Pubblicato il 25 marzo 2014, nella seduta n. 216
GHEDINI Rita , GUERRA , CIRINNA' , D'ADDA , FABBRI , FEDELI , MATTESINI , SPILABOTTE , DIRINDIN , PEZZOPANE , FAVERO - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali e per la semplificazione e la pubblica amministrazione. -
Premesso che:
il 16 febbraio 2012, la Commissione europea ha presentato il libro bianco sulle pensioni (COM (2012) 55, "White Paper - An agenda for adequate, safe and sustainable pensions") e, dopo aver analizzato le conseguenze, sui bilanci nazionali e sul tasso di crescita dell'economia europea, di alcuni importanti mutamenti dei fenomeni demografici (aumento della longevità, avvio alla pensione dei baby boomer) comuni a tutti gli Stati membri, la Commissione ha esaminato il modo in cui l'Unione europea e i singoli Stati membri possono intervenire sui sistemi previdenziali, adottando strategie comuni;
l'obiettivo è quello di assicurare la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico e garantire l'adeguatezza delle future prestazioni previdenziali, ribadendo il ruolo chiave, anche a livello europeo, della previdenza complementare;
in particolare, i suggerimenti rivolti ai Governi nazionali al fine di garantire pensioni adeguate, sicure e sostenibili concernono l'incoraggiamento alla prosecuzione dell'attività lavorativa, per massimizzare il risparmio pensionistico, e il miglioramento della sicurezza nonché della convenienza del risparmio pensionistico stesso;
premesso altresì che:
la legge delega 23 agosto 2004, n. 243, e il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, costituiscono atti di un processo di riforma iniziato nel 1992, il cui obiettivo di fondo è stato quello di assicurare una sostenibilità finanziaria al sistema pensionistico, in linea con quanto richiesto a livello europeo;
in questa ottica si è posta la legge n. 243 del 2004 e la successiva legge 24 dicembre 2007, n. 247, che ha modificato le disposizioni contenute nella legge n. 243, modificando i requisiti per il diritto alla pensione di anzianità in maniera più graduale, e introducendo, a partire dal 1° luglio 2009, il "sistema delle quote";
la cosiddetta manovra estiva del 2010 (decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) ha stabilito, a partire dal 1° gennaio 2015, l'innalzamento dei requisiti per le pensioni di vecchiaia e di anzianità, mentre per le dipendenti del pubblico impiego ha confermato il requisito di 65 anni per la pensione di vecchiaia dal 2012 e, rispetto alla riforma del 2009, ha portato da 5 a 3 il ritmo degli adeguamenti dell'età pensionabile all'aumento medio della vita, ad eccezione del primo scaglione (4 anni);
inoltre, il decreto-legge n. 78 ha introdotto la "finestra mobile" (12 mesi per i dipendenti e 18 mesi per i lavoratori autonomi) e, dal 1° gennaio 2010, ha modificato i coefficienti di trasformazione del montante contributivo in rendita come previsto dalla legge n. 247 del 2007, attuativa dell'accordo sul welfare del 23 luglio 2007;
da ultimo, con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, cosiddetto decreto salva Italia, si è determinato il definitivo passaggio al sistema contributivo pro rata per tutti a partire dal 1° gennaio 2012 ed è stato ulteriormente innalzato il livello minimo di età pensionabile a 42 anni e un mese per gli uomini, e 41 anni e un mese per le donne, stabilendo altresì che, dal 2012, chi avrà maturato tale requisito ma non il numero minimo di anni richiesti dai requisiti si vecchiaia subirà una penalizzazione del 2 per cento per ogni anno in meno di lavoro;
valutato che:
la differenza di genere nei trattamenti pensionistici costituisce un gap che, pur conservando un lieve favor anagrafico per le pensioni "anticipate" (già "di anzianità"), economicamente vede le donne in netto svantaggio: le donne infatti beneficiano in maggior numero di trattamenti pensionistici, ma con importi inferiori agli uomini e sono soprattutto le donne del Sud quelle che scelgono di continuare a lavorare anche dopo aver raggiunto il termine di anzianità;
