(Riformulazione del n. 1-00496)
Pubblicato il 30 marzo 2016, nella seduta n. 599
DE PETRIS , CERVELLINI , BAROZZINO , DE CRISTOFARO , PETRAGLIA , URAS , BOCCHINO , CAMPANELLA , VACCIANO
Il Senato,
premesso che:
all'interno del Documento di economia e finanza (DEF) 2014, il Governo aveva manifestato l'intenzione di attuare un piano di privatizzazioni attraverso la dismissione di partecipazioni in società controllate anche indirettamente dallo Stato; il programma nazionale di riforma, riporta infatti società a partecipazione diretta quali ENI, STMicroelectronics, ENAV, e società in cui lo Stato detiene partecipazioni indirettamente tramite Cassa depositi e prestiti, quali SACE, Fincantieri, CDP Reti, TAG (Trans Austria Gastleitung Gmbh) e, tramite Ferrovie dello Stato, in Grandi stazioni-Cento stazioni;
il Governo ha inteso dare avvio al processo di privatizzazione della società Ferrovie dello Stato italiane SpA, il principale gruppo operante nel settore del trasporto ferroviario nel nostro Paese con la preliminare deliberazione adottata nella riunione del 23 novembre 2015, che ha determinato la presentazione in Parlamento dello schema di decreto n. 251 per l'acquisizione del parere;
in un primo momento, numerosi esponenti del Governo si erano lanciati in entusiastiche e frettolose affermazioni circa la bontà del progetto di privatizzazione della società. Si ricordano in tal senso gli annunci del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti circa la volontà del Governo di avviare la procedura di privatizzazione con un tetto del 40 per cento, o le affermazioni del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, che ha sostenuto come il modello di valorizzazione e quotazione della holding sia quello maggiormente efficiente;
numerose iniziative parlamentari hanno, tuttavia, frenato la corsa del Governo a dare avvio a tale processo, che necessita, come è ovvio, di essere ponderato attentamente in tutti i suoi aspetti, data la centralità del gruppo nel nostro Paese e le numerose ricadute sul piano economico e sociale;
l'evoluzione della società Ferrovie dello Stato l'ha vista passare da azienda autonoma sotto il controllo del Ministero dei trasporti ad ente pubblico, nel 1986, fino a giungere nel 1992 alla conformazione di società per azioni a totale partecipazione statale, per il tramite del Ministero dell'economia e delle finanze. Nel 1999 la società è stata divisa in Trenitalia, che si occupa del trasporto passeggeri e merci, e Rete ferroviaria Italiana, che gestisce invece le infrastrutture, entrambe rimanendo a totale partecipazione di Ferrovie dello Stato;
la società Ferrovie dello Stato SpA ha un fatturato di 8,4 miliardi di euro e nella prima metà del 2015 la crescita del fatturato del gruppo rispetto all'anno 2014 è stata di oltre il 2 per cento; gli investimenti sono in aumento, e si prevede di arrivare dai 4,3 miliardi di euro del 2014 ai 6,5 miliardi nel 2016;
il gruppo conta circa 70.000 dipendenti, di cui circa 5.000 in Germania (Netinera). La linea ferroviaria è lunga 16.726 chilometri, di cui circa 1.000 ad alta velocità. Il sistema alta velocità-alta capacità parte da Torino e arriva fino a Salerno (Torino-Milano-Bologna-Roma-Napoli-Salerno). Ulteriori tratti sono tra Milano e Treviglio e tra Padova e Mestre. Attualmente, si sta completando il tratto Milano-Verona-Venezia per disegnare la cosiddetta «T». La frequenza è di 8.000 treni al giorno di cui circa 7.000 regionali e 1.000 tra alta velocità, media e lunga percorrenza e treni merci;
dati Mediobanca del 2015 individuano il gruppo Ferrovie dello Stato italiane come la seconda azienda italiana per investimenti, la quinta per dipendenti, la decima per redditività e la tredicesima per fatturato; infine, Ferrovie dello Stato italiane quest'anno ha conquistato il primo posto nella classifica delle aziende dove i giovani neolaureati desiderano lavorare ed è risultata prima nel ranking "Best employer of choice 2015";
