I fattori dello sviluppo economico: l'industria (parte prima: le società preindustriali)
1. La rinascita della vita urbana nel basso Medioevo.
2. Lo sviluppo delle attività manifatturiere.
3. Crisi e nuova espansione in età moderna.
4. L'organizzazione della produzione prima della rivoluzione industriale.
5. Il coinvolgimento delle popolazioni rurali nelle attività manifatturiere.
6. Le gerarchie interne al continente europeo.
7. Riferimenti e approfondimenti bibliografici.
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1. La rinascita della vita urbana nel basso Medioevo.
Come s'è visto nell'articolo dedicato all'evoluzione dell'agricoltura, a partire dal X secolo in Europa si determinò una forte crescita della produzione agricola e della popolazione. Questo fenomeno rese possibile un nuovo sviluppo dell'urbanesimo, il quale nella prima fase del Medioevo, per effetto delle invasioni barbariche, aveva subito un grave ridimensionamento. Tale sviluppo interessò sia le regioni mediterranee che già in epoca romana erano state caratterizzate dalla diffusa presenza di comunità cittadine, sia quelle dell'Europa continentale e settentrionale, dove un simile processo costituiva quasi ovunque una novità. Stando a Cameron e Neal (2005), a determinare la tendenza all'inurbamento della popolazione furono fondamentalmente tre fattori: l'incremento della pressione esercitata dai coltivatori sulle risorse agricole, che indusse molti contadini ad abbandonare le campagne per cercare condizioni di vita meno precarie nelle città; la crescita della produttività agricola (ossia della quantità di prodotto ch'era suscettibile di generare il lavoro di ciascun contadino), la quale consentì a quote crescenti della popolazione di dedicarsi ad attività diverse da quella agricola, quali quelle commerciali, finanziarie e manifatturiere che si svolgevano nelle città; l'espansione - alimentata dalla crescita demografica - dei traffici interni al continente europeo e fra questo e il Levante, che ripercuotendosi positivamente sulle attività imprenditoriali appena citate accrebbe le opportunità di trovare occupazione in tali ambiti.
2. Lo sviluppo delle attività manifatturiere.
L'incremento della popolazione urbana valse dunque ad alimentare lo sviluppo delle attività manifatturiere. Sempre secondo Cameron e Neal, fra di esse assunsero particolare rilevanza quelle tessili e quelle di costruzione, che rispondevano a due bisogni essenziali degli uomini; ma rispetto all'evo antico conobbero un notevole sviluppo anche settori quali l'industria metallurgica, la lavorazione del cuoio, quella del legno e la produzione di ceramiche. In quella fase s'ebbe inoltre la nascita dell'industria della carta. Un contributo importante a questi processi espansivi venne dall'introduzione di innovazioni tecnologiche, sotto forma di nuove macchine (la più importante delle quali fu verosimilmente il mulino) e di modifiche a quelle già esistenti (si possono citare, al riguardo, i miglioramenti apportati ai telai in uso nell'industria tessile), mediante le quali si ottennero accrescimenti della produttività del lavoro.
3. Crisi e nuova espansione in età moderna.
Fra i secoli XIV e XV lo sviluppo delle economie urbane conobbe un'interruzione, dovuta alla crisi demografica di quell'epoca, che si ripercosse sul volume della produzione e dei commerci; tuttavia nel corso del Quattrocento questo andò rapidamente risalendo, al punto che già ai primi del secolo successivo esso probabilmente superò il livello massimo precedentemente raggiunto. In età moderna l'espansione delle varie attività industriali proseguì lungo le medesime direttrici del Medioevo; tuttavia sono da segnalare quantomeno l'ulteriore sviluppo delle manifatture metallurgiche (alimentato dalla diffusione delle armi da fuoco e della tecnica di produzione mediante altoforno), quello - ad esso legato - dell'estrazione carbonifera (necessaria a consentire la produzione del ferro, stante la crescente scarsità di legname e l'impiego di quest'ultimo anche in ambiti diversi da quello industriale) e quello dell'industria tipografica (scaturito dall'invenzione, avvenuta alla fine del Medioevo, della stampa a caratteri mobili).