infatti, stando al rapporto "Trattamenti pensionistici e beneficiari: un'analisi di genere", diffuso dall'Istat nell'agosto 2013, sono ancora evidenti le differenze tra uomini e donne per quanto riguarda le pensioni. Nel 2011 la maggior parte dei trattamenti pensionistici è stata erogata alle donne: 56,4 per cento contro il 43,6 per cento destinato agli uomini. Nonostante ciò, dei 266 miliardi di euro riservati al pagamento delle pensioni solo il 43,9 per cento è stato erogato alle donne, mentre la maggior parte è destinata per gli uomini;
dalla rilevazione annuale condotta da Inps e Istat, sulla base dei dati forniti dagli enti previdenziali italiani, pubblici e privati, emerge che il genere femminile è destinatario di un maggior numero di più trattamenti pensionistici ma con importi nettamente inferiori: in media, ogni anno, le prestazioni pensionistiche maschili ammontano a 14.460 euro contro gli 8.732 euro per le donne. Inoltre, se più della metà delle donne percepisce meno di 1.000 euro al mese, è 3 volte più elevato il numero degli uomini con una pensione pari o superiore a 3.000 euro al mese;
questa marcata differenza di trattamento tra pensionati e pensionate diminuisce se si calcolano i redditi pensionistici, perché le donne rispetto agli uomini spesso riescono a cumulare 2 o più pensioni compensando, in questo modo, il più basso importo medio delle singole pensioni. Nonostante questo, dal 2001 al 2011 la differenza degli importi pensionistici tra uomini e donne è aumentata di 4,5 punti percentuali;
a dicembre 2013, poi, l'Istat rileva che sono circa 541.000 gli italiani di mezz'età, tra i 50 e i 70 anni, a rischio povertà per non aver ancora versato alcun tipo di contributo previdenziale. La maggior parte dei lavoratori a rischio comprende le donne: sono il 9,6 per cento del totale e nelle regioni meridionali arrivano anche al 12 per cento;
sempre nella stessa fascia di età, sono 411.000 gli italiani che, pur percependo una pensione da lavoro, continuano a lavorare per incrementare il proprio reddito. E anche da questo punto di vista le donne registrano il primato andando in pensione leggermente più tardi rispetto agli uomini, soprattutto nel Mezzogiorno come conseguenza dell'ingresso ritardato nel mondo del lavoro;
considerato che:
sulle differenze di genere circa i trattamenti pensionistici l'Italia è stata recentemente al centro dell'attenzione europea. Come riportano notizie di stampa, infatti, a metà ottobre 2013, la Commissione europea sarebbe stata in procinto di aprire una procedura d'infrazione contro il nostro Paese a causa della differenza tra uomini e donne nel calcolo degli anni di contributi che devono essere versati per ottenere il pensionamento anticipato;
nello specifico, il rilievo europeo concernerebbe la recente nuova disciplina sull'accesso alla pensione anticipata, che sostituisce per tutti i lavoratori pubblici e privati quella di anzianità e che consente di andare in pensione prima dell'età di vecchiaia: ai sensi dell'articolo 24, comma 10, del citato decreto-legge n. 201 del 2011, l'accesso al pensionamento anticipato è ammesso solo se "risulta maturata un'anzianità contributiva di 42 anni e un mese per gli uomini e 41 anni e un mese per le donne, con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti nell'anno 2012. Tali requisiti sono aumentati di un ulteriore mese per l'anno 2013 e di un ulteriore mese a decorrere dall'anno 2014, fermo restando l'adeguamento alla speranza di vita che di fatto comporta, sia pure in via indiretta, una diversa età di accesso al pensionamento fra uomini e donne di età coincidenti;
l'articolo 24, comma 10, sempre stando a notizie di stampa, secondo il commissario europeo alla giustizia, Viviane Reding, titolare del dossier aperto contro l'Italia, non sarebbe conforme alla legislazione contro la discriminazione dell'Unione europea (e segnatamente all'articolo 157 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea e alla direttiva 2006/54/CE) poiché stabilisce un diverso numero di anni di contributi maturati per i lavoratori e le lavoratrici al fine di accedere alla pensione anticipata, non solo nel settore privato ma anche nel settore pubblico (nello specifico, si osserva che per il periodo dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2013 vengono richiesti 42 anni e 5 mesi di contribuzione per gli uomini e 41 anni e 5 mesi per le donne, mentre per il periodo dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2015 verranno richiesti 42 anni e 6 mesi di contribuzione per gli uomini e 41 anni e 6 mesi per le donne; e ciò in quanto il requisito contributivo in questione viene periodicamente adeguato alla speranza di vita, ai sensi dell'articolo 24, comma 12;
