Pubblicato il 30 gennaio 2014, nella seduta n. 179
SCAVONE , COMPAGNONE - Ai Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, dello sviluppo economico e della salute. -
Premesso che, per quanto a conoscenza dell'interrogante:
l'etichetta dei prodotti alimentari è uno strumento indispensabile di informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimentari;
i consumatori hanno assunto un ruolo preponderante nell'ambito della sicurezza alimentare e la normativa attuale, ovvero il decreto legislativo n. 109 del 1992, concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari, è stata integrata da numerosi provvedimenti, tra cui: la direttiva europea 2000/13/CE, recepita a livello nazionale con il decreto legislativo n. 181 del 2003, finalizzata all'armonizzazione tra le normative dei Paesi dell'Unione europea; la 2003/89/CE, recepita nell'ordinamento italiano dal decreto legislativo n. 114 del 2006, che ha individuato un elenco di prodotti alimentari contenenti sostanze allergeniche che, ove utilizzati come ingredienti, devono essere riportati in etichetta; il regolamento (CE) n. 1924/2006; Il regolamento (UE) n. 432/2012; il regolamento (UE) n. 1169/2011, che ridefinisce la normativa relativa all'etichettatura dei prodotti alimentari;
attraverso un monitoraggio effettuato dal Copalcons, osservatorio permanente sulla pubblicità alimentare del Codacons, si è rilevato che presso gli stores di Roma Eataly (piazzale XII ottobre 1492), Coop (via Cornelia n. 154) e Carrefour (piazzale degli eroi n. 13) vengono venduti prodotti alimentari la cui etichettatura e presentazione grafica è fortemente incentrata sulla garanzia di elevata qualità, connessa alla pretesa origine tutta genuinamente italiana e locale;
tra i presunti profili di ingannevolezza e rischio frode dei prodotti analizzati, è emerso tra le altre cose che, nell'etichettatura e presentazione grafica delle confezioni, vengono indicati, accompagnati da immagini grafiche suggestive, ingredienti caratterizzanti di origine italiana, in alcuni casi, senza alcun riferimento esplicito circa la quantità e le percentuali contenute nel prodotto;
quanto a "Eataly" si sottolinea quanto segue:
da un'attenta analisi e monitoraggio della condotta posta in essere dalla società, è emerso che, presso il punto vendita di Roma, si reitera la distribuzione di prodotti la cui etichettatura non è conforme alle normative prescritte dalla legge e nonostante rinnovati inviti da parte delle associazioni di consumatori a ritirare i prodotti non conformi al rispetto delle regole per una corretta pubblicità commerciale, l'azienda continua a ricusare ogni istanza;
anzi, mediante implicazioni emotive di carattere "ambientalistico", l'azienda invita i consumatori a prendere decisioni commerciali, enfatizzando caratteristiche del prodotto contrarie alla realtà;
si fa riferimento, in particolar modo, ai cartelloni posti in prossimità del bancone frigo, predisposto alla vendita di yogurt e latticini, in cui si legge: "Latte, yogurt, latticini a KM zero. Gran bei prodotti abbiamo trovato qui in Lazio di Roma". In realtà, il frigorifero contiene prodotti anche di altra tipologia (tipo pesto) ma, soprattutto, molti yogurtvenduti sono prodotti e confezionati nel Trentino o altri luoghi distanti dal Lazio: pubblicizzare surrettiziamente un prodotto ricorrendo ad informazioni apparentemente equanimi e disinteressate costituisce una pratica scorretta in quanto volta ad attribuire pregi al prodotto, ghermendo la buona fede del consumatore;
come se non fosse sufficiente, la maggior parte delle suggestive locuzioni utilizzate in alcune delle etichette analizzate lascia intendere ai destinatari un vanto di genuinità in senso assoluto;
in particolare, a seguito di una lettera di intervento del Copalcons, del 5 dicembre 2012, si chiedeva a Eataly (e per conoscenza alla ASL di Viterbo, Servizi veterinari) valida certificazione attestante la specificità circa i criteri di valutazione sulla sicurezza e qualità del latte "Marini" e del pane biologico prodotto da Eataly e si invitava l'azienda a fornire idonea documentazione probante le caratteristiche vantate nelle confezioni degli alimenti, nonché chiarimenti in ordine alla pratica assunta dall'azienda: ciò perché venivano vantate determinate caratteristiche di produzione, lavorazione ed ingredienti dei prodotti, non supportati da alcuna certificazione;
non avendo ricevuto riscontro, il Copalcons sollecitava la pratica in data 30 aprile 2013 e, in data 28 maggio 2013, la ASL di Viterbo specificava che a seguito di dovuti controlli, era stata disposta la sospensione della produzione, della registrazione regionale e la distruzione di alcune partite del latte Marini dal 26 gennaio al 1° febbraio 2013;
