I fattori dello sviluppo economico: il commercio (parte seconda: il commercio interno e il rapporto fra questo e il commercio internazionale)

percorsi1. Il peso crescente assunto nel corso dei secoli dal commercio interno.

2. Le ragioni del sorpasso degli Stati Uniti sull'Inghilterra.

3. L'ascesa del Giappone e della Germania.

4. Lo sviluppo della Cina: il ruolo del commercio di esportazione.

5. Lo sviluppo della Cina: la formazione del mercato interno.

6. Conseguenze dello sviluppo cinese per l'area mediterranea.

7. Approfondimenti nelle collezioni e nelle banche dati della Biblioteca.



1. Il peso crescente assunto nel corso dei secoli dal commercio interno.

Accanto ai traffici con l'estero, di cui abbiamo trattato nel precedente articolo di questa rubrica, ai fini dell'espansione economica delle nazioni appare avere avuto grande importanza il commercio interno. Una testimonianza in tal senso ci è fornita da Jha e Arrighi, i quali nei propri studi (rispettivamente del 2007 e del 2008) rilevano come, a partire dall'età moderna, ad occupare una posizione dominante sulla scena economica occidentale siano stati paesi dalle dimensioni sempre maggiori: prima i Paesi Bassi, quindi l'Inghilterra e infine gli Stati Uniti d'America. Tale fenomeno è da essi ricondotto al fatto che uno stato dall'estensione territoriale maggiore di quella dei suoi competitori era avvantaggiato rispetto ai medesimi sotto il profilo sia della capacità di assumere impegni militari (e quindi di difendere ed estendere con la forza la propria sfera d'influenza economica), sia della disponibilità di manodopera, sia appunto delle dimensioni del mercato interno. In particolare, dalle loro analisi emerge come l'importanza del commercio interno abbia finito per superare quella del commercio con l'estero: in merito, è indicativo il fatto che lo sviluppo mercantile che condusse gli Stati Uniti a sostituirsi all'Inghilterra al vertice dell'economia occidentale sia dipeso in misura limitatissima dall'inserimento di tale paese nei circuiti internazionali di scambio.

2. Le ragioni del sorpasso degli Stati Uniti sull'Inghilterra.

Per quali ragioni il modello di sviluppo rivolto verso l'interno proprio degli Stati Uniti risultò vincente rispetto a quello fortemente estroverso su cui aveva fondato la propria crescita l'Inghilterra? Sostiene Arrighi che l'impero mondiale britannico soffriva, rispetto al territorio statunitense, della dispersione territoriale su scala globale e della scarsa integrazione reciproca caratterizzanti le diverse entità che lo costituivano: fattori che, oltre ad essere in se stessi penalizzanti sul piano economico, comportavano anche la necessità di sostenere ingenti spese militari per la protezione della rete di rapporti commerciali sussistenti tra la madrepatria e le colonie. Diversa, ma sovrapponibile a questa, è l'analisi di Jha, per il quale l'economia inglese, proprio in ragione dell'importanza che aveva per essa la partecipazione al commercio internazionale, presentava il difetto di essere vulnerabile ad eventi che si verificavano in altri paesi e che risultavano pertanto non controllabili da parte dello stato e delle imprese di tale nazione. Tale condizione costringeva queste ultime a mantenere una forte e rapida capacità di reazione ai cambiamenti sfavorevoli e dunque una struttura snella e flessibile: un vincolo che riduceva le possibilità di integrazione fra i diversi settori e all'interno di ciascuno di essi, limitando la crescita complessiva dell'economia e in particolare la capacità espansiva del settore manifatturiero (che più degli altri sarebbe stato suscettibile di trarre vantaggio da una simile integrazione). Questo carattere divenne particolarmente penalizzante nel XIX secolo, quando la rivoluzione industriale determinò una forte crescita della scala di produzione in ambito manifatturiero, accrescendo l'incidenza di tale comparto sulle condizioni complessive dell'economia e imponendo ai produttori che in esso operavano di ampliare notevolmente la propria platea di potenziali consumatori, pena l'insorgere di crisi di sovrapproduzione. Per un paese come l'Inghilterra, che non poteva contare su un mercato interno particolarmente ampio, la ricerca di nuovi sbocchi commerciali si tradusse necessariamente nell'ulteriore infittirsi dei propri rapporti con altri paesi e dunque in un accrescimento della vulnerabilità della sua economia a fattori esterni; condizionando le strategie delle imprese, questo elemento pose nel lungo termine un freno all'espansione dell'economia stessa. Un simile fattore negativo non operò invece negli Stati Uniti, la cui espansione mercantile fu rivolta sin dal principio verso l'interno e le cui imprese poterono pertanto pervenire precocemente a un elevato grado di integrazione verticale. In virtù di tale vantaggio, questo paese a partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento (da quando, cioè, un massiccio flusso migratorio avviò a risoluzione il problema della scarsità di manodopera di cui soffriva) poté svilupparsi più rapidamente di quanto riuscisse a fare l'Inghilterra, riuscendo così a sopravanzarla. All'indomani del primo conflitto mondiale tale sorpasso risultava ormai avvenuto.

