Pubblicato il 21 aprile 2015, nella seduta n. 433
CERVELLINI , DE PETRIS , PETRAGLIA - Ai Ministri della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali. -
Premesso che:
la signora F.M. nasce a Napoli il 29 gennaio 1992 da genitori entrambi docenti di professione, seguendo nel corso della vita la famiglia nei vari spostamenti per lavoro, fino ad arrivare nel viterbese;
fin da piccola F.M. è seguita da una neuro-psicomotricista e dall'età di 4 anni viene visitata e monitorata da un neuropsichiatra e da altri specialisti, in diversi presidi: la valutazione psicometrica presso l'unità operativa di Cesena esprime una diagnosi di ritardo motorio e ritardo specifico di linguaggio con sviluppo cognitivo non verbale pressoché a norma e buone capacità relazionali;
dopo una felice vita di coppia a Vetralla (Viterbo), tra il 1997 ed il 1998 avviene la separazione tra i due genitori e, come sovente accade, i dissapori tra i due ex conviventi si ripercuotono sulla figlia;
il giudice minorile, dopo un lungo iter dibattimentale, affida in via provvisoria e urgente la minore F.M. alla madre L.T. per poi emettere in data 22 aprile 2002 il decreto definitivo, che conferma le modalità della regolamentazione dell'affidamento come ordinato nel decreto provvisorio;
F. è vissuta fin dalla nascita sempre in casa con la madre e, fino al 1998, anche con il padre, che vede regolarmente, anche se questi tuttavia desidererebbe avere con sé la figlia, non condividendo la decisione del giudice;
con decreto del 3 ottobre 2003 la Corte d'appello di Roma si pronuncia avverso il reclamo proposto dal padre confermando l'affidamento della minore alla madre e la già prevista regolamentazione delle facoltà paterne;
il decreto della Corte d'appello di Roma del 3 ottobre 2003 così recita: "l'espletata Consulenza tecnica d'ufficio, particolarmente approfondita e condotta con estremo rigore scientifico, offre un quadro del tutto tranquillizzante delle attuali condizioni di vita della piccola F., che risulta seguita con amore e con affetto dalla madre, che si è impegnata a stimolare la figlia, afflitta da una insufficienza mentale di grado medio, nel suo percorso di crescita, assicurandole tutte le cure di cui necessita ed un corretto percorso formativo", attraverso "terapie qualificate a lei somministrate e per le sollecite e competenti cure materne, con conseguenti importanti progressi evidenti nelle capacità raggiunte, non prevedibili rispetto alle condizioni di deficit di partenza";
con sentenza n. 1173 del 2007 la Corte d'appello di Roma determina la misura del contributo economico paterno al mantenimento della minore F.M., ma notevoli restano le divergenze tra padre e madre sui percorsi formativi e riabilitativi della ragazza, alle quali conseguono varie vicende giudiziarie: il 13 luglio 2010 il giudice tutelare, magistrato ordinario, "nomina amministratore di sostegno della figlia la signora L.T. in piena continuità con tutti i pregressi provvedimenti a partire dalla nascita di F."; successivamente il giudice onorario dottor Filippo Nisi nomina un'amministratrice di sostegno della ragazza, frattanto divenuta maggiorenne;
da parte sua il padre, probabilmente contrario alla scelte formative suggerite dalla madre, continua a proporre ricorsi, appelli, istanze e i dissensi giudiziari si ripercuotono negativamente, ma solo in parte, sulla vita e la formazione di F., mentre, secondo quanto riferisce la madre, il padre non versa da alcuni anni l'importo, benché modesto, del mantenimento per F., forse ritenendo di operare in tal modo in quanto non condivide l'operato della madre, mentre viene attribuita direttamente a F.M. una pensione di disabilità di circa 500 euro mensili;
considerato che:
su richiesta della madre, i servizi sociali di Tuscania (Viterbo), ove frattanto si sono trasferite madre e figlia anche per evitare le diatribe con il padre che resta a vivere a Vetralla, nominano la dottoressa Francesca Bartoli "assistente domiciliare di F.";
l'impegno costante e qualificato della madre (laureata in pedagogia, nella sua carriera di docente è stata anche "insegnante di sostegno", apprende negli anni ed applica tutte le possibili tecniche riabilitative del linguaggio, per favorire l'autorientamento e l'autonomia della figlia) nonché l'apporto valido dell'assistente domiciliare conseguono notevoli risultati nella crescita formativa della ragazza;
F. consegue la licenza media nel 2008, frequenta quindi per 2 anni il liceo pedagogico di Viterbo, poi sceglie il liceo artistico ritirandosi dopo aver raggiunto il terzo anno di corso (anche a causa della pendolarità degli spostamenti quotidiani);
F. frequenta quindi proficuamente, 2 volte a settimana, corsi di ippoterapia, anche se il padre sembra contrario; tale pratica sportiva costituisce una riabilitazione importante per la ragazza ed i risultati sono positivi: nell'attenzione, nel coordinamento motorio, nella crescita dell'autostima;