il 30 maggio 2013 perveniva anche verbale di sequestro cautelare dei NAS dei prodotti lattiero-caseari venduti e pubblicizzati dall'azienda e si chiedeva a Eataly, con lettera del 10 giugno, la quantità di latte Marini venduto nello store e si invitava l'azienda a sospenderne la distribuzione, essendo risultato che il latte era contro la legge, privo di specifiche di rintracciabilità e di qualsivoglia dato identificativo della provenienza e della natura;
con lettera del 1° luglio 2013, si reiterava l'invito a sospendere la vendita del prodotto al fine di evitare che la condotta venisse portata a possibili ulteriori dannose conseguenze;
il 23 luglio, il Copalcons contestava le etichette relative a 30 prodotti presi a campione sugli scaffali dello store Eataly di Roma e l'azienda prometteva di modificare le etichette palesemente ingannevoli, compresa quella relativa al latte Marini;
seguivano numerosi incontri e lettere di replica del 3 agosto ed il 13 settembre 2013; venivano analizzati ulteriori 40 prodotti presi a campione, in cui si rilevavano gravissimi possibili profili di ingannevolezza e frode dell'etichettatura dei prodotti analizzati;
con istanza ai sensi dell'articolo 27, commi 2 e 10, del codice del consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, come modificato dall'articolo 23, comma 12-quinquiesdecies, del decreto-legge n. 95 del 2012, il Codacons chiedeva all'Autorità garante della concorrenza e del mercato di attivare una urgente convocazione della azienda Eataly per verificare se fosse vero che i controlli interni siano insufficienti a garantire la correttezza, verità e non ingannevolezza delle etichette di numerosi prodotti posti in vendita;
l'Autorità con protocollo n. 0047019 dell'8 ottobre 2013, rif. DS1088, comunicava che la segnalazione era stata attribuita alla competente Direzione generale per la tutela del consumatore, Direzione agroalimentare e trasporti ed il Codacons inoltrava memoria integrativa in data 20 ottobre 2013 in cui si chiedeva, tra gli altri, di predisporre tutti i controlli e le indagini per accertare e verificare se nei fatti esposti potessero celarsi diverse responsabilità e di avviare le verifiche per accertare ed eventualmente punire la violazione delle norme del codice del consumo e del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, nonché di quelle eventualmente collegate, connesse e/o consequenziali, eventualmente provvedendo a sanzionare l'impresa che avesse violato principi di concorrenza e tutela del mercato;
in via cautelare, si chiedeva, accertati i fatti, la sospensione della vendita dei prodotti, sia pure temporanea e per i fini d'indagine per un congruo periodo;
quanto a "Coop" si sottolinea quanto segue:
con lettera del 9 agosto 2013, il Copalcons rilevava che presso lo store Coop sito in via Cornelia n. 154, su 50 articoli presi a campione sugli scaffali, il 60 per cento dei prodotti alimentari presentava un'etichettatura e rappresentazione grafica fortemente incentrata sulla garanzia di elevata qualità, in alcuni casi connessa alla pretesa origine tutta genuinamente italiana e locale;
tra i presunti profili di ingannevolezza e rischio frode dei prodotti analizzati è emerso, tra le altre cose che nell'etichettatura e presentazione grafica non venivano indicati tra gli ingredienti caratterizzanti riferimenti espliciti circa la quantità e le percentuali contenute;
la contestazione muoveva anche dalla circostanza che le confutate etichette dei prodotti non erano né chiare né intellegibili da parte del consumatore medio perché carenti dei criteri di trasparenza prescritti dalla normativa vigente e in quanto tali, assumono un'inequivocabile funzione semantica, producendo immediata suggestione con l'effetto, del tutto connaturato in materia alimentare, di indurre gli utilizzatori, prevalentemente bambini, a consumare indiscriminatamente il prodotto;
il Copalcons chiedeva a Coop Italia di fare immediatamente luce e chiarezza sulla vicenda ed attivare tutte le procedure necessarie per la sospensione della distribuzione dei prodotti la cui descrizione ed etichettatura appariva priva della trasparenza prescritta dalla normativa vigente e comunque il ritiro, sia pure temporaneo per un congruo periodo, dei prodotti stessi;
invitava, altresì, l'azienda a fornire valida certificazione attestante la specificità circa i criteri di valutazione sulla sicurezza e qualità dei prodotti venduti da tutti gli store, idonea documentazione probante le caratteristiche vantate nelle confezioni degli alimenti, nonché chiarimenti in ordine alla pratica assunta dall'azienda;
