Atto n. 4-05108

Pubblicato il 29 luglio 2003
Seduta n. 453

PIATTI, TOIA, BAIO DOSSI, MARTONE, RIPAMONTI, STANISCI, BASSO, CREMA, MACONI, PIZZINATO, PILONI, DE ZULUETA, IOVENE, PAGLIARULO, VIVIANI, VITALI, MURINEDDU, DE PETRIS, MALABARBA, DI GIROLAMO. - Al Ministro dell'interno. -

Premesso che:

in alcune province del Nord (Lodi-Milano) ma anche in altre province dell’Italia centrale e meridionale sono segnalati interventi di polizia finalizzati all’espulsione di immigrati a cui è stato negato il permesso di soggiorno;

tali espulsioni vengono spesso realizzate di notte e alle prime luci dell’alba, senza nemmeno offrire all’immigrato il tempo necessario per affrontare la nuova situazione;

queste iniziative, già denunciate in molte province dalle Organizzazioni Sindacali e dalle associazioni di volontariato, poiché avvengono in modo sistematico, fanno presupporre indicazioni e direttive di vera e propria “pianificazione” tese ad espellere tutti gli immigrati a cui, in prima istanza, è stato negato il permesso di soggiorno;

le Organizzazioni Sindacali milanesi in particolare, in un incontro svolto presso la Questura, hanno denunciato l’esistenza di una circolare ministeriale nella quale si sollecitano tutte le Questure a predisporre piani di rimpatri in accordo con le Prefetture colmando lo “scarto” esistente in ogni Provincia fra i nulla osta negati e le “effettive espulsioni”, scegliendo, in tal modo, di espellere immediatamente tutti gli immigrati a cui è stato negato il nulla osta in prima istanza;

tali espulsioni sembrano andare ben oltre i “motivi ostativi” previsti dalla legge sull’immigrazione, mentre occorrerebbe permettere all’immigrato che ha avuto un primo rigetto della propria domanda di regolarizzazione di poter effettuare il ricorso;

nei casi previsti dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189, il provvedimento di espulsione previsto dall’autorità amministrativa non può sostituire l’iniziativa della magistratura che, di fronte a un ricorso presentato dall’interessato, deve pronunciarsi rapidamente rispettando il principio del “contraddittorio”, ascoltando l’immigrato interessato, secondo quanto previsto dal Codice di procedura civile;

in alcuni casi, quando il nulla osta è stato negato, sono persino omesse le conseguenti comunicazioni al datore di lavoro e all’immigrato che dovrebbero riportare le motivazioni della mancata concessione. La domanda di legalizzazione è infatti firmata sia dall’imprenditore che dal lavoratore immigrato ed entrambi devono conoscere l’esito dell’istanza. Il regolamento attuativo emanato dal Ministero infatti recita (art. 12, comma 1): “Salvo che debba disporsi il respingimento o l’espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera, quando il permesso di soggiorno è rifiutato il questore avvisa l’interessato facendone menzione nel provvedimento di rifiuto che, sussistendone i presupposti, si procederà nei suoi confronti per l’applicazione dell’espulsione di cui all’art. 13 del testo unico”, specificando al comma 2 che lo straniero ha 15 giorni per lasciare il territorio dello Stato. Uscita volontaria dallo Stato dello straniero debitamente informato ed espulsione coatta sono sostanzialmente diverse poiché nel secondo caso l’immigrato dovrà attendere 10 anni prima di entrare nel nostro Paese,

si chiede di sapere:

se tali indicazioni alle Questure per espulsioni senza preavviso siano state effettivamente date dal Ministero dell’interno;

se l’esperienza sin qui maturata dalla legge n. 189 non consigli modifiche e, quanto meno, interpretazioni che, pur nel rispetto delle norme votate dal Parlamento, sappiano tradurle nel rispetto pieno dei diritti delle persone;

se il Ministro non ritenga che, in via prioritaria e in ossequio al regolamento attuativo e con indicazioni omogenee su tutto il territorio nazionale, si debba perseguire l’obiettivo di un immigrato informato sull’esito della sua domanda di regolarizzazione e consapevole dei suoi doveri conseguenti, in sostituzione di vere e proprie “retate” finalizzate all’espulsione degli stranieri che contrastano con il rispetto dei diritti della persona umana.