La basilica di Santa Maria sopra Minerva
La basilica di Santa Maria sopra Minerva è uno dei rari esempi in Roma di arte gotica, ospite delle reliquie di Santa Caterina da Siena e della sacrestia con la stanza ove la Santa senese morì, del sepolcro del Beato Angelico e di tante altre opere d'arte.
La chiesa è il fulcro di quella Insula Sapientiae di cui oggi fanno parte il Convento domenicano, la Biblioteca della Camera, la contigua Biblioteca Casanatense e il palazzo, sede della Biblioteca del Senato.
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1. La storia precedente alla costruzione
2. La fabbrica della chiesa gotica
5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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1. La storia precedente alla costruzione
Su tutta l'area su cui attualmente insiste la basilica di Santa Maria sopra Minerva e l'annesso convento, sorgevano tre templi dell'antica Roma: il Minervium, di origine domizianea eretto in onore di Minerva Calcidica, l'Isèum dedicato a Iside, e il Serapèum dedicato a Serapide.
Proprio sulle rovine dell'antico Fanum Minervae (dedicato da Gneo Pompeo a Minerva Chalcidica, la cui statua oggi è in Vaticano), fu edificato nell'ottavo secolo un piccolo oratorio dedicato alla Vergine, subito denominato Minervum, che venne donato da papa Zaccaria alle monache basiliane fuggite da Costantinopoli per le persecuzioni degli Iconoclasti.
Secondo la tradizione, non convalidata da fonti documentarie, il gruppo di monache, provenienti dal monastero di S. Anastasia di Costantinopoli, giunse a Roma nel 750, portando con sé varie reliquie (tra cui il corpo di San Gregorio Nazianzeno) e immagini sacre; i cavalli della carovana si arrestarono come per segno divino di fronte alla chiesa di S. Maria in Campo Marzio ed il pontefice Zaccaria I, venuto a conoscenza del miracolo, assegnò alle monache la piccola chiesa di S. Maria sopra Minerva con una fabbrica contigua per abitazione e successivamente anche la chiesa di Santa Maria in Campo Marzio.
E' molto probabile che questo primitivo edificio di culto si trovasse in corrispondenza del braccio di sinistra del transetto di quella che sarebbe stata, cinque secoli più tardi, la grande chiesa domenicana.
La chiesa è menzionata come appartenente, con tutte le sue pertinenze, al Monastero di S. Maria in Campomarzio nella bolla del 1194, con cui Celestino III ricevette il suddetto monastero sotto la sua protezione, enumerandone i beni.
Il primo documento del passaggio dell'oratorio ai frati predicatori è del 1266: si tratta degli atti del capitolo provinciale di Todi, da cui si apprende che i Domenicani si erano stabiliti nei pressi del Pantheon (forse in alcuni locali della Minerva di proprietà delle monache); ma è nel 1275 che ne ottennero il possesso effettivo per interessamento del loro confratello fra' Aldobrandino Cavalcanti, vescovo di Orvieto e vicario del papa Gregorio X a Roma. E' comunque probabile che la chiesa della Minerva sia rimasta per circa un decennio alle dipendenze di Santa Sabina, poiché solo nel capitolo provinciale di Roma del 1287 viene menzionato per la prima volta il priore della Minerva (fatto che attesta la trasformazione dell'insediamento in conventus, ovvero in sede stabile e autonoma composta da almeno dodici frati).
2. La fabbrica della chiesa gotica
Nel 1280, come testimonia una lettera del 24 giugno del pontefice Niccolò III ai senatori Giovanni Colonna e Pandolfo Savelli, ebbe inizio la costruzione della grandiosa chiesa gotica a tre navate, probabilmente su disegno dei domenicani fra' Sisto Fiorentino e fra' Ristoro da Campi (gli stessi che edificarono Santa Maria Novella a Firenze). Negli anni successivi anche il pontefice Bonifacio VIII promosse il progetto, elargendo nel 1295 una ingente somma di denaro, seguito da numerosi fedeli con i propri lasciti testamentari.
