507ª Seduta pubblica
Giovedì 17 settembre 2015 alle ore 09:32
In apertura di seduta il Presidente Grasso ha comunicato che si passerà all'esame del ddl n. 1429-B di riforma costituzionale, perché la Commissione bilancio non ha ancora espresso il parere sul ddl n. 1917 (legge quadro sulle missioni internazionali).
Il sen. Romani (FI-PdL) ha chiesto di fissare un termine preciso per la ripresa della discussione del ddl n. 1917, ma il sen. Sangalli (PD), vice presidente della Commissione bilancio, ha spiegato che sono necessari approfondimenti che possono richiedere ore o giorni. Il sen. Malan (FI-PdL) ha chiesto una sospensione per consentire alla Commissione bilancio di esprimere il parere: la sen. De Petris (SEL) e il sen. Marton (M5S) hanno appoggiando la richiesta, rilevando che il Governo non fornisce alla Commissione bilancio le informazioni necessarie. Dopo che il Presidente ha annunciato l'intenzione di sottoporre la richiesta al voto dell'Assemblea, il sen. Volpi (LN) ha chiesto la convocazione della Conferenza dei Capigruppo, che ha confermato il calendario approvato ieri. Il Presidente ha comunicato che l'esame del ddl n. 1917 potrà proseguire domani mattina, ove giunga il parere della Commissione bilancio. Secondo la sen. De Petris (SEL) il calendario è stato surrettiziamente modificato e il ddl n. 1917 non sarà esaminato. Anche il sen. Endrizzi (M5S) ha rilevato che i lavori d'Aula impediscono alla Commissione bilancio di riunirsi.
L'Assemblea ha avviato l'esame del ddl n. 1429-B, recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della Costituzione, già approvato dal Senato e modificato dalla Camera dei deputati.
Il ddl giunge all'esame dell'Assemblea senza relatore. La Presidente della Commissione affari costituzionali ha riferito sui lavori della Commissione, che non si sono conclusi. La sen. Finocchiaro (PD) ha ricordato le audizioni di 32 costituzionalisti, la presentazione di 500.000 emendamenti, la decisione di inammissibilità degli emendamenti riferiti agli articoli 1 e 2, il ritiro da parte del sen. Calderoli della maggior parte degli emendamenti presentati e, infine, la richiesta di un comitato ristretto, che non è stata votata in conseguenza della decisione della Conferenza dei Capigruppo di calendarizzare il provvedimento.
Nell'illustrare una pregiudiziale costituzionale, la sen. De Petris (Misto-SEL) ha posto l'accento sull'accelerazione che espropria la Commissione di merito, violando le norme costituzionali e regolamentari sulla procedura di esame dei ddl costituzionali. Il testo modificato dalla Camera presenta profili di criticità, unanimemente rilevati dai costituzionalisti, venti dei quali hanno ritenuto emendabili gli articoli sulla composizione e le funzioni del Senato. Pasticciata e irrazionale, la riforma, che cancella l'elezione diretta del Senato, rafforza i poteri dell'Esecutivo, modifica surrettiziamente la forma di governo, reca una ferita al sistema democratico e al bilanciamento dei poteri, riducendo il pluralismo e comprimendo la rappresentanza. Il sen. Calderoli (LN), nell'illustrare una questione pregiudiziale, ha evidenziato che il provvedimento giunge in Aula senza relatore non a causa della presentazione di numerosi emendamenti, ma perché Governo e maggioranza non hanno i numeri in Commissione e sperano di trovarli in Aula. La Camera ha privato le Regioni di funzioni essenziali, non ha ridotto il numero dei deputati, ma ha eliminato le funzioni autonome del Senato: diventa inutile a questo punto discutere di elezione diretta o di secondo grado. Il combinato disposto di legge elettorale e riforma costituzionale elimina fondamentali garanzie e crea le premesse per un regime, consentendo per ipotesi ad un partito con il 20 per cento di scegliere Presidente della Repubblica, giudici della Corte costituzionale, membri del CSM e presidenti delle authority. Nell'illustrare una proposta di rinvio in Commissione, il sen. Malan (FI-PdL) ha ricordato la grande mobilitazione del PD contro la riforma costituzionale, molto più equilibrata, varata nel 2005, che riduceva di un terzo i parlamentari, differenziava le funzioni delle Camere, riequilibrava i poteri tra Stato e Regioni. Non è mai avvenuto, inoltre, che un testo costituzionale giunga in Aula senza neanche un voto in Commissione. Anche il sen. Malan ha evidenziato che un partito con il 25 per cento, grazie al premio di maggioranza, potrà