è da segnalare come i processi di privatizzazione non possano essere aprioristicamente percepiti quale garanzia di successo economico e maggiore competitività, ma risultino spesso terreni fertili per operazioni poco trasparenti, rischiando di ledere i diritti della collettività in settori molto delicati; in Italia le privatizzazioni sono state sempre caratterizzate da un percorso particolarmente complesso, pieno di fallimenti e di incognite in cui spesso si sono intrecciate operazioni finanziarie poco trasparenti, per cui lo Stato quasi mai ne ha tratto vantaggio né dal punto di vista economico, né tanto meno sotto il profilo della competitività;
nel caso di Ferrovie dello Stato, un settore strategico per tutti i cittadini, la logica della privatizzazione colpirebbe tra l'altro una società con un enorme potenziale industriale, che andrebbe garantito, invece, anche attraverso processi di riconversione ecologica e tecnologica;
nell'ambito di un processo di privatizzazione di Ferrovie dello Stato, le entrate al bilancio dello Stato derivanti dai dividendi della società sarebbero notevolmente ridotte;
dato il carattere strategico del servizio offerto, è evidente come il controllo parlamentare sulle decisioni che coinvolgono Ferrovie dello Stato debba essere esercitato in tutto il suo potenziale, al fine di tutelare il diritto alla mobilità di tutti i cittadini e il consistente valore patrimoniale della società;
risultano poco chiare le motivazioni alla base della scelta di procedere alla privatizzazione di una società solida e in crescita come Ferrovie dello Stato, un processo che comporta l'alienazione di un immenso patrimonio in un settore tanto delicato per i cittadini, per garantire un'entrata nel Fondo di ammortamento del debito pubblico valutata tra i 5 e i 10 miliardi di euro: risorse ben poco significative rispetto agli attuali 2.000 miliardi di debito pubblico, soprattutto se si considerano i rischi per profitti, livelli occupazionali e competenze professionali;
un'affrettata privatizzazione presenta gravi rischi soprattutto sotto il profilo della salvaguardia del mantenimento dei diritti e delle tutele per le lavoratrici ed i lavoratori operanti nel comparto ferroviario che rappresenta il requisito fondamentale per la sicurezza e il buon funzionamento del sistema ferroviario e per servizi di alta qualità nei confronti delle persone. Senza contare che, con l'estensione della concorrenza nel trasporto ferroviario di passeggeri nazionale, il processo di privatizzazione e la possibile pressione finalizzata al taglio dei costi, l'attuale situazione di crisi economica in cui versa il Paese potrebbe ulteriormente aggravarsi con inevitabili conseguenze sul piano della riduzione del numero dei dipendenti, il maggior ricorso all'outsourcing e al subappalto dei servizi, l'aumento dei contratti atipici, l'incremento dell'utilizzo dei lavoratori in somministrazione, l'intensificazione dei carichi e della pressione sul lavoro, l'aumento degli orari di lavoro flessibili, del frazionamento dei turni di lavoro e del ricorso al lavoro straordinario;
la progressiva deresponsabilizzazione pubblica nei confronti del trasporto ferroviario rischia di comportare una lesione al diritto alla mobilità dei cittadini, attraverso aumenti dei prezzi e la riduzione delle corse su linee considerate non redditizie, colpendo in particolare i lavoratori pendolari: è necessario invece che il trasporto pubblico garantisca collegamenti tra tutte le aree del Paese, anche per ciò che concerne le cosiddette zone periferiche;
lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (n. 251), all'esame dell'8ª Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni) del Senato per l'emissione del parere parlamentare, recante definizione dei criteri di privatizzazione e delle modalità di dismissione della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia nel capitale di Ferrovie dello Stato italiane SpA, non contiene nulla sulle garanzie ai lavoratori, alla sicurezza dei viaggiatori e al mantenimento e sviluppo della qualità del servizio, in particolare del servizio pubblico relativo al pendolarismo e al trasporto merci. Inoltre risulta particolarmente oscura l'affermazione del Governo secondo cui è sua intenzione procedere all'apertura ad altri soci del capitale di FS SpA, "anche mediante nuove disposizioni finalizzate alla piena valorizzazione della società e del Gruppo";