inoltre F., che si dedica molto alla lettura, frequenta 2 volte la settimana il centro giovanile di Tuscania, presso il quale si reca (grazie all'autorientamento, gradualmente e proficuamente appreso) da sola, tornando altresì a casa da sola: un grande risultato, che F. raggiunge grazie a un forte impegno e a notevoli motivazioni, che le consentono di svolgere attività quali la pittura e l'artigianato ceramico;
infine le assistenti sociali dell'Ufficio di servizio sociale di Tuscania riescono a far ottenere a F.M. un punto vendita presso il locale mercatino settimanale all'aperto, ove F. ha cominciato a esporre alcuni suoi lavori in ceramica oltre a qualche libro o vestito usato, che scambia con analoghe offerte di altri giovani;
questo percorso riabilitativo e formativo e questa crescita graduale vengono, a causa di un'istanza del padre, che continua a operare rivendicazioni di ogni genere, bruscamente interrotti dal decreto del Tribunale di Viterbo, procedimento n. 105512009 - V.G., pronunciato dal giudice (onorario) tutelare, dottor Filippo Nisi, in data 5 marzo 2015, con il quale "F.M. viene trasferita in una casa-famiglia": si tratta della casa famiglia "Il ginepro" di Narni (Terni), a 70 chilometri da Tuscania, ove risiede con la madre; e a 65 chilometri da Vetralla ov'è il padre;
venerdì 27 marzo 2015 la madre di F. viene convocata, con la figlia, alle ore 10 presso la stazione dei carabinieri di Tuscania, ove si recano con l'assistente domiciliare Francersca Bartoli e dove i carabinieri comunicano che F.M. deve lasciare la madre, Tuscania e ogni attività in corso perché essi stessi stanno per accompagnare, su ordine del giudice, la giovane a Narni;
viene così a realizzarsi un taglio netto, fortemente traumatico, con la propria realtà: con la casa ove vive, con la madre, con l'assistente domiciliare, con le amicizie, con le attività riabilitative, eccetera; ogni percorso formativo è drasticamente interrotto, spezzato; la giovane donna, che è maggiorenne, che non è interdetta, che presso la stazione dei carabinieri esprime la propria dura opposizione al provvedimento del giudice, che non è stata nemmeno ascoltata dal giudice stesso, viene trasferita contro la sua volontà, come un pacco, in un'altra regione, in una realtà lontana dal suo habitat familiare, prevedendo sia vietato ai familiari di entrambi i genitori, all'assistente domiciliare e alle assistenti sociali parlare con F., persino telefonicamente;
a F.M., maggiorenne e non interdetta, viene persino sequestrato il cellulare, provvedimento inaccettabile e inspiegabile a giudizio degli interroganti, in palese contrasto con tutte le precedenti vicende giudiziarie e che stronca un percorso che, con tutti i disagi e le incomprensioni giudiziali, ha comunque dato proficui risultati: un provvedimento che il giudice onorario, dottor Filippo Nisi, prende senza aver ascoltato né la giovane F., maggiorenne (ha 23 anni e due mesi), capace d'intendere e di volere, né la madre affidataria, né il padre, né i servizi sociali che monitorano costantemente il "caso", né l'assistente domiciliare, che ha in atto un proficuo percorso riabilitativo di F.M.;
rilevato che:
la madre presenta pertanto un esposto-querela nel quale evidenzia alcuni aspetti della vicenda particolarmente significativi in ordine al traumatico prelievo forzato operato su F. contro la sua disperata volontà ed in contrasto con qualificati pareri professionali, affermando che nei confronti della giovane donna, maggiorenne e non interdetta, il giudice tutelare ha adottato il provvedimento coattivo senza averla mai vista né sentita, né mai esaminata malgrado ripetute sollecitazioni in tal senso a lui rivolte, ma solo sulla base di una diagnosi emessa da un'équipe della ASL di Viterbo, nella quale si identificherebbe una "sindrome da alienazione genitoriale";
la madre di F. espone altresì, in relazione alla vicenda del trasferimento, di essere stata convocata il 27 marzo 2015 presso la caserma dei carabinieri di Tuscania dove, poco dopo, è sopraggiunta la responsabile della ASL autrice della relazione, e di essere stata invitata a convocare in caserma F., che in quel momento si trovava in compagnia dell'assistente domiciliare dei servizi sociali di Tuscania; F. è stata condotta in una stanza all'interno della caserma e quando ha capito che l'avrebbero portata via ha cominciato a piangere, a dibattersi ed a tenere comportamenti autolesionistici (si colpiva violentemente al volto, si tirava i capelli ed altri gesti simili), aggrappandosi al collo dell'assistente domiciliare in cerca di aiuto, mentre la madre ha avuto un mancamento che ha richiesto l'intervento del 118; all'arrivo a Narni (secondo quanto riferito dall'assistente domiciliare), quando F. ha visto il cancello di ingresso e si è resa conto di dove la stavano trasportando, era terrorizzata dalla paura e non voleva assolutamente scendere; piangendo ed urlando chiedeva di essere riportata a casa;