ottenere il 55 per cento dei seggi e controllare in questo modo tutti gli organi di garanzia. Sarebbe preferibile abolire il Senato piuttosto che dotarlo di funzioni inutili. Il sen. Crimi (M5S), nell'illustrare una pregiudiziale costituzionale, ha ricordato che il testo in esame è peggiore della riforma approvata durante il Governo Berlusconi. L'obiettivo è ridurre il potere del Parlamento, la rappresentanza delle opposizioni, i contrappesi istituzionali. Numerose le contraddizioni e i paradossi, rilevati anche dai costituzionalisti favorevoli alla riforma: il Senato, trasformato in una finta Camera delle autonomie, non sarà più eletto dai cittadini, sarà di fatto nominato dalle burocrazie di partito ma parteciperà al procedimento legislativo in materia costituzionale; i consiglieri regionali sceglieranno i sindaci da inviare in Senato per rappresentare i territori; il Senato potrà richiamare a suo piacimento le leggi ma le sue proposte potranno essere ignorate dalla Camera e la soppressione della doppia lettura peggiorerà la qualità della legislazione. Il sen. D'Alì (FI-PdL), nell'illustrare una questione pregiudiziale, ha rilevato che il principio della sovranità popolare implica l'elezione diretta degli organi legislativi e che la riforma della Costituzione presuppone un'assemblea fortemente rappresentativa. L'ampia revisione della Costituzione, voluta da una maggioranza eletta con una legge incostituzionale, viola perciò gli articoli 1 e 138 della Costituzione. La riforma, peraltro, non prevede alcun riassetto delle Regioni che sono i principali centri di spesa.
Dopo gli intervenuti dei sen. Cervellini (SEL), Endrizzi (M5S), Bondi (Misto), l'Assemblea ha respinto le pregiudiziali e la sospensiva. Il Presidente ha quindi dichiarato aperta la discussione generale.
Il sen. Pagliari (PD) ha respinto le accuse di incostituzionalità e di violazione dei principi democratici e ha accusato le opposizioni di voler riportare la discussione all'inizio anziché migliorare il testo. Il fine della riforma, secondo il senatore del PD, è aumentare la capacità decisionale del sistema istituzionale e l'articolo 1 ha delineato una differenziazione equilibrata delle funzioni delle due Camere. Resta aperto lo spazio per una riflessione ulteriore sulla scelta dei senatori e sui quorum necessari per eleggere il Presidente della Repubblica e i giudici della Corte costituzionale. La sen. Bencini (Misto-IdV) ha avanzato specifici rilievi di merito, evidenziando contraddizioni e incoerenze: il nuovo Senato non è un organo di rappresentanza delle autonomie territoriali (mancano la scelta del governo locale e un voto unitario), ma neanche una Camera propriamente politica, che richiederebbe l'elezione diretta. L'elezione di secondo grado tra i consiglieri regionali non è congruente con il potere del Senato di bloccare le leggi costituzionali. La deliberazione dello stato di guerra dovrebbe spettare ad entrambe le Camere e il nuovo procedimento legislativo non assicura semplificazione e snellezza. La riforma del titolo V, che ha un'impronta centralista, non si applica alle Regioni a Statuto speciale, limita le materia di competenza esclusiva dello Stato alle norme generali e comuni, reintroducendo la competenza concorrente che ha generato un enorme contenzioso; attribuisce allo Stato un potere di coordinamento finanziario che sembra finalizzato a legittimare tagli lineari alla spesa. Il ddl, infine, non riduce il numero dei deputati e non introduce strumenti di democrazia partecipata. Secondo il sen. Mandelli (FI-PdL) autentico fine della riforma costituzionale, della nuova legge elettorale e della riconfigurazione delle province, è il disegno egemonico del PD. Dopo il passaggio alla Camera, il Senato non ha più funzioni autonome ed esclusive, diventa un organo inutile. Il risparmio di spesa (di soli 90 milioni) non giustifica lo svuotamento di ruolo: in ogni caso è molto lontano dall'annunciato miliardo, che potrebbe essere conseguito solo con un accorpamento delle Regioni. Le competenze delle Regioni sono drasticamente limitate: passano alla competenza esclusiva dello Stato materie come la salute, le politiche sociali, la sicurezza alimentare, l'istruzione e la formazione professionale, l'ordinamento locale, la tutela dei beni culturali. Alla discussione hanno partecipato inoltre i sen. Aracri, Scilipoti, Malan, Mandelli (FI-PdL); Collina, Borioli, Cociancich (PD).