Anche dopo il trasferimento del papato ad Avignone la costruzione della basilica proseguì. Verso la metà del XIV sec. fu aperta al culto, dopo il completamento della zona absidale, della crociera e delle navate laterali con copertura a semplici capriate lignee. Attorno alla metà del Trecento, grazie a finanziamenti del conte Francesco Orsini, verranno realizzati anche l'esterno e la facciata, lasciata rustica, inoltre sarà rafforzata la navata laterale destra. Quest'ultima verrà sistemata solo nel 1453 con una terminazione sommitale "a guscia", come quella tuttora visibile in S. Maria in Aracoeli, ma rimarrà semplice e disadorna fino al 1725, quando Benedetto XIII, in occasione del giubileo, deciderà di farla decorare con un semplice rivestimento ad intonaco dipinto.
Nei decenni successivi verranno inserite sepolture e realizzati altari e cappelle di famiglia, mentre alla metà del Quattrocento saranno eseguiti nuovi lavori per voltare anche le navate. Infatti, come attestano alcuni pagamenti della Camera Apostolica, entro il 1474 si conclusero i lavori di realizzazione delle volte promossi dal cardinale Giovanni Torquemada, zio del celebre inquisitore, al quale si deve anche l'erezione della navata centrale. Le difficoltà di finanziamento dei lavori e la riduzione di altezza dell'edificio, dovutaalla sostituzione della copertura a capriate visibili con le volte, ridussero lo slancio tipico dello stile gotico. Sulla facciata, del XVII secolo, si conservano i tre portali quattrocenteschi, quello centrale elegantemente lavorato nei particolari, con numerose lapidi indicanti l'altezza raggiunta dall'acqua durante le inondazioni del Tevere dal 1598 al 1870.
Molti dei protagonisti della cultura architettonica del Cinquecento lavorarono nella basilica di Santa Maria sopra Minerva: Baldassarre Peruzzi, Giovan Battista da Sangallo e Antonio da Sangallo il Giovane furono infatti impegnati nella prima metà del Cinquecento nel rifacimento e ampliamento della cappella absidale al fine di collocarvi le sepolture dei papi Medici, Leone X e Clemente VII. Presto però si rinunciò al rifacimento del vano absidale (trasformato da Giovanni Fontana e Carlo Maderno solo tra il 1603 e il 1616 circa) e le due monumentali tombe, che videro impegnati anche gli scultori Raffaello da Montelupo, Nanni di Baccio Bigio e Baccio Bandinelli, vi furono collocate nel 1540.
La seconda metà del XVI secolo vide l'avvio di una grande espansione e trasformazione dell'intero complesso minervitano che era ormai divenuto la sede delle alte gerarchie dell'ordine.
Nel 1600, in seguito al rifacimento delle cappelle del transetto, alla costruzione o ricostruzione delle laterali, alla riduzione a tutto sesto degli archi delle navate mediante soprastrutture in legno e stucchi, la chiesa assunse un aspetto prevalentemente barocco e molte furono le famiglie gentilizie che promossero il rinnovamento delle proprie cappelle, commissionando lavori a Bernini, Baciccia, Rainaldi e altri importanti esponenti del barocco romano.
Va ricordato che l'11 luglio 1667, sulla piazza antistante, verrà innalzato il monumento dell' elefantino, disegnato dal Bernini ed eseguito da Ercole Ferrata, divenuto subito simbolo caratteristico di Piazza della Minerva e ormai parte integrante della visione d'insieme dalla chiesa.
Come già detto, nel secolo XVIII, per volontà di Benedetto XIII e con i progetti degli architetti Raguzzini e Marchionni, si procedette alla decorazione della facciata e il carattere barocco di tutto l'edificio venne così accentuato.
Nel 1808, con l'occupazione napoleonica della città e la soppressione delle corporazioni religiose, oltre duemila soldati si acquartierarono nel convento, così, quando nel 1814 i domenicani rientrarono in possesso della loro sede, dovettero avviare una serie di lavori per porre rimedio ai danni causati dalle truppe e in questo clima maturò l'idea di un restauro integrale della chiesa.