oggi l'attenzione europea parrebbe incentrata sulla differenza di genere tra gli anni minimi di contribuzione, sulla base teorica secondo cui il regime pensionistico dei dipendenti pubblici italiani, integrando una forma di retribuzione, costituisce un regime professionale, al quale è applicabile la normativa comunitaria richiamata;
è quindi opportuno ricordare la posizione assunta dal Governo italiano nell'ottobre del 2012 e relativa al caso EU Pilot di 3724/12/JUST (poi trasformato nella procedura di infrazione) secondo cui il regime pensionistico dei dipendenti pubblici italiani costituisce non un regime professionale cui sono applicabili l'articolo 157 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea e la direttiva 2006/54/CE, bensì un regime legale, cui è applicabile la direttiva 79/7/CEE, la quale consente allo Stato membro di fissare età diverse di pensionamento per uomini e donne. Infatti, a seguito della riforma pensionistica operata con il decreto-legge n. 201 del 2011, non ricorrono più, nell'ordinamento interno, i 3 criteri (che la pensione interessi soltanto una categoria particolare di lavoratori, che sia direttamente funzione degli anni di servizio prestati, che il suo importo sia calcolato in base all'ultimo stipendio del dipendente pubblico) sulla base dei quali la Corte di giustizia, in virtù di una consolidata giurisprudenza, ha qualificato, con sentenza del 13 novembre 2008 (emessa nella causa C-46/07, Commissione c/Repubblica italiana), il regime italiano dei dipendenti pubblici come regime professionale;
è importante rilevare che sebbene alla giurisprudenza in questione sia ispirata la stessa direttiva 2006/54/CE, come si evince dal considerando 14 della direttiva stessa, la Commissione europea pare ritenere che i 3 criteri continuerebbero a rinvenirsi nel regime pensionistico dei dipendenti pubblici italiani, anche dopo la recente riforma pensionistica;
nello specifico, sia l'articolo 157 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea che la direttiva 2006/54/CE (la quale costituisce un'applicazione dell'articolo 157) stabiliscono il divieto di prevedere una retribuzione differente per uomini e donne, mentre l'articolo 9, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2006/54/CE, contempla anche espressamente, fra le discriminazioni vietate, quella di stabilire limiti di età differenti per il collocamento a riposo in base al sesso;
a tale riguardo, osservando che l'articolo 24, comma 10, del decreto-legge n. 201/2011 non definisce un'età pensionabile fissa per il pensionamento anticipato, bensì un diverso numero di anni di contribuzione al fine di accertare pensionamento, la Commissione europea pare ritenere che la conseguenza immediata dell'applicazione di questa regola sia che a uomini e donne che hanno iniziato a versare contributi alla stessa età vengano, di fatto, applicate età pensionabili differenti ai fini della pensione anticipata. Di conseguenza, non tenendo in debita considerazione i dati statistici in materia di accesso e permanenza nel mercato del lavoro da parte delle donne, la Commissione europea potrebbe considerare la disposizione di cui all'articolo 24, comma 10, equivalente a una disposizione che stabilisca espressamente una diversa età pensionabile in base al sasso per accedere alla pensione anticipata e, quindi (come, in effetti, riportano notizie di stampa) costituente una discriminazione in base al sesso, vietata dalla normativa comunitaria;