a questo punto i carabinieri hanno sollevato delle perplessità sull'esecuzione coattiva del provvedimento, prospettando l'ipotesi di riportare F. a casa, ma la responsabile della ASL ha contattato via cellulare il giudice tutelare che, sempre a quel che si riferisce, nell'arco di 5 minuti ha inviato via fax un'ordinanza coattiva e di conseguenza F. è stata condotta con la forza e contro la sua ripetuta contraria volontà, all'interno della casa famiglia, dove le sarebbero stati immediatamente somministrati dei calmanti aprendole forzatamente la bocca;
va riferito che fino a quando F. ha potuto disporre di un proprio cellulare, che sa usare con perfetta competenza, ha contattato varie persone: l'assistente domiciliare a cui piangendo disperatamente gridava che voleva essere riportata a casa, una sua amica, la zia, sempre piangendo e gridando che voleva essere riportata a casa; quindi ha chiamato lo zio, medico pediatra, manifestando preoccupazione e chiedendo suggerimenti per scappare; ha anche chiamato la madre, a cui si rivolgeva con urla, pianti, singhiozzi;
va aggiunto che F. è stata trasportata in modo brutale, totalmente sprovvista di ogni indumento e di ogni oggetto di sua necessità e familiarità, e le viene negato persino di incontrare le assistenti sociali del Comune di residenza;
la madre ha altresì presentato per il tramite dell'avvocato Enrico Mezzetti un atto di reclamo ex art. 720-bis del codice di procedura civile, con richiesta di sospensiva del provvedimento di ricovero coatto, contestando peraltro che, a prescindere dal fatto che questa ipotetica figura della "sindrome da alienazione genitoriale" è relativa a figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzio, a prescindere dal fatto quindi che nel caso di specie non si stia discutendo di un minore ma di una maggiorenne, non interdetta, a prescindere dalle critiche che sul piano scientifico sono state mosse alla teoria, nel caso di specie risulta che questa teoria venga evocata in assenza del benché minimo riscontro probatorio, su pure affermazioni di principio, come sulla base di un teorema per cui, preso atto delle difficoltà del padre con la figlia maggiorenne, preso atto che la figlia maggiorenne rifiuta allo stato di vedere il padre, da ciò discende che si è in presenza di una "sindrome da alienazione genitoriale";
a fronte di tali vicende è emersa una forte attenzione della stampa locale e della società civile che hanno intrapreso varie iniziative di denuncia in favore della ragazza, la quale sembrerebbe essere sostanzialmente stata privata della propria libertà personale, della propria sicurezza e della continuità dei percorsi terapeutici e di crescita positivamente intrapresi in un contesto sociale a ciò favorevole (con possibili violazioni degli artt. 2, 3, 13, 32 della Costituzione, nonché di specifiche convenzioni internazionali);
a giudizio degli interroganti sarebbe necessario verificare se presso gli uffici giudiziari di Viterbo, rispetto alla lentezza burocratica con cui il tribunale sta operando, non si stia producendo grave pregiudizio per la giovane F.M., alla quale è stata tolta la libertà, annientando un proficuo percorso riabilitativo ora traumaticamente negato, dato che il trasferimento coatto provoca nella giovane donna un effetto negativo di sradicamento affettivo e relazionale fortemente traumatico;
a parere degli interroganti sarebbe parimenti necessario appurare se siano stati condotti tutti i doverosi accertamenti delle circostanze di fatto e non si sia invece burocraticamente ed acriticamente proceduto a seguire le risultanze di una relazione che assume l'esistenza di un'ipotetica "sindrome da alienazione genitoriale", che, peraltro contestata dalla Corte di cassazione circa la sua ammissibilità scientifica, è comunque riferibile a figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzio, non applicabile quindi nel caso di specie riferito a persona maggiorenne e non interdetta,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo, alla luce delle esposte vicende, non ritengano, nel rispetto dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura e delle sue pronunce, che si possano configurare violazioni dei diritti primari di libertà della signora F.M.;
se il Ministro della giustizia intenda attivare i poteri di propria competenza, anche di natura ispettiva, con riferimento alla vicenda;
se non ritenga di dover valutare la necessità di rivedere la possibilità introdotta dalla riforma normativa del 2010, che in materia di diritti primari della persona, come nel caso di specie, le attività giurisdizionali vengano esercitate per la loro delicatezza esclusivamente da magistrati ordinari precludendo che esse vengano svolte da giudici onorari, la cui specifica competenza appare in tal caso probabilmente inadeguata.