Se il problema è la tutela della nostra civiltà, la que­stione va ben oltre le normali divi­sioni interne. Va addirittura oltre quell'unità di fondo che dovrebbe esserci in politica estera. In tutti i paesi dell'Unione destra e sinistra dovrebbero fare sforzi per unirsi e trovare comuni strategie per con­trastare la guerra del terrorismo. Truppe sì truppe no, svolta sì svolta no, dopo gli ultimi avvenimenti è una discussione tardiva».

Resta il fatto che la presenza del­le truppe straniere accresce l'odio in tutto il mondo islamico per gli occidentali...

«La nostra solidarietà occidenta­le, la presenza nostra, di tutti e non di pochi, sarebbe il messaggio mi­gliore alla popolazione irachena. Dopo tutto gli iracheni ce lo stanno chiedendo. Se siamo tutti con loro e andiamo tutti da loro, loro sentireb­bero il mondo libero dalla loro parte e non ostile o col solo viso delle armi».

Il terrorismo però continua a colpire e il ricatto alla Francia sul velo indica un salto di strategia.

«Da tempo sono allarmato, ma ora sono sgomento per le reazioni che vedo di fronte agli atti del terro­rismo islamico. Sono tutte reazioni di stupore: stupore perchè si ucci­dono giornalisti, si assassinano pa­cifisti, si sequestrano cittadini fran­cesi, si fanno attentati contro la Cro­ce Rossa, contro I 'Onu. Mi chiedo: ma che c'è da stupirsi? I terroristi tutto questo lo dicono da tempo, lo scrivono e, come possono, lo fanno. Quello che accade è la semplice, cruda, tragica conferma dei loro proclami. O ci si crede a questi pro­clami e allora non ci si stupisce. Op­pure ci si stupisce, ma allora si ac­cumulano morti e martiri senza im­parare nulla. E ciò produce altri morti e altri martiri».

E lei, cosa ha imparato?

«I terroristi, i quali non sono po­chi gruppi fanatici ma un grandissi­mo fronte che attraversa tutto il mondo islamico, proclamano la s'urta e dichiarano la jihad. Voglio­no colpirei 'America, l'Europa, l'Oc­cidente. Vogliono, come loro dico­no, abbattere «Ebrei e Crociati». In una parola, sono determinati a di­struggere la nostra civiltà, quella della libertà, delle istituzioni demo­cratiche e della tolleranza. Questa, secondo me, è la situazione. C'è una guerra dichiarata e noi dobbiamo decidere come atteggiarci. Possia­mo combatterla, questa guerra, possiamo decidere come, con quali mezzi combatterla oppure possia­mo ritirarci e alzare le mani. L'unica cosa che non dovremmo fare è stu­pirci».

Una guerra unilaterale. Ma non ne abbiamo alcuna colpa?

«Questa storia delle "colpe" del­l'Occidente non mi persuade. Da laico, sono disposto solo aparlare di "errori". Ma se errori ci sono stati nella storia occidentale a danno dell'Islam e dei paesi arabi, sono soltanto nostri? Davvero I' Islam non ha mai commesso errori ed è privo di colpe? E, anche ammessi i nostri sbagli, dovremmo chiedere scusa, dire che hanno ragione loro o che vanno capiti, compresi, giustifi­cati, come tanti intellettuali europei fanno, oppure dovremmo cercare rimedi? E se mentre, come è giusto, cerchiamo rimedi, che poi sono po­litici, diplomatici, educativi, economici, in una parola sono la globalizzazione delle opportunità e dei di­ritti fondamentali, quelli ci fanno guerra, dovremmo continuare a batterci il petto? Intanto, c'è una co­sa che non dovremmo fare più. Do­vremmo smetterla con l'inerzia, la reticenza, la furbizia dí chi strizza l'occhio, di chi tenta l'appeace-ment. Oltretutto chi fa così è stato tragicamente smentito due volte. Dovrebbe essere chiaro, dopo il ca­so Baldoni e il ricatto alla Francia. Per i terroristi non esiste differenza fra pacifisti amici e militari ostili. E non esiste differenza fra occidenta­li europei buoni e occidentali ame­ricani cattivi. Per loro sono tutti uguali, perché noi siamo tutti ugua­li: abbiamo gli stessi principi e valo­ri»

Chi sono gli inerti, i furbi?

«Mi riferisco in particolare ai lea­der europei. Tutti vedono e tutti sanno, ma í più non parlano e non agiscono. Alcuni addirittura fuggo­no, altri fanno capire che non è affar loro, o pensano che sia colpa dell'A­merica che se l'è cercata e ben le sta se non sa come cavarsela. C'è anche chi pensa che, se cambiasse l'am­ministrazione Usa, tutto cambie­rebbe e tornerebbe come prima. Doppio errore, anche qui. Perché, come si è capito, se vincesse Kerry non cambierebbe l'analisi né la si­tuazione della guerra in Iraq»

Anche il mondo cattolico e le ge­rarchie ecclesiastiche restano con­trarie alla guerra...

«Io mi riferisco anche ai cristianicredenti e praticanti. Salvo poche eccezioni lodevoli e autorevoli, come quelle del cardinale Ratzinger, del patriarca Scola, di monsignor Caffarra, che giusta­mente insistono non certo sulla guerra ma sul richiamo per fre­nare la crisi dell'Eu­ropa, una grande parte del clero o tace o marcia per la pace, come se non fosse af-far suo difendere la civiltà europea cri­stiana. Invece no, è affare dell'Occiden­te tutto perché la guerra è contro l'Oc­cidente tutto. E si tratta di una guerra aggressiva, non reat­tiva. Perché non si ha il coraggio di dirlo e si lascia sola, o si iro­nizza, su Oriana Fal­laci e pochi altri che lo dicono da tempo? Eppure che sitrattidi una guerra aggressi­va a cui bisogna rea­gire lo pensano in molti, come dimo­stra lo stesso numero dei lettori dellaFalla-ci, i quali, solo in Ita­lia, fanno un partito politico. Io temo che stia accadendo ciò che è già accaduto due volte. La prima in Europa, dopo Mo­naco nel 1938 quando tutti erano per la pace, applaudivano Chamberlain e Daladier e tiravano un so­spiro di sollievo, mentre Hitler preparava la guerra e l'Olo­causto. La seconda volta in Italia, negli anni '70, quando le Brigate Rosse di­chiararono guerra allo Stato e le prime, lunghe, reazioni fu­rono di considerarle fanatiche, deliranti, isolate, e ciò ci costò gli anni di piombo».

Dopo Monaco l'Occidente de­mocratico seppe reagire. Le esita­zioni degli anni '70 furono supera­te dalla mobilitazione di tutte le forze politiche. Adesso abbiamo di fronte un nemico difficile da iden­tificare e colpire. Lo conferma il fatto che l'occupazione non ha sconfitto il terrorismo, anzi. Non è pericolosa l'idea che i buoni siano solo dalla nostra parte?

«Anche allora si sentì Io slogan "Né con lo Stato né con leBR", come oggi si è sentito "Né con l'America né con Saddam Hussein". Non pre­dico il manicheismo. Ma davvero, mi chiedo, ci vuole tanto tempo per capire che non c'è una via di mezzo fra la democrazia e il terrorismo, fra la civiltà e la barbarie? Fui assai sol­levato quel giorno che lessi, in italia­no e in francese, "Siamo tutti ameri­cani". E sono ancora allibito che il giorno dopo nonio eravamo già più. Eravamo insinceri prima o sbaglia­mo adesso?».



Informazioni aggiuntive