agli interroganti non è dato sapere se, in effetti, dall'ottobre 2013, la Commissione europea abbia formalizzato l'apertura di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese in merito ai requisiti per l'accesso alla pensione anticipata e abbia quindi anche inviato una lettera al Governo italiano per l'effettiva specificazione delle contestazioni, chiedendo conseguentemente delucidazioni al Governo entro un certo termine che, generalmente, è di 2 mesi;
rilevato che:
in sede di audizione presso la 5ª Commissione permanente (Programmazione economica, bilancio) del Senato, in data 12 marzo 2014, nell'ambito dell'indagine conoscitiva per l'acquisizione di elementi informativi sullo stato delle procedure di revisione della spesa pubblica, il commissario straordinario per la spending review, Carlo Cottarelli, ha riepilogato le linee fondamentali del documento da lui consegnato al Comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica;
il commissario (premettendo che tutte le indicazioni numeriche devono intendersi al lordo degli effetti indiretti sul gettito tributario e sul ciclo economico, elementi che è possibile valutare e quantificare solo in una fase successiva) ha stimato un risparmio massimo realizzabile nell'anno in corso di circa 7 miliardi di euro, che va però ridotto in considerazione del trascorrere dei primi mesi dell'anno, con il che si assesterebbe su un margine di 5 miliardi, aggiungendo che, in considerazione della maggiore complessità delle riforme strutturali, i risparmi realizzabili negli anni 2015-2016 sono nettamente maggiori e, ad oggi, quantificabili in, rispettivamente, in 18 e 34 miliardi di euro;
il commissario Cottarelli ha altresì fatto presente che le misure suggerite tengono conto, da un lato, della difficile comprimibilità di alcune spese (ad esempio quelle relative al sistema pensionistico), dall'altro, della necessità di garantire un effetto redistributivo a vantaggio delle fasce più deboli della popolazione;
rilevato altresì che:
stando a notizie di stampa come riportate da "Il Tempo" e "Italia oggi" (entrambe le testate pubblicano on line le slide che il commissario avrebbe illustrato in sede di audizione) un'altra misura prevista nel documento "Per una revisione della spesa pubblica (2014-16)" consiste nella modifica della disciplina dei requisiti di accesso al pensionamento anticipato, con l'introduzione dei 42 anni di contributi base per uomini e donne indistintamente (risparmi pari a 0,2 miliardi nel 2014, 0,5 nel 2015 e uno nel 2016),
si chiede di sapere:
se l'ipotesi indicata dal commissario straordinario per la spending review, Carlo Cottarelli, in sede di audizione presso la 5ª Commissione del Senato relativa alla modifica della disciplina dei requisiti di accesso al pensionamento anticipato sia considerata tra quelle assumibili tra le decisioni di revisione della spesa da adottare ai sensi dell'articolo 49-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98;
se al Governo risulti se sia stata effettivamente aperta una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese in materia di parità di accesso alla pensione tra uomini e donne e, in caso affermativo, quale sia lo stato dell'iter di tale procedura;
se e quali, conseguentemente, siano le misure che il Dipartimento per la funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri ha adottato o intende adottare per affrontare tutti i punti problematici sollevati dalla Commissione europea in materia di parità di accesso alla pensione tra uomini e donne, al fine di risolvere la procedura d'infrazione nel più breve tempo possibile ed evitare così pesanti conseguenze all'Italia;
se non ritenga che, anche a seguito dei molti e successivi interventi in materia di accesso alla quiescenza per le donne messi in atto nell'ultimo decennio, senza che parimenti si siano modificate sostanzialmente le condizioni di accesso al lavoro delle donne, né si sia ridotto il gender pay gap, né, infine, i livelli di servizi e benefit a supporto della conciliazione e della condivisione del lavoro di cura si siano avvicinati agli standard europei e agli obiettivi indicati dalla strategia Europa 2020, la disparità di partecipazione delle donne alla vita economica e sociale del Paese si sia ulteriormente approfondita;
se e quali, conseguentemente, misure intenda assumere per affrontare la condizione descritta.