Atto n. 4-05705

Pubblicato il 27 aprile 2016, nella seduta n. 615
Risposta pubblicata

AIELLO , DALLA TOR - Al Ministro della giustizia. -

Premesso che, secondo quanto risulta agli interroganti:

è giunto sino al Consiglio superiore della magistratura il caso del processo sull'inquinamento ambientale, svoltosi in Sicilia e finito in un nulla di fatto, perché, secondo il giudizio della quarta sezione penale del Tribunale di Palermo, la Procura avrebbe sbagliato imputati e capi di imputazione. Il consigliere laico di Forza Italia, Pierantonio Zanettin, ha chiesto l'apertura di una pratica nella prima commissione del Consiglio superiore della magistratura "per verificare se dal comportamento dei magistrati della Procura che hanno seguito il caso in esame sia derivato un appannamento dell'immagine e del prestigio della magistratura, sotto il profilo della imparzialità e terzietà";

a far esplodere il caso è stato sufficiente il deposito delle motivazioni della sentenza, con le quali il presidente della quarta sezione penale, Vittorio Alcamo, ha motivato l'assoluzione di tutti gli imputati, gli ex presidenti di Regione Cuffaro e Lombardo e gli ex assessori al territorio e ambiente Cascio, Interlandi, Sorbello e Di Mauro. "Tenuto conto della delicatezza della materia e della serietà delle possibili conseguenze a carico della salute collettiva, avrebbero meritato un ben più centrato procedimento a carico dei soggetti realmente responsabili", scrive Alcamo;

considerato che:

è stato celebrato a Palermo un processo nei confronti di numerosi esponenti politici, che in passato hanno ricoperto il ruolo di presidenti o assessori della Regione Siciliana, chiamati a rispondere di reati in materia ambientale;

per anni, in tutto il territorio siciliano, c'è stato un superamento sistematico dei limiti di inquinamento ambientale e per anni c'è stata un'evidente e macroscopica negligenza dell'apparato regionale e dell'Arpa, che hanno dato prova di palesi comportamenti dannosi verso tutti i cittadini. Rifiuto di atti d'ufficio era il reato che la Procura aveva contestato ai politici per "essersi indebitamente rifiutati di predisporre e far approvare" i piani per combattere l'inquinamento ambientale;

il processo si è concluso con una sentenza ampiamente assolutoria, già irrevocabile, nei confronti di tutti gli imputati, al termine di una vicenda processuale protrattasi per circa 3 anni (oltre alla fase delle indagini preliminari);

con riferimento alle scelte operate dall'ufficio della Procura della Repubblica, si legge nella sentenza n. 5464/2015, emessa dal Tribunale di Palermo, sezione IV penale, in composizione collegiale, quanto segue: "Il P.M., invero, ha ritenuto di esercitare l'azione penale nei confronti dei Presidenti della Regione e degli Assessori al Territorio ed Ambiente, in carica durante il periodo di tempo interessato dalle indagini (2004-2010), ed, al contempo, ha avanzato al G.i.p. in sede richiesta di archiviazione nei confronti di tutti i dirigenti, direttori e funzionari amministrativi indagati. Viceversa, sia la normativa applicabile che l'istruzione dibattimentale hanno univocamente indicato proprio questi ultimi come i soggetti competenti ad istruire e predisporre gli atti in ipotesi rifiutati";

inoltre, all'esito della corposa istruttoria dibattimentale, lo stesso pubblico ministero chiedeva l'assoluzione degli imputati Cuffaro e Lombardo, già presidenti della Regione, "poiché non gravava su di essi l'obbligo di garanzia previsto dalla legge" che, oltre tutto, era già in vigore al momento in cui la Procura ritenne di esercitare l'azione penale;

sul punto, osserva il Tribunale: "Ovviamente il fatto che la legge non imponesse a carico del Presidente della Regione alcun obbligo di garanzia in relazione all'adozione degli atti in oggetto non avrebbe dovuto essere una valutazione effettuata in conclusione del lungo iter processuale ma una considerazione da operarsi al termine delle indagini". Anche sulle posizioni processuali degli assessori al territorio e all'ambiente, il Tribunale svolge analoghe considerazioni in ordine "all'erroneo esercizio dell'azione penale", che ha determinato gravi conseguenze sul piano processuale, oltre ad aver costretto dei soggetti ad affrontare un lungo processo con tutto ciò che ne consegue;

gli assessori, infatti, ha stabilito il Tribunale di Palermo, non potevano in alcun modo rispondere di condotte omissive che, al contrario, sarebbero ascrivibili ai dirigenti amministrativi;

i pubblici ministeri avevano invece chiesto l'archiviazione per i dirigenti e i funzionari amministrativi. Ma, sottolineano i giudici, erano proprio loro i soggetti competenti ad istruire e predisporre i piani, mentre ai presidenti della Regione e agli assessori la legge assegna il compito di "esercitare le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e definire gli obiettivi ed i programmi da attuare";

nel corso del processo, i giudici si sono ben presto resi conto di ritrovarsi davanti come testimoni quelli che avrebbero dovuto essere gli imputati (cioè i dirigenti e i tecnici) e come imputati i politici che avrebbero dovuto essere testimoni. O ai quali, in alternativa, avrebbe dovuto essere contestata un'altra condotta: "L'unico potere-dovere previsto in capo agli assessori ed al Presidente della Regione, scrivono i giudici, è quello, residuale ed eccezionale, di fissazione di un termine perentorio nell'eventualità di gravi inerzie da parte dei dirigenti ed, in caso di ulteriori inerzie, di nomina di un commissario ad acta". Contestazione che la Procura ha provato a rivolgere loro, ormai in prossimità della sentenza, quando, contestualmente, il giudice per le indagini preliminari ha rigettato la richiesta di archiviazione nei confronti dei dirigenti, sollecitata dalla Procura. Ora, il rinvio degli atti ai pubblici ministeri è sostanzialmente vano, perché i fatti contestati sono già andati in prescrizione,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno avviare, nei limiti delle proprie competenze, tutte le attività ispettive necessarie a valutare i costi sostenuti per le consulenze richieste dalla Procura della Repubblica, ivi comprese eventuali spese di trasferta;

se non ritenga necessario procedere, nei limiti delle competenze attribuitegli dalla legge, all'avvio di un'azione disciplinare nei confronti dei magistrati che hanno coordinato le indagini e deciso di esercitare, in modo a parere degli interroganti palesemente distorto, l'azione penale nei termini precedentemente descritti.