A partire dal 2 gennaio 1824 l'architetto domenicano fra' Girolamo Bianchedi ricondusse l'edificio a linee più essenziali eliminando le impalcature barocche dalle arcate laterali e spostando dalla grande navata centrale a quelle laterali i tanti monumenti sepolcrali che la affollavano; il tempio venne riaperto al culto il 3 agosto 1855, per celebrare la festa del Patriarca San Domenico.
In un opuscolo dedicato alla chiesa e stampato a Roma proprio nel 1855 si legge: "l'ingegno meraviglioso dell'architetto Fr. Girolamo Bianchedi converso Domenicano... seppe richiamare allo stile gotico questa chiesa monumentale, che esiste da circa sei secoli, e fece sparire le anomalie, le irregolarità, i difetti architettonici, che annunciavano l'epoca di transizione". Questa frase ben testimonia il quadro culturale dell'epoca, dominato dallo storicismo di marca romantica che, solo, ci permette di accettare questo fantasioso ripristino delle "originarie" forme gotiche, altrimenti ai nostri occhi inaccettabile per la sua arbitrarietà.
Anche l'originale e austero aspetto duecentesco dell'interno è stato modificato in seguito ai lavori realizzati intorno al 1850: ora la penombra avvolge le due file di pilastri in finto marmo a pianta cruciforme ornati dagli stuccatori forlivesi Achille e Giuseppe Lega e le pareti delle volte, della navata centrale e del transetto sono caratterizzati da una decorazione policroma con figure di Apostoli, di Profeti e Dottori della Chiesa assisi in trono. Lungo le pareti, nei sottarchi e nelle vetrate campeggiano figure di Santi domenicani, opera di artisti dell'800. Ai lati dell'ingresso le due acquasantiere marmoree, ognuna sorretta da un putto, sono opera del fiorentino Ottaviano Lazzeri che le scolpì nel 1638.
Nonostante le tortuose vicende storiche, di cui l'edificio porta ancora segni visibili, la basilica è l'unico esempio di chiesa gotico medievale nella città di Roma (i molti edifici sacri costruiti a Roma tra Duecento e Trecento hanno viste sommerse le loro caratteristiche gotiche dagli interventi successivi) e alla sua costruzione hanno contribuito le più importanti famiglie e personalità di Roma: il coro fu eretto a spese della famiglia Savelli, i duchi Caetani di Sermoneta fecero innalzare il grande arco sopra l'altare maggiore, le generose elargizioni del Cardinale Torquemada permisero la costruzione della grande navata centrale, sorsero le due navi minori per cura di varie illustri famiglie romane, i due grandiosi organi vennero donati dalla munificenza del Cardinale Scipione Borghese. Le primarie famiglie della capitale vollero avere cappelle e sepolcri gentilizi in questa chiesa.
In Santa Maria sopra Minerva sono contenute infatti le tombe di Santa Caterina da Siena, magistralmente restaurata nell'anno giubilare 2000 quando la scultura è stata liberata dai colori a olio che nell'Ottocento l'avevano trasformata in una statua di cera e ha ripreso il bianco del marmo del Quattrocento, del più illustre di tutti gli artisti domenicani, il pittore fra' Giovanni da Fiesole, detto il Beato Angelico, nel 1984 dichiarato da Giovanni Paolo II "Patrono Universale degli Artisti", dei due papi Medici Leone X e Clemente VII, sepolti dietro l'altar maggiore, del pontefice Urbano VII, di papa Benedetto XIII, del cardinal Torquemada, del cardinale umanista Pietro Bembo e di Andrea Bregno. Numerose sono inoltre le sepolture di nobili fiorentini, perché fu la loro chiesa a Roma prima di San Giovanni dei Fiorentini.
