Per una geografia storico-economica. L'Italia (parte prima: l'Italia preunitaria)

navimercantiliaVeneziaNel precedente numero si è concluso il primo ciclo di articoli di questa rubrica, dedicato ai fattori dello sviluppo economico: commercio (nn. 1 e 2 della nuova serie), agricoltura (nn. 3 e 4), industria (nn. 5 e 6) e finanza (nn. 7 e 8). A partire da questo numero ad essere prese in esame saranno invece le vicende dei singoli stati, seguendo un percorso geografico che muoverà dal nostro paese, per interessare poi le economie di altri paesi avanzati o in via di sviluppo.

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1. Fioritura e successiva decadenza dell'economia in epoca romana

2. La ripresa medievale e l'iniziale primato del Mezzogiorno

3. L'ascesa delle economie settentrionali

4. L'evoluzione dell'economia meridionale

5. Il declino del Settentrione nell'età moderna

6. Il limitato coinvolgimento dell'Italia nella prima rivoluzione industriale

7. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

1. Fioritura e successiva decadenza dell'economia in epoca romana

Considerata in una prospettiva di lungo periodo, la storia economica dell'Italia si caratterizza per un ripetuto succedersi di ascese e cadute. Un primo periodo di prosperità si determinò nell'evo antico, in conseguenza della formazione dell'Impero romano. Come rilevato da Cameron e Neal (2005), il lungo periodo di pace e ordine che fu assicurato all'area mediterranea dalla dominazione romana consentì una notevole espansione dei commerci tra le sue regioni e dunque delle economie delle medesime. All'interno di quest'area in via di sviluppo, secondo Gino Luzzatto (1963) l'Italia venne a trovarsi in una condizione speciale, costituendo il centro dell'impero: essa trasse vantaggio dapprima dallo sfruttamento dei territori che cadevano sotto il controllo di Roma e successivamente, a mano a mano che la loro popolazione cresceva per effetto delle politiche di colonizzazione, dal progresso delle loro economie, che rese più intensi i loro rapporti commerciali con la penisola. Lo stesso Luzzatto sostiene tuttavia che a partire dal II secolo d.C. questo sviluppo delle province finì per avviare a decadenza l'economia italiana, in quanto al loro interno sorsero produzioni agricole e manifatturiere capaci di porsi in concorrenza con quelle nostrane, riducendone sempre più la presenza sui mercati dell'impero. Questo declino dell'Italia, comunque, si verificò nell'ambito d'una più generale crisi della parte occidentale del dominio romano, che, stando al giudizio di Cameron e Neal, andò manifestandosi proprio a partire dal II secolo, per effetto della crescita delle difficoltà e dei costi connessi alla difesa dei confini dell'impero (generata dalla sua stessa espansione), dalla quale derivarono fenomeni quali la fine della pax romana lungo le strade e le rotte commerciali o lo svilimento della moneta (con conseguenti incrementi dei prezzi) ad opera d'un'amministrazione sempre più bisognosa di risorse finanziarie. Nella fase del collasso dell'impero sotto i colpi degli invasori germanici e nei secoli che ad essa seguirono l'Italia fu poi interessata, al pari degli altri paesi occidentali, per un verso dal declino dell'urbanesimo, dei commerci e delle attività manifatturiere e per l'altro da una riorganizzazione dell'agricoltura fondata sulla dominanza della grande possidenza a conduzione servile (si veda, al riguardo, ancora il testo di Luzzatto).

