303ª Seduta pubblica
Venerdì 8 agosto 2014 alle ore 09:33
L'Assemblea ha approvato, in prima deliberazione, il ddl costituzionale n. 1429, e connessi, nel testo proposto dalla Commissione, recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, il contenimento dei costi delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della Costituzione.
Nella seduta di ieri sono stati approvati gli articoli 10, 11, 12, 15, 29, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39 e 40.
Nelle dichiarazioni di voto finale sono intervenuti a favore del ddl i sen. Maran (SC), Romano (PI), Zeller (Aut-PSI), Quagliarello (NCD), Paolo Romani (FI-PdL), Zanda (PD) e, a titolo personale, il sen. Barani (GAL). Hanno annunciato la non partecipazione al voto i sen. Scavone (GAL), Centinaio (LN), De Petris (Misto-SEL), Petrocelli (M5S), i senatori dissenzienti del PD e, a titolo personale, la sen. Cattaneo (AUT). Il sen. D'Anna (GAL) ha votato contro.
Secondo Scelta Civica, dalla caduta del muro di Berlino sono venute meno le ragioni del bicameralismo paritario e il ddl non configura una svolta autoritaria, ma segna il passaggio dalla democrazia assembleare alla democrazia fondata sulla responsabilità dell'Esecutivo. Il Gruppo ha rivendicato la legittimità democratica della scelta di trasformare il Senato in una Camera delle autonomie di secondo grado, ma ha condiviso le perplessità, manifestate dalle opposizioni, sulla legge elettorale approvata dalla Camera. Una migliore distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni e un rafforzamento della decisione avranno ricadute economiche positive, ma il Gruppo si attende che il Governo mostri altrettanta determinazione per trasformare il mercato del lavoro, la giustizia, la pubblica amministrazione. Il Gruppo Per l'Italia ha scelto un comportamento responsabile nei confronti di una riforma complessa, di ampia portata, che completa un percorso riformatore avviato alla fine degli anni '70. In molti ordinamenti il Senato è una Camera di equilibrio e riflessione, estranea al rapporto fiduciario: il testo si inserisce quindi nella tendenza dominante del costituzionalismo, è innovativo perché assegna al Senato un ruolo di raccordo tra Stato, Unione europea e enti locali, ed è perfettibile nelle letture successive.
Il Gruppo Grandi Autonomie e Libertà avrebbe voluto partecipare ad un processo riformatore trasparente e condiviso perché solo dal confronto tra diverse forze politiche, sociali, culturali può nascere il patriottismo costituzionale. L'Assemblea costituente era ben distinta dalla maggioranza di Governo e il patto costituzionale non può essere frutto di un accordo contingente: nonostante l'iniziale fervore riformista, si è perduta un'occasione a causa di ingerenze indebite del Governo, pressioni esterne, chiusure irragionevoli, forzature e violazioni delle regole. Il cancellierato richiede un determinato sistema elettorale: il ddl insegue invece uno pseudopresidenzialismo senza controllo, con una seconda Camera svilita e privata di autonomia, un insufficiente bilanciamento tra organi di governo e garanzia, una confusa ripartizione di competenze tra Stato e Regioni. Una riforma zoppicante è stata spacciata come una panacea all'opinione pubblica: una scelta pericolosa che indebolisce il quadro istituzionale e provoca instabilità. Nell'auspicio che i prossimi passaggi siano segnati dalla riconquista dell'autonomia, della libertà e della dignità parlamentare, il Gruppo ha deciso di non partecipare alla votazione.
Annunciando voto favorevole, il Gruppo Per le Autonomie ha parlato di controriforma del Titolo V: il ddl demolisce l'impianto federale della riforma del 2001, abolisce la competenza legislativa concorrente, senza diminuire il contenzioso tra Stato e Regioni. Il nuovo Senato non sarà un reale contrappeso alla Camera e non avrà i poteri del Bundesrat. Non è stato trovato equilibrio nell'elezione del Presidente della Repubblica. La fretta è cattiva consigliera e ci si sarebbe aspettati un confronto più disteso e approfondito. Positivo, invece, il giudizio sulle norme relative alla rappresentanza e alla tutela delle Regioni e delle autonomie speciali. L'auspicio è che le questioni irrisolte, tra cui la rappresentanza della minoranza slovena, siano risolte alla Camera.