4. L'organizzazione della produzione prima della rivoluzione industriale.
In quei secoli l'organizzazione della produzione risultava assai diversa da quella odierna. Scrive Carlo M. Cipolla (1997) che solo in rari casi si costituivano unità produttive di rilevanti dimensioni e che ciò avveniva soprattutto nei settori cantieristico e minerario (nei quali era la natura stessa dell'attività svolta a favorire la concentrazione di lavoro e di capitali). La massima parte delle attività manifatturiere si svolgeva invece in piccole botteghe, facenti capo ad artigiani coadiuvati da pochi sottoposti (fra i quali a volte, ma non sempre, v'erano dei lavoratori salariati). Gli artigiani lavoravano solitamente su commesse, provenienti da mercanti che sovente fornivano loro anche le materie prime da trasformare e che curavano poi la commercializzazione dei prodotti finiti. Forte era la tendenza associativa: per difendere i propri interessi sia i mercanti che le diverse categorie di artigiani si riunivano in corporazioni, fra i cui compiti principali v'erano il controllo della qualità della produzione e quello sulla formazione dei nuovi addetti (funzionale a limitare la concorrenza fra gli operatori). Un'altra caratteristica di quell'epoca era la forte dispersione geografica della produzione: difatti, benché esistessero alcuni centri specializzati nella realizzazione di manufatti che altrove non venivano prodotti, per la maggior parte dei prodotti di consumo corrente si può dire che in ogni città vi fossero artigiani dediti alla loro produzione. D'altronde - come spiega Paolo Malanima (2003) - sino a un'epoca relativamente recente i trasporti via terra si sono mantenuti costosi e difficilmente praticabili, perché richiedevano lo sfruttamento di fonti di energia umana e animale e si svolgevano lungo infrastrutture che dovevano essere faticosamente create e mantenute: in queste condizioni, il costo dei beni importati subiva una lievitazione tale da renderli il più delle volte meno convenienti di quelli prodotti localmente.
5. Il coinvolgimento delle popolazioni rurali nelle attività manifatturiere.
Sin qui si è parlato delle attività industriali come d'un fenomeno strettamente legato alla realtà urbana. In realtà anche nelle campagne la produzione di manufatti andò progressivamente crescendo: scrive Cipolla che il fenomeno della dispersione geografica della produzione era tale che non soltanto ogni città, ma finanche ciascuna comunità rurale vedeva al suo interno lo svolgimento delle principali lavorazioni manifatturiere. Tuttavia per lungo tempo questa produzione rurale di manufatti non valse che a soddisfare i bisogni dei produttori medesimi o al più ad alimentare il commercio locale. Soltanto nei secoli XVII e XVIII questa situazione conobbe un radicale mutamento (peraltro non ovunque: il cambiamento interessò soprattutto alcune regioni dell'Europa settentrionale). Malanima difatti rileva che in quei due secoli andò diffondendosi una nuova modalità di produzione tessile, nella quale buona parte del processo lavorativo era svolto da lavoranti a domicilio risiedenti in zone rurali, mentre alle città rimanevano le fasi di rifinitura e di commercializzazione dei prodotti finiti. In questo modo agli imprenditori fu possibile abbassare i costi di produzione e rivolgersi così a una platea di potenziali consumatori più ampia, in quanto gli abitanti delle campagne, essendo occupati anche in ambito agricolo, non dipendevano unicamente dal reddito che ricavavano dal lavoro manifatturiero per la propria sopravvivenza ed erano dunque disposti ad accettare salari molto bassi. A consentire questa integrazione fra attività contadina e attività manifatturiera era il fatto che la mole di lavoro ricadente sui coltivatori subiva considerevoli variazioni nel corso dell'anno, riducendosi molto in alcuni periodi, nei quali risultava pertanto possibile impegnarsi in attività di diversa natura.