Altrettante sono le opere d'arte conservate nella chiesa: il "Cristo risorto" di Michelangelo, del 1519-1520,;la cappella Carafa, capolavoro di Filippino Lippi, che negli affreschi delle pareti e nella stupenda tavola sull'altare ha profuso il meglio della sua grande arte; la cappella dell' "Annunziata", dipinta anche da Nicolò Stabbia e profondamente modificata da Carlo Maderno, con una tavola in legno del 1485 di Antoniazzo Romano raffigurante l'Annunciazione (proprio qui il cardinale Torquemada fondò la confraternita dell'Annunziata, nata per procurare doti alle giovani ragazze povere); la cappella Aldobrandini di Giacomo della Porta e Carlo Maderno e Girolamo Rainaldi; sull'altare l'Istituzione dell'Eucarestia, tela di Federico Barocci del 1594; ancora sepolcri del Bernini (come il suggestivo monumento funebre della venerabile Maria Raggi, del 1643,nella navata sinistra). Vanno ricordati anche i due organi, praticamente uguali e costruiti entrambi nel 1628 da Ennio Bonifazi e collocati in due meravigliose casse dorate a tre campate; la sorte di questi due organi è stata completamente diversa (quello di destra dapprima saccheggiato delle canne interne e poi incendiato, quello di sinistra si trova ora nel duomo di Sutri). L'unico organo che è oggi possibile suonare è quello a trasmissione pneumatica costruito nel 1909 da Carlo Vegezzi Bossi e restaurato nel 1999.
Dietro la Sacrestia è la suggestiva "Stanza di S. Caterina", ricostruita nel 1637 con le mura stesse della camera ove morì in via di S. Chiara, con affreschi assai danneggiati della scuola di Antoniazzo Romano. Degna di nota è la Cappella Carafa, che venne fatta costruire e splendidamente decorare tra il 1489 e il 1492 dal Cardinale napoletano Oliviero Carafa in onore di San Tommaso d'Aquino. L'arcata di ingresso si trova alla fine del transetto destro ed è attribuita a Giuliano da Maiano. Nelle pareti interne si trova lo splendido ciclo affrescato di Filippino Lippi che, recentemente restaurato, è considerato uno dei più ricchi complessi pittorici del tardo quattrocento a Roma. Nella parete di fondo l'Assunzione della Vergine e la pala d'altare con l'Annunciazione e Il Cardinale Oliviero Carafa presentato alla Vergine da San Tommaso si connettono idealmente con tutte le storie affrescate nella cappella. Nella parete destra in alto i Miracoli del Crocifisso vedono raffigurato San Tommaso d'Aquino che, in preghiera, viene elogiato dal Crocifisso ("Hai scritto bene di me, Tommaso!") In basso Il Trionfo di San Tommaso d'Aquino sull'errore, dove il Santo viene rappresentato assiso in cattedra con un libro nella mano sinistra, mentre con la destra addita l'errore sconfitto. Le quattro figure femminili che gli sono accanto personificano la Grammatica, la Teologia, la Dialettica e la Filosofia, ciascuna caratterizzata dai propri attributi; in primo piano si affollano discepoli di San Tommaso (qualcuno sostiene che i due giovani a destra siano Giovanni e Giulio de' Medici: i futuri Leone X e Clemente VII) e forse anche il priore del convento e lo stesso pittore; sulla sinistra si scorge una veduta del Laterano con la statua equestre di Marc'Aurelio trasferita poi sul piazzale del Campidoglio. Nella volta le Sibille, anch'esse affrescate da Filippino Lippi. Nella parete sinistra il maestoso Monumento al Pontefice Paolo IV, fatto erigere da San Pio V nel 1566, fu disegnato da Pirro Ligorio e scolpito dai fratelli Giacomo e Tommaso Cassignuola. Nei medaglioni inseriti nel pavimento in opus alexandrinum si ripete il motivo del libro aperto, emblema teologico, e della stadera, allusiva al cognome del committente, con il motto evangelico.
5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
La basilica di Santa Maria sopra Minerva. Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca.
Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.
Per i termini tecnici ricorrenti nell'articolo si rimanda alla rubrica Glossario.