La Lega Nord è un movimento riformatore, nato per trasformare il Paese: non si accontenta di riformette e non ama i pasticci. Dopo aver concorso alla riforma federalista del 2004, che fu bocciata dal centrosinistra, ha cercato di contribuire al varo di una riforma seria, ma si è scontrata con i limiti di un Governo centralista, animato da una fretta sospetta, che ha imposto una tabella di marcia inaccettabile e ha impedito all'Assemblea di correggere il testo. Un premier rampante che ha scelto come mission l'approvazione del ddl entro l'8 agosto, ha insultato i senatori e ha imposto diktat perfino alla sua maggioranza. La Lega non condividerà un'esperienza fallimentare e non sarà complice di chi sta affossando il Paese.
Secondo il Gruppo Misto-SEL il Governo ha sprecato mesi rincorrendo le riforme costituzionali e creando una finta emergenza, mentre il Paese sprofondava nella recessione. La riforma non avrà effetti positivi sull'economia ma sconvolgerà gli equilibri costituzionali e segnerà una cesura con la democrazia rappresentativa, riducendo il Parlamento ad una funzione ancillare, di mera ratifica delle decisioni dell'Esecutivo. Sommata ad una legge elettorale ipermaggioritaria, con sbarramenti ed elevato premio di maggioranza, il ddl determinerà una concentrazione di potere in capo all'Esecutivo. Le minoranze non sono state ascoltate, anche quando hanno avanzato proposte ragionevoli: ha prevalso la tentazione di affrontare un passaggio delicato con una prova di forza muscolare, con lo sguardo rivolto solo alla propaganda. Bene ha fatto dunque la minoranza a presentare seimila emendamenti, unico strumento per richiamare l'attenzione dei cittadini sulle forzature e le violazioni compiute.
Nuovo Centro Destra ha rivendicato un lavoro di paziente mediazione che ha consentito di attribuire nuove competenze al Senato, di aumentare le garanzie, di prevedere comunque un pronunciamento popolare. Ha sottolineato positivamente il superamento del bicameralismo, per accelerare il procedimento decisionale e rispondere alle sfide globali. Non ha negato il problema dei correttivi rispetto allo strapotere della maggioranza, ma il sistema non va riequilibrato attribuendo al Senato competenze politiche, soprattutto in materia di bilancio. Il Gruppo ha espresso preferenza per il semipresidenzialismo e ha annunciato una battaglia di sistema sull'Italicum.
Movimento 5 Stelle si è rivolto ai cittadini per raccontare una vicenda che nasce con la menzogna di una riforma costituzionale urgente per rilanciare il Paese. Il Governo ha rifiutato tutte le cento proposte del Movimento: dalla riduzione del numero dei deputati alla diminuzione dell'indennità e la soppressione dell'immunità; ha optato invece per una soluzione che scippa ai cittadini il diritto di voto, consegnando ai segretari di partito la scelta dei senatori che saranno selezionati nell'ambito di un ceto amministrativo tra i più corrotti. Mentre il Ministro si limitava a twittare e una maggioranza ricattata riusciva a esprimersi liberamente soltanto con lo scrutinio segreto, veniva svilito il ruolo dell'opposizione: M5S ha così deciso di uscire dall'Aula per richiamare l'attenzione del Paese sulle priorità economiche. Ieri l'ISTAT ha certificato il fallimento del premier, confermando che il Paese è impantanato nella recessione e il bonus di 80 euro non ha avuto impatto sul Pil.