l'opzione di privatizzare l'intero gruppo, con la possibilità che dei privati possano quindi controllare anche le società che detengono la rete e l'infrastruttura che offre il servizio pubblico a carattere universale come Rete Ferroviaria Italiana (RFI), rischia inoltre di creare un pericoloso e dannoso precedente;
è necessario che l'intero progetto di privatizzazione sia valutato dal Parlamento in modo puntuale e dettagliato nei suoi aspetti e risvolti economici, industriali, occupazionali e sociali. Il Governo, invece di un vago schema di decreto, dovrebbe essere in grado di produrre una relazione che valuti gli effetti finanziari e industriali della alienazione di FS sul bilancio dello Stato, e i minori dividendi conseguentemente versati;
al contrario, lo schema di decreto non reca nel dettaglio una disciplina di alienazione esaustiva, sia nella fase di mantenimento di una quota di controllo pubblico nel capitale, sia in merito alle eventuali determinazioni relative all'offerta pubblica di vendita;
le affermazioni del ministro Padoan circa il potenziale interesse di investitori istituzionali, anche internazionali, non vengono accompagnate da dati e informazioni chiare in merito. L'amministratore delegato del gruppo ha di contro annunciato nei primi giorni di febbraio che la quotazione in Borsa di FS verrà rimandata almeno al 2017, necessitando di tempi lunghi e di certezza in merito ad alcuni nodi irrisolti: un piano industriale che risolva le due principali criticità della gestione, il trasporto merci e il trasporto regionale; una condizione "difficile" dei mercati azionari; un quadro regolatorio ancora incompiuto;
lo stesso ministro Delrio in un'intervista al quotidiano "la Repubblica" del 19 marzo 2016 ha confermato che la privatizzazione di FS, entro la fine del 2016, appare piuttosto complicata;
in merito ai citati atti parlamentari intervenuti nel corso degli ultimi mesi sulla questione della privatizzazione di FS, si segnala come alla Camera dei deputati, il 3 dicembre 2015, sia stata approvata la mozione 1-01068, che impegnava il Governo "ad astenersi nell'immediato dal procedere alla messa sul mercato di quote pubbliche afferenti al gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., quantomeno fino a quando il Governo non avrà illustrato alle Camere in modo puntuale tutti gli aspetti e i risvolti economici, industriali, occupazionali e sociali conseguenti all'annunciato piano di privatizzazione del gruppo";
inoltre, nei due rami del Parlamento sono stati approvati pareri al suddetto schema di decreto del Governo n. 251. La 8ª Commissione permanente del Senato ha richiesto, tra le altre cose, che venga data piena e puntuale applicazione a quanto previsto dalle mozioni approvate alla Camera dei deputati, nel senso che il Governo, prima di procedere all'effettivo collocamento sul mercato delle quote azionarie di Ferrovie dello Stato italiane SpA, informi tempestivamente il Parlamento circa alcune questioni: le modalità che saranno adottate in via definitiva per la privatizzazione, con particolare riguardo alle soluzioni tecniche prescelte per il mantenimento della proprietà pubblica dell'infrastruttura ferroviaria e, conseguentemente, per l'assetto societario del gestore dell'infrastruttura stessa; il nuovo piano industriale, preventivamente approvato da Ferrovie dello Stato italiane SpA; eventuali provvedimenti legislativi o regolatori che possano incidere sui settori di attività e sull'operatività del gruppo, in particolare nel trasporto regionale e locale e nel trasporto merci; sui conseguenti effetti economici, industriali, occupazionali e sociali attesi dalla privatizzazione;
