563ª Seduta pubblica
Mercoledì 20 gennaio 2016 alle ore 09:33
Con 180 voti favorevoli, 112 contrari e un'astensione l'Assemblea ha approvato in seconda deliberazione il ddl costituzionale n. 1429-D, recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della Costituzione.
Nella seduta di ieri, dopo l'intervento della sen. Finocchiaro (PD), che ha riferito sui lavori non conclusi dalla Commissione affari costituzionali, è iniziata la discussione generale, che è proseguita oggi con gli interventi dei sen. Paola Nugnes, Petrocelli, Gaetti, Cioffi, Crimi, Daniela Donno, Nunzia Catalfo, Ornella Bertorotta, Scibona, Endrizzi (M5S); Alicata, Scoma, Gibiino, Galimberti, Floris, Caliendo, Gasparri (FI-PdL); Laura Bignami, Mineo, Bocchino (Misto); Casini, Federica Chiavaroli (AP); Paola De Pin, Compagna (GAL); Micheloni, Tocci, Chiti, Conciancich, Fornaro, Silvana Amati, Tronti (PD); Tosato, Candiani (LN); Bruni (CR); Scavone, Manuela Repetti (AL); De Cristofaro (SEL).
Le opposizioni hanno avanzato critiche di metodo e di merito, annunciando che proseguiranno la loro battaglia nella campagna referendaria per l'abrogazione della riforma. Un procedimento di ampia revisione costituzionale è materia d'iniziativa parlamentare e dovrebbe raccogliere il più ampio consenso possibile. L'iter della riforma è stato invece contrassegnato da forzature, mistificazioni, violazioni delle regole: i diktat del Governo, la sostituzione dei commissari non allineati, l'interruzione dei lavori in Commissione, il contingentamento dei tempi, gli espedienti per cassare gli emendamenti, la compravendita di senatori, gli scambi e i ricatti sulle nomine per assicurarsi i voti necessari. Il Governo ha rifiutato il confronto con proposte alternative e condivise per ridurre i costi della politica e superare il bicameralismo paritario; è stato sordo ai rilievi di insigni costituzionalisti che hanno giudicato la riforma pasticciata, squilibrata, di difficile applicazione. Il Senato, non più eletto dai cittadini, viene svuotato di funzioni e trasformato in un dopolavoro di amministratori locali, vocato alla scambio consociativo con il Governo. Permane invece l'anomalia di una Camera con 630 deputati, indebolita da una legge elettorale che consegna ai segretari di partito la scelta di parlamentari fedeli. Rifiutata l'ipotesi di un Senato elettivo, organo di garanzia, sarebbe stato preferibile un monocameralismo temperato da adeguati contrappesi. Il nuovo procedimento legislativo è farraginoso; la riforma del titolo V non prevede l'istituzione di macroregioni, che avrebbero consentito autentici risparmi di spesa; l'accentramento dei poteri in capo allo Stato non elimina i potenziali conflitti con le autonomie territoriali. Il linguaggio semplice e intenso della Costituzione del '48 cede il passo a un complicato e sgradevole gergo burocratico, spia del basso profilo di una riforma tutta volta a stabilizzare un Governo privo di legittimazione popolare. Nel combinato disposto con la legge elettorale nota come Italicum, che prevede un abnorme premio di maggioranza, il ddl altera pericolosamente gli equilibri costituzionali, celando una deriva autoritaria: un partito con il 20 per cento dei suffragi può conquistare la maggioranza dei seggi alla Camera e controllare l'elezione di tutti gli organi di garanzia, dal Presidente della Repubblica alla Corte costituzionale, dal CSM alle autorità indipendenti. I principali provvedimenti del Governo in carica (legge elettorale, riforma costituzionale, job acts, buona scuola, riforma della RAI) hanno come filo conduttore l'idea dell'uomo solo al comando. Sensibile a pressioni sovranazionali e agli interessi della grande finanza, che puntano a ridurre gli spazi democratici, il Presidente del Consiglio Renzi, dopo aver utilizzato la riforma costituzionale come strumento di demagogia e di scontro, sta trasformando il referendum costituzionale in un plebiscito personale. Con accenti diversi, le minoranze hanno sottolineato, infine, l'incoerenza e l'ipocrisia del PD, che si mobilitò per la bocciatura in sede referendaria della riforma varata dal centrodestra nel 2005, che assicurava in modo più bilanciato il superamento del bicameralismo perfetto e la stabilità del Governo.
In replica, il Presidente del Consiglio Renzi ha ringraziato il Senato per avere consentito di concludere un processo di riforma costituzionale atteso da lungo tempo, dopo numerosi fallimenti. Votando un testo che ne ridimensiona la composizione e le funzioni, il Senato dimostra che il cambiamento è possibile, che il Paese ha un futuro, che la politica può essere una forma di servizio civile. Il Presidente del Consiglio ha negato che il ddl modifichi il sistema costituzionale di pesi e contrappesi, ha enfatizzato l'eliminazione della doppia fiducia e il superamento del procedimento legislativo bicamerale, ha ricordato che FI ha condiviso il primo passaggio parlamentare. Ha colto l'occasione per tracciare un bilancio dell'esperienza di Governo, ponendo l'accento sulla ripresa economica, il recupero di credibilità dell'Italia, la rinnovata fiducia in una politica capace di decidere. Ha ribadito infine che si dimetterà, qualora la riforma sia bocciata nel referendum.
Nelle dichiarazioni finali, hanno annunciato voto favorevole i sen. Maurizio Romani (Misto-IdV), Patrizia Bisinella (Misto-Fare), Mazzoni (AL), Zeller (Aut), Torrisi (AP), Anna Finocchiaro (PD). Hanno annunciato voto contrario i sen. Anna Cinzia Bonfrisco (CR), Calderoli (LN), Mauro Mauro (GAL), Loredana De Petris (Misto-SEL), Morra (M5S) e Paolo Romani (FI-PdL).