Secondo Forza Italia questa è la prima tappa di un percorso lungo e complesso, non privo di difficoltà. Si tratta di individuare una mediazione alta tra diverse culture istituzionali, rinunciando alla tentazione di accantonare il bene per invocare il meglio. Mentre il centrosinistra ha bocciato al riforma del 2004, che superava il bicameralismo, innovava forma di governo e di Stato, Forza Italia ha scelto di collaborare per differenziare le funzioni delle due Camere e correggere l'improvvida riforma del titolo V varata nel 2001. Ricordate le differenze politiche che sui temi economici separano FI dalla maggioranza, ha confermato un'opposizione leale e responsabile. Renzi e Berlusconi - ha affermato il Capogruppo - hanno fortemente voluto la riforma e i senatori stanno scrivendo una pagine storica, dimostrando di non essere una casta bensì un corpo di legislatori al servizio della Nazione.
Secondo il Partito Democratico lo Stato è fragile e, per affrontare l'emergenza economica, occorre rendere più efficienti le istituzioni e rinnovare la macchina pubblica. Sulla fine del bicameralismo perfetto si è registrata l'unanimità, ci si è divisi sul come superarlo. Il Capogruppo si è rammaricato per l'esito dei voti segreti e ha rilevato che i pericoli per la democrazia non provengono dal Senato di secondo grado, bensì dallo svuotamento delle istituzioni di governo nazionali e sovranazionali. Ha ricordato infine che la riforma è approvata con un consenso più ampio della maggioranza politica e che il PD ha cercato il confronto, incontrando difficoltà con chi si è autoescluso.
Numerosi gli interventi in dissenso. La sen. Cattaneo (Aut) ha annunciato l'astensione, esprimendo delusione per un progetto tecnicamente frettoloso, pasticciato, decontestualizzato rispetto ad altre riforme. Non convinta dalla mancata riduzione dei deputati, dal Senato non elettivo, dalla modalità di elezione del Presidente della Repubblica, dalla carenza di contrappesi adeguati, ha criticato anche un metodo che è stato condizionato dalla strategia di governo e dalla disciplina di partito, dalla mancanza di ascolto e dall'insofferenza nei confronti di contributi qualificati.
Rivendicando la battaglia leale e a viso aperto dei dissidenti del PD, il sen. Chiti (PD) ha annunciato la non partecipazione al voto che è volta non a denunciare un'involuzione autoritaria ma a sostenere un progetto alternativo di superamento del bicameralismo. Ha ricordato che l'elezione del Senato contestuale a quella dei Consigli regionali sarebbe stata condivisa da una larghissima maggioranza e ha espresso l'auspicio che la procedura seguita non costituisca precedente. La partecipazione di FI alla riforma è un fatto positivo, ma questo rapporto non può essere esclusivo e non può basarsi su intese personali. Il sen. Mineo (PD) ha ricordato che in una democrazia liberale gli istituti di garanzia non devono finire in mano al premier di turno: per questo motivo i dissidenti hanno proposto una Camera politica, con un ridotto numero di deputati, e un Senato di controllo, eletto direttamente dal popolo. Non è mai accaduto - ha rilevato il sen. Tocci (PD) - che il governo ponesse una sorta di fiducia su una riforma costituzionale. La crisi del Paese non ha natura istituzionale ma politica: scaturisce dalla mancanza di progetti alternativi. La riforma del Senato è un'illusione mediatica: i dati economici segnano un brusco ritorno alla realtà.
In dissenso dai rispettivi Gruppi, hanno annunciato la non partecipazione al voto il sen. Minzolini (FI-pdL), che preferirebbe l'abolizione del Senato al suo declassamento a organo inutile e nocivo, e il sen. Mauro (PI), secondo cui il ddl segna il passaggio ad un bicameralismo confuso. Il relatore sen. Calderoli (LN) non ha abbandonato l'Aula ma ha annunciato l'astensione, nella speranza che il testo sia migliorato alla Camera. Rilevando che la riforma avrebbe potuto essere approvata a larghissima maggioranza, ha criticato il metodo seguito e alcuni contenuti, che presentano profili di illegittimità costituzionale.