infine, si segnala come il comma 677 della legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 2015) abbia previsto che: "Qualora entro il 31 dicembre 2016 si proceda all'alienazione di quote o a un aumento di capitale riservato al mercato del gruppo Ferrovie dello Stato italiane Spa, il Ministero dell'economia e delle finanze presenta alle Camere una relazione che evidenzia in modo puntuale l'impatto economico, industriale e occupazionale derivante dalla privatizzazione nella quale sono indicati in particolare i dati finanziari e industriali degli effetti dell'alienazione o dell'eventuale aumento di capitale sulle società interessate e sul bilancio dello Stato, la minore spesa per interessi derivante dall'utilizzo delle risorse incassate dall'alienazione per la riduzione del debito pubblico, i minori dividendi versati al bilancio dello Stato in conseguenza dell'alienazione e gli effetti dell'alienazione o dell'aumento di capitale riservato al mercato sul piano industriale del gruppo";
ad oggi, tuttavia, il Governo non ha ancora inviato alle Camere nulla che approfondisca realmente la questione della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato o i possibili benefici che ne trarrebbe la collettività;
di contro lo schema di decreto n. 251, unico elemento sottoposto sinora all'attenzione del Parlamento, oltre a essere estremamente vago su tempi e modalità del processo di alienazione d FS, mostra come la volontà del Governo non sia quella di potenziare i servizi e la rete nell'interesse generale del Paese, ma, piuttosto, di fare cassa ed abbattere il debito pubblico, come chiarito anche nella memoria dell'audizione del ministro Padoan del 12 gennaio 2016, in cui si legge che " Gli introiti derivanti dalla quotazione di Ferrovie dello Stato Italiane saranno destinati per legge esclusivamente al fondo ammortamento dei titoli di Stato e utilizzati, attraverso il riacquisto o il rimborso a scadenza di detti titoli, per la riduzione del debito pubblico ai sensi della normativa vigente"; senza nemmeno avere dati circa la reale entità degli introiti derivanti dalla privatizzazione in oggetto, come confermato dal ministro delle finanze Padoan nel corso dell'audizione presso la IX Commissione permanente (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati,
impegna il Governo:
1) a non adottare in via definitiva lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 251 recante definizione dei criteri di privatizzazione e delle modalità di dismissione della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia nel capitale di Ferrovie dello Stato italiane SpA e a rinviare l'avvio di un possibile processo di privatizzazione, al fine di promuovere un serio dibattito politico e parlamentare basato su dati certi, provenienti da stime e simulazioni fondate su un approfondito esame delle conseguenze e degli eventuali esiti della privatizzazione stessa, relativi, in particolare, alla garanzia dei livelli occupazionali e contrattuali, del mantenimento e dello sviluppo della qualità dell'offerta di servizio pubblico locale e regionale, nel quadro del potenziamento della sicurezza degli utenti e dei lavoratori, della rivitalizzazione e dell'efficientamento del trasporto merci, in un'ottica di riconversione ecologica e civile che diminuisca progressivamente il trasporto su gomma, della promozione di investimenti mirati a colmare il gap infrastrutturale ferroviario che divide il Mezzogiorno dal resto del Paese, con particolare riferimento all'alta velocità, al raddoppio delle linee e all'ammodernamento del materiale rotabile, nonché relativi agli effetti della alienazione sul bilancio dello Stato e ai minori dividendi versati al bilancio dello Stato in conseguenza dell'alienazione stessa;
2) a considerare la reale opportunità di procedere alla privatizzazione di un settore tanto delicato sul piano sociale, quanto centrale su quello economico;
3) come richiesto anche dalle osservazioni al parere della 6a Commissione permanente (Finanze e tesoro) del Senato del 13 gennaio 2016 sull'atto del Governo n. 251, a non escludere a priori la destinazione, per quote e verificato il volume complessivo degli introiti, anche a misure dirette agli investimenti infrastrutturali sulla rete ferroviaria, riqualificando le reti di trasporto regionale.