il Copalcons, il 28 agosto ed il 25 settembre 2013, sollecitava la pratica e Coop Italia inoltrava copia delle risposte ricevute dalle 30 aziende citate, alcune delle quali ammettevano l'irregolarità dell'etichettatura;
quanto a "Carrefour" si sottolinea quanto segue:
con lettera del 9 agosto 2013, il Copalcons contestava l'etichettatura di circa 30 prodotti per presunti profili di ingannevolezza e rischio frode, in quanto, tra le altre cose, nell'etichettatura e presentazione grafica non venivano indicati, tra gli ingredienti caratterizzanti, riferimenti espliciti circa la quantità e le percentuali contenute e molti alimenti garantivano un'origine genuinamente italiana, in assenza delle indicazioni previste dalla normativa di settore;
per tali ragioni, invitava l'azienda a sospendere la distribuzione dei prodotti individuati, a produrre certificazione attestante la specificità circa i criteri di valutazione sulla sicurezza e qualità dei prodotti venduti da tutti gli store;
il 28 agosto si sollecitava la pratica e il 29 agosto 2013 Carrefour, invitava il Copalcons a rivolgere le contestazioni direttamente alle case produttrici; con lettera del 19 settembre 2013 il Copalcons, oltre a reiterare le richieste contenute nella missiva del 9 agosto 2013, contestava integralmente il contenuto, specificando che nella grande distribuzione commerciale organizzata, produttore e venditori sono gli attori principali che operano in sinergia per rendere il prodotto disponibile al consumatore finale e evidenziava la responsabilità congiunta riguardo alla qualità e sicurezza dei prodotti alimentari e alla loro etichettatura (compresi i prodotti che recano un marchio commerciale, cosiddetto private label), qualora non siano conformi alle normative di settore;
ai sensi e per gli effetti dell'articolo 8 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, qualora l'etichettatura di un prodotto alimentare ponga in rilievo, onde differenziarlo da altri della stessa specie, la presenza o il limitato tenore di uno o più ingredienti essenziali per le caratteristiche di tale prodotto, o se la denominazione di quest'ultimo comporta lo stesso effetto, deve essere indicata, secondo i casi, la quantità minima o massima di utilizzazione di tali ingredienti, espressa in percentuale. L'indicazione deve essere apposta in prossimità immediata della denominazione di vendita del prodotto alimentare o nell'elenco degli ingredienti accanto all'ingrediente in questione;
alcune aziende citate nelle lettere di intervento del Copalcons si sono impegnate a modificare le confutate etichette, rendendole conformi alle normative di legge;
il Codacons, nel novembre 2013, notificava un atto di denuncia-querela, con istanza di sequestro, al comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente di Roma, al comando Carabinieri Nucleo antisofisticazioni e sanità di Roma, alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Asti, Bologna, Milano e Roma, al Ministero della salute, al Ministero dello sviluppo economico, al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ed all'autorità garante della concorrenza e del mercato;
nel particolare, il Codacons chiedeva, tra l'altro, la sospensione della distribuzione dei summenzionati prodotti, la cui descrizione ed etichettatura è potenzialmente in grado di distorcere le scelte dei consumatori e falsare il gioco della concorrenza fra imprese;
chiedeva inoltre di predisporre tutti i controlli e le indagini per accertare e verificare se nei fatti esposti potessero celarsi diverse responsabilità, ivi comprese le attività illecite nello specifico campo delle sofisticazioni, delle frodi alimentari e della sanità, e di avviare le verifiche per accertare ed eventualmente punire la violazione delle norme del codice del consumo e del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale e di quelle eventualmente collegate, connesse e/o consequenziali;
il Codacons chiedeva, altresì, ispezioni igienico-sanitarie sull'intera filiera di produzione, vendita e somministrazione degli alimenti, eventualmente provvedendo a sanzionare le imprese che avessero violato principi di concorrenza e tutela del mercato;
il principio di armonizzazione con i vincoli comunitari (che garantiscono libera circolazione delle merci nel mercato interno) ha determinato il legislatore a porre in essere normative a tutela dei consumatori onde evitare il profilarsi di condotte volte anche ad osteggiare e screditare la qualità della produzione italiana;
a tal fine sono state introdotte incisive novità normative e disposizioni a