3. L'ascesa del Giappone e della Germania.

Nei decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale altri due paesi hanno beneficiato d'uno sviluppo economico particolarmente forte: il Giappone e la Germania. Alla crescita di tali paesi, soprattutto inizialmente, ha dato un contributo notevole l'inserimento nel commercio internazionale: essi difatti - rileva Arrighi - negli anni cinquanta e sessanta sono divenuti grandi esportatori di prodotti industriali verso tutti i principali mercati mondiali (incluso quello statunitense), conservando poi tale ruolo sino ai nostri giorni. Altre analisi relative a tali nazioni inducono tuttavia a ritenere che nel lungo termine anche per esse lo sviluppo del mercato interno abbia assunto fondamentale importanza ai fini della crescita economica. Halberstam (1989), ad esempio, nel suo studio dedicato all'ascesa dell'industria automobilistica nipponica, ha posto in evidenza come già all'indomani della seconda guerra mondiale il Giappone contasse cento milioni di abitanti e come nel volgere di dieci-quindici anni a partire dai primi anni cinquanta questa popolazione abbia conosciuto un notevole miglioramento delle proprie capacità di consumo. Lo stesso Arrighi ha poi constatato come dalla fine degli anni sessanta in avanti il contributo dato dalle esportazioni alle economie tedesca e giapponese sia andato declinando, contribuendo così a conferire una maggiore importanza relativa allo sviluppo dei consumi interni. Ciò è avvenuto per effetto della reazione statunitense all'espansione di tali esportazioni, la quale si è manifestata nella forma sia di ripetute svalutazioni del dollaro nei confronti del marco e dello yen (funzionali a rendere maggiormente competitive le produzioni americane sul mercato interno e su quelli esteri), sia di pressioni esercitate nei confronti dei propri partners commerciali - soprattutto di quelli asiatici - perché autoriducessero le proprie esportazioni verso il mercato americano. Anche per tali paesi, com'era stato per l'Inghilterra un secolo prima, l'efficacia del commercio con l'estero quale motore della crescita ha dunque scontato la vulnerabilità dello stesso a fattori esterni e dunque incontrollabili da parte delle nazioni che di esso beneficiavano.

4. Lo sviluppo della Cina: il ruolo del commercio di esportazione.

Nell'ultimo trentennio è stata poi la Cina, in seguito alla realizzazione di riforme volte all'introduzione al suo interno di elementi propri dell'economia capitalistica, a intraprendere un percorso di sviluppo che ha destato notevole impressione tanto per la sua portata quanto per la sua rapidità: stando ai dati riportati dall'edizione 2011 dello Statesman's yearbook, nel 2008 il prodotto interno lordo cinese risultava inferiore soltanto a quelli statunitense e giapponese (ma all'inizio di quest'anno la stampa ha reso noto che nel 2010 esso è risultato superiore anche a quello del Giappone). Anche nel caso dell'espansione economica cinese grande rilevanza ha assunto lo sviluppo delle esportazioni: addirittura, in questo paese sono stati costituiti dal governo dei grandi distretti caratterizzati da una legislazione economica speciale, finalizzata all'attrazione di investimenti stranieri e alla costituzione per mezzo di essi di industrie capaci di affermarsi sui mercati esteri. L'inserimento della Cina nel mercato mondiale così ottenuto è stato tuttavia giudicato da alcuni studiosi precario e foriero di benefici meno consistenti di quanto potrebbe apparire a prima vista. Secondo Hutton (2007), ad esempio, le esportazioni cinesi sono state grandemente agevolate dal cambio favorevole allo yuan e potrebbero subire un vero e proprio crollo qualora il governo di Pechino fosse costretto a rivalutare la propria moneta dalle forti pressioni che stanno esercitando in tal senso i paesi occidentali. A parere di Jha, inoltre, nelle zone economiche speciali istituite dal governo cinese, non dissimilmente da quanto accade in altre regioni asiatiche e dell'America Latina, il fatto che un numero limitato di grandi aziende si rivolga a un elevato numero di potenziali operai e subfornitori permette agli investitori stranieri di imporre ai lavoratori e ai piccoli imprenditori delle aree in cui sono insediati condizioni estremamente sfavorevoli, che fanno sì che alla popolazione locale pervenga solo una quota ridottissima del guadagno generato dalla vendita del prodotto da essi realizzato. A quest'ultima tesi, però, può essere opposta l'analisi di Arrighi, per il quale l'elevato ritmo della crescita economica e gli incentivi offerti dal governo agli abitanti delle aree rurali perché non le abbandonino per trasferirsi in quelle maggiormente interessate dallo sviluppo industriale hanno determinato in questi ultimi anni una carenza di manodopera che a sua volta ha instaurato una tendenza ascendente dei salari, facendo così aumentare la quota della ricchezza prodotta in queste aree che rimane in loco anziché pervenire nelle mani delle grandi aziende occidentali o dei paesi asiatici più sviluppati che vi hanno posto i loro impianti.