6. Le gerarchie interne al continente europeo.
Fra le diverse parti d'Europa sono sempre sussistite forti differenze sotto il profilo del grado di sviluppo manifatturiero; queste tuttavia non si sono mantenute immutate nel corso dei secoli, sicché i rapporti di forza tra le varie regioni hanno subito di epoca in epoca dei mutamenti. Secondo Malanima (2002), intorno al X secolo soltanto nelle Fiandre esistevano industrie i cui manufatti venivano commercializzati, oltre che in ambito locale, anche su mercati assai distanti dai luoghi di produzione. Nel corso del XII secolo s'ebbe poi l'ascesa dei produttori dell'Italia settentrionale (dalle Alpi alla Toscana inclusa). Come abbiamo osservato nell'articolo dedicato al commercio internazionale, dopo il Mille il Nord Italia aveva potuto sfruttare la propria favorevole collocazione geografica per diventare il principale gestore dei traffici tra l'Europa continentale e settentrionale e il mondo mediterraneo. Fu questa fiorente attività mercantile a consentire lo sviluppo delle manifatture, giacché la presenza sulle principali piazze commerciali di tali aree pose gli operatori nostrani in contatto sia con le località dove potevano procurarsi le materie prime necessarie per avviare produzioni di larga scala, sia con i mercati suscettibili di assorbire queste ultime, sia infine con le aree di produzione industriale già esistenti, dove potevano apprendere le più avanzate tecniche in uso nei vari comparti. Grazie all'espansione realizzata in questa fase, l'Italia settentrionale pervenne ad una posizione di supremazia in ambito continentale che poi riuscì a mantenere per alcuni secoli. Nel Seicento, tuttavia, l'affermazione di nuovi produttori stranieri (soprattutto inglesi e olandesi) determinò la crisi di un settore fondamentale quale quello laniero, facendo perdere alla regione il proprio primato. L'espansione dell'industria tessile in Inghilterra e nei Paesi Bassi in parte scaturì dallo sviluppo delle attività mercantili di cui tali paesi beneficiarono, che favorì la penetrazione dei loro manufatti nei mercati stranieri, ma in parte notevole dipese anche dalla capacità dei loro imprenditori di sviluppare produzioni superiori a quelle italiane per qualità - grazie all'introduzione di innovazioni tecniche nei processi produttivi - e al tempo stesso commercializzabili a prezzi inferiori, perché realizzate facendo largo ricorso a manodopera rurale. I produttori italiani non furono in grado di sostenere la concorrenza di tali imprenditori imitandone le strategie: in particolare, per essi risultò molto più raramente realizzabile la localizzazione delle attività manifatturiere nelle campagne. Ciò si spiega col fatto che nell'Italia settentrionale la varietà delle condizioni fisiche e delle vocazioni produttive connotanti i suoli coltivati aveva reso dominanti forme di agricoltura ad elevata intensità di lavoro: difatti l'abbondanza di suoli non pianeggianti (di difficile e faticosa coltivazione) e la diffusione di attività richiedenti un impegno notevole e prolungato nel corso dell'anno (quali la gelsicoltura) aveva imposto di perseguire la massimizzazione dell'apporto di lavoro alla terra. L'esistenza d'una simile organizzazione produttiva aveva però l'effetto di ridurre di molto i periodi di inattività solitamente connotanti il lavoro contadino, limitando le possibilità dei coltivatori di affiancare al lavoro nei campi quello artigiano e dunque quelle degli imprenditori manifatturieri di reperire manodopera nelle aree rurali. I nuovi equilibri così stabilitisi si perpetuarono senza sostanziali modificazioni nei secoli XVIII e XIX, permanendo dunque anche nell'età della rivoluzione industriale: vedremo difatti nel prossimo articolo come questa si sia verificata precocemente ed abbia assunto maggiore intensità proprio nei paesi che già nella fase precedente avevano beneficiato d'uno sviluppo manifatturiero più accentuato, sortendo così l'effetto di accrescere ulteriormente il divario stabilitosi fra questi e quelli rimasti indietro.
7. Riferimenti e approfondimenti bibliografici.
Le società preindustriali. Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca.
Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.