2. La ripresa medievale e l'iniziale primato del Mezzogiorno

Al lungo periodo di crisi e poi di stagnazione dell'economia fece tuttavia seguito, a partire dal X secolo, una nuova epoca di sviluppo: e anche di essa l'Italia risultò partecipe. In parte, questa nuova espansione fu innescata dalla ripresa demografica di cui beneficiò il continente (in merito alla quale rimandiamo all'articolo pubblicato nel n. 3 di MinervaWeb Nuova Serie); ma in parte dipese anche dagli stimoli apportati alle economie dei paesi occidentali da quelle dell'Oriente islamico e bizantino, che all'epoca - secondo quanto scrive Paolo Malanima (2002) - risultavano più progredite rispetto alle prime. Tali stimoli non potevano però assumere ovunque la medesima forza, in quanto l'inserimento nei circuiti commerciali facenti capo alle regioni del Levante risultava più facile ai territori del Sud del Mediterraneo. Ciò poneva il Mezzogiorno d'Italia in condizione di vantaggio rispetto al Settentrione: e infatti lo stesso Malanima afferma che nel periodo iniziale di questa fase di ritrovata espansione (identificabile con i secoli X e XI) la prima di tali regioni si caratterizzava rispetto alla seconda per una maggiore partecipazione dei suoi centri portuali al grande commercio mediterraneo. Un'analisi di portata più ampia sulla situazione meridionale del tempo, condotta da Vitolo e Musi (2004), permette inoltre di cogliere come questo maggiore dinamismo sul fronte mercantile si riverberasse sui rimanenti comparti dell'economia, ponendo il Mezzogiorno in una posizione di preminenza rispetto al Settentrione anche in ambito agricolo e manifatturiero.

3. L'ascesa delle economie settentrionali

Sempre secondo il citato studio di Malanima, il rapporto tra le due parti del paese andò radicalmente mutando nei secoli successivi all'XI, quando l'espansione demografica ed economica dell'Europa settentrionale, accrescendo la capacità di tale area sia di esportare che d'importare materie prime e manufatti, fece sorgere forti correnti di traffico tra di essa e le regioni mediterranee, nelle quali i mercanti del Nord Italia si inserirono, sfruttando la favorevole posizione geografica della propria terra per assurgere al ruolo di principali gestori delle medesime. Lo sviluppo dell'attività mercantile favorì quello delle manifatture, in quanto consentì agli operatori settentrionali sia di procurarsi le materie prime necessarie all'avvio di produzioni su larga scala, sia di essere presenti sulle piazze suscettibili di assorbire queste ultime. Esso inoltre rese possibile quello della finanza, dal momento che, come spiega ad esempio Robert S. Lopez ne L'alba della Banca (1982), l'attività bancaria di più elevato livello si sviluppò proprio a partire da quella delle maggiori compagnie mercantili, che presero ad operare in tale ambito per reperire finanziamenti utili alla conduzione delle proprie operazioni commerciali, finendo poi per considerarla un'attività da perseguire per se stessa, in ragione della sua redditività (per un'analisi dello sviluppo della moderna finanza si veda l'articolo comparso sul n. 7 di MinervaWeb Nuova Serie). In virtù dei progressi realizzati in tali settori, l'Italia settentrionale pervenne nel contesto europeo ad una posizione di preminenza economica destinata a protrarsi sino all'età rinascimentale.

Questa ascesa economica non è tuttavia da ricondurre unicamente alla favorevole posizione geografica della regione. Studiosi come il già citato Luzzatto o Gaetano Salvemini (1899) hanno evidenziato come al progresso economico del Nord Italia abbia molto contribuito la conquista da parte delle sue città d'una sostanziale autonomia politica rispetto all'Impero germanico e ai feudatari locali, che permise al ceto imprenditoriale in esse presente di prendere parte al governo delle medesime e di orientarlo in modo tale da favorire lo sviluppo delle proprie attività, in particolare attraverso la sottomissione e lo sfruttamento economico delle aree rurali.

Dalla lettura delle opere di Malanima, Luzzatto o anche altri autori, quale ad esempio Giorgio Giorgetti (1974), si evince inoltre come lo sviluppo delle economie urbane abbia suscitato quello dell'agricoltura, generando una domanda supplementare di prodotti dei suoli e dell'allevamento (per uso sia alimentare che industriale) e un flusso di investimenti dalle città verso le campagne che stimolarono e al contempo resero possibile un rinnovamento delle pratiche agricole fondato sulla razionalizzazione delle strutture produttive, sulla diversificazione colturale e sul compimento di opere di sistemazione di suoli ed acque. Al pari dei comparti manifatturiero, mercantile e finanziario, nelle regioni settentrionali anche l'agricoltura pervenne così a un grado di prosperità per l'epoca assai elevato.

4. L'evoluzione dell'economia meridionale

Per effetto dello sviluppo delle regioni settentrionali, il Mezzogiorno non soltanto fu da queste scavalcato dal punto di vista del livello di sviluppo economico, ma per certi versi subì addirittura un arretramento in termini assoluti. Difatti, come spiega David Abulafia (1991), i mercanti del Nord Italia riuscirono ad assumere una posizione dominante sulle piazze meridionali, concentrando nelle proprie mani la gestione del commercio con l'estero del regno normanno; essi inoltre sfruttarono la propria presenza per fare del Mezzogiorno un mercato di sbocco della propria produzione industriale, la quale riuscì a vincere la concorrenza di quella locale, determinandone il declino.

Ridotto a mero produttore di generi alimentari, prodotti dell'allevamento e materie prime industriali, il Mezzogiorno riuscì comunque a proseguire nel proprio percorso di sviluppo economico, fondandolo da allora in avanti proprio sull'espansione del settore agricolo: studi come quelli di Giorgetti o di Vitolo e Musi forniscono di ciò ampia documentazione. Tale espansione, se per un verso fu ostacolata dal limitato dinamismo delle economie urbane, che si rifletté negativamente sulle possibilità di ampliamento del mercato interno, per l'altro risultò fortemente stimolata dalla crescita della domanda internazionale, della quale il Meridione ebbe modo di approfittare proprio in conseguenza del radicamento sul suo territorio delle compagnie mercantili settentrionali, le quali posero i suoi produttori agricoli in contatto con i principali mercati urbani europei, a cominciare ovviamente da quelli del Nord Italia. In ambito agricolo, il Mezzogiorno riuscì dunque a volgere a proprio vantaggio gli stretti legami commerciali instauratisi fra le due parti del paese. Dalla lettura delle opere menzionate, tuttavia, emerge altresì come tale percorso di sviluppo abbia condannato il Mezzogiorno a permanere in una posizione di subalternità economica nei confronti del Settentrione, in quanto il mancato sviluppo delle attività secondarie e terziarie creò un vuoto che quello, pur consistente, della produzione agricola per l'esportazione non fu in grado di colmare.

5. Il declino del Settentrione nell'età moderna

L'età moderna vide la fine del primato dell'Italia settentrionale e l'affermazione dei paesi nordeuropei (in particolare dei Paesi Bassi e dell'Inghilterra) quali nuove economie guida del continente. Malanima riconduce questo mutamento di equilibri alla crescita dell'importanza delle rotte atlantiche, che nel Seicento assursero a principali direttrici del commercio internazionale: a quel punto la posizione geografica del Nord Italia, che l'aveva grandemente avvantaggiato all'epoca dello sviluppo dei traffici tra l'Europa continentale e il Mediterraneo, divenne per esso un fattore penalizzante, impedendogli di prendere parte nella stessa misura in cui vi riuscivano i paesi nordeuropei ai commerci che andavano sviluppandosi tra l'Europa e gli altri continenti.

Il mutare dei rapporti tra il Nord Italia e le regioni nordeuropee in ambito mercantile si ripercosse sugli altri settori produttivi, favorendo un'evoluzione complessiva delle economie dell'uno e delle altre tendente a ridimensionare la forza del primo e ad accrescere quella delle seconde. Avvenne così, per esempio, che i banchieri italiani, indeboliti dal declino del commercio mediterraneo, non furono in grado di fronteggiare i nuovi concorrenti emersi nel XVI secolo nella Germania meridionale (di ciò scrive Jean-François Bergier in un altro saggio contenuto nel volume L'alba della banca).

All'interno di ciascun comparto, tuttavia, è possibile rilevare anche l'azione di fattori specifici all'origine dell'arretramento del nostro Settentrione e dell'avanzamento dei paesi nordeuropei: di ciò dà conto lo stesso Malanima, nello studio sin qui citato e anche in un precedente saggio del 1982. In agricoltura, difatti, i secondi pervennero a livelli di produttività e redditività superiori a quelli, pur elevati, cui s'era attestato il primo non soltanto in virtù degli stimoli che furono offerti a tale settore dallo sviluppo degli altri, ma anche in ragione del fatto che gli investimenti produttivi che lo sviluppo delle attività manifatturiere e terziarie rese possibile andarono ad incidere su un'agricoltura dotata di maggiori potenzialità rispetto a quella italiana. Nell'area nordeuropea la conformazione dei suoli e il regime delle piogge risultavano difatti maggiormente favorevoli che nel nostro paese alla conduzione delle pratiche agricole (si veda al riguardo l'articolo pubblicato sul n. 4 di MinervaWeb Nuova Serie). Quanto al settore manifatturiero, in esso l'affermazione dei produttori nordeuropei a scapito di quelli nostrani fu grandemente favorita dalla possibilità che ebbero i primi di abbassare i costi di produzione reclutando manodopera fra la popolazione rurale (la quale era disposta ad accettare anche retribuzioni molto basse, dal momento che per essa il salario operaio costituiva soltanto un'integrazione della propria principale fonte di sussistenza, che continuava ad essere l'attività agricola): difatti gli imprenditori settentrionali non poterono seguire i propri competitori su tale strada, dal momento che per i contadini italiani era più difficile conciliare il lavoro nei campi con quello operaio, stante la dominanza nel nostro paese di forme di agricoltura ad elevata intensità di lavoro (come spiegato nell'articolo consultabile nel n. 5 di MinervaWeb Nuova Serie).

Al declino del Settentrione contribuì anche un fattore di natura politica. Nel tracciare una storia globale del capitalismo, Prem S. Jha (2007) ha rilevato come nel corso dei secoli ad occupare una posizione dominante sulla scena economica occidentale siano state entità statuali dalle dimensioni sempre maggiori: prima Genova e Venezia, poi i Paesi Bassi, quindi l'Inghilterra e infine gli Stati Uniti d'America. Questo fenomeno è spiegato dall'autore col fatto che uno stato di grandi dimensioni poteva assumere gravosi impegni militari (e quindi dotarsi d'un'estesa sfera d'influenza) e creare al proprio interno un ampio mercato, favorendo così, meglio di quanto un paese di ridotta estensione territoriale potesse fare, l'espansione delle attività condotte dai suoi imprenditori sia in ambito internazionale che entro i propri confini. Fu dunque anche la mancata formazione d'uno stato nazionale a porre gli operatori settentrionali in condizioni d'inferiorità rispetto a quelli dei paesi nordeuropei.

6. Il limitato coinvolgimento dell'Italia nella prima rivoluzione industriale

La prima rivoluzione industriale rafforzò ulteriormente la posizione di preminenza assunta dalle economie nordeuropee nel contesto continentale: difatti, stando a quanto scrive Giovanni L. Fontana (in un saggio a cura di Antonio Di Vittorio del 2011), nei processi di rinnovamento tecnologico ed organizzativo e di espansione dei volumi produttivi che connotarono l'evoluzione del comparto manifatturiero tra la metà del Settecento e la metà dell'Ottocento l'Italia non risultò coinvolta che in maniera assai limitata. Il medesimo autore individua le ragioni di questo mancato sviluppo industriale in una triplice carenza: di risorse naturali, di capitali e di stimoli sul fronte della domanda. L'Italia difatti, a differenza dei paesi nordeuropei, non possedeva cospicui giacimenti di carbone e quindi rispetto a questi ultimi aveva minori possibilità di meccanizzare le proprie attività manifatturiere tramite l'introduzione di macchine a vapore. Inoltre il più limitato sviluppo dell'agricoltura, del commercio e dello stesso comparto manifatturiero di cui essa aveva sofferto nella fase storica precedente faceva sì che i suoi imprenditori per un verso non fossero in grado di effettuare investimenti pari a quelli dei loro concorrenti d'oltralpe e per l'altro non potessero contare su mercati locali ampi quanto quelli costituitisi nelle più ricche regioni nordeuropee: pertanto nel nostro paese l'elevazione degli investimenti industriali risultò al tempo stesso ostacolata da fattori che limitavano l'accumulazione di capitali e disincentivata da fattori che riducevano la loro remuneratività.

Agli inizi dell'età contemporanea, l'Italia si presentava dunque come un paese ritardatario nello sviluppo rispetto alle nazioni più dinamiche del Nord Europa, le quali, dopo avere sottratto alle sue regioni settentrionali il primato da esse a lungo detenuto in ambito continentale, stavano ulteriormente accrescendo il proprio vantaggio, dando vita a strutture produttive più moderne ed efficienti in un settore dell'economia, quale era quello manifatturiero, destinato ad assumere sempre maggiore importanza.

7. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

L'Italia preunitaria. Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca.

Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.



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