5. Lo sviluppo della Cina: la formazione del mercato interno.

Anche per la Cina, comunque, all'espansione del commercio di esportazione si sta accompagnando quella dei traffici interni. Dato l'enorme numero di potenziali consumatori di cui si compone il mercato locale (la popolazione cinese, sempre secondo lo Statesman's yearbook 2011, è stimata pari per il 2010 a 1,35 miliardi di abitanti), è evidente che questo secondo fenomeno potrebbe imprimere una spinta fortissima al decollo economico del paese, sino a consentirgli di sorpassare gli Stati Uniti e assumere in vece di questi il ruolo di economia-guida del mondo capitalista. Occorre chiedersi però, per poter valutare quanto sia concreta una simile prospettiva, se e in quale misura siano state poste condizioni favorevoli allo sviluppo dei consumi interni. Al riguardo la valutazione di Arrighi, come già accennato, è decisamente positiva: a parere di questo autore, sin dall'inizio dell'esperienza riformista il governo cinese si è impegnato al fine di promuovere la formazione d'un mercato autoctono per i beni prodotti localmente, tramite provvedimenti volti a migliorare la condizione economica dei coltivatori e a favorire nelle aree rurali la formazione di piccole imprese controllate dalle comunità. Di segno diverso è tuttavia l'analisi di Hutton, secondo il quale, se da una parte è vero che il reddito medio pro capite cinese ha conosciuto una crescita notevolissima a partire dagli anni ottanta (nei venticinque anni successivi al 1978 si è moltiplicato per sei), dall'altra è vero pure che la crescita dei consumi privati non ha potuto tenere il passo di quella del reddito, giacché le carenze che nella Cina odierna affliggono la sanità, il sistema pensionistico e l'assistenza sociale obbligano i suoi abitanti a mantenere un'elevata propensione al risparmio: un problema che il governo ha sinora mostrato di non voler affrontare e che pertanto rischia di permanere irrisolto ancora per lungo tempo.

6. Conseguenze dello sviluppo cinese per l'area mediterranea.

Un aspetto dello sviluppo cinese cui gli studiosi stanno dedicando crescente attenzione è costituito dai rapporti che stanno instaurandosi fra questo nuovo gigante dell'economia mondiale e le nazioni mediorientali e africane. In particolare, Valori (2010) rileva come negli ultimi anni la Cina sia stata indotta dal crescente fabbisogno di prodotti agricoli (nel 2003 questo paese è divenuto un importatore netto di tali prodotti), di materie prime industriali e di risorse energetiche a stipulare accordi economici con le nazioni citate e ad effettuarvi ingenti investimenti. Agendo in tal modo la Cina ha conseguito un duplice beneficio, giacché oltre ad assicurarsi le forniture di cui aveva bisogno è riuscita anche a garantirsi l'accesso ai mercati di tali paesi. Si sono così stabilite fra i paesi africani e mediorientali da una parte e la Cina dall'altra rilevanti correnti di traffico, interessanti sia materie prime che prodotti finiti. Valori nel proprio studio concentra la sua attenzione principalmente sulle regioni africane e asiatiche mediterranee, sostenendo che il loro coinvolgimento nello sviluppo economico cinese sta facendo sorgere anche per esse delle grandi opportunità di crescita. L'autore aggiunge poi che dall'espansione delle economie del Mediterraneo meridionale e orientale trarrebbe a sua volta beneficio l'Unione Europea, la quale potrebbe integrare la propria economia con quella di tale area, accrescendo sia le proprie esportazioni verso di essa, sia gli investimenti volti a spostare al suo interno le proprie filiere produttive mature. Il lungo ciclo espansivo che nel corso dei secoli ha spostato il baricentro dell'economia occidentale sempre più lontano dal bacino del Mediterraneo, nel quale esso aveva avuto inizio, è giunto così nella nostra epoca a stabilire le premesse per una ripresa su vasta scala dei traffici in tale area.

7. Approfondimenti nelle collezioni e nelle banche dati della Biblioteca.

Commercio interno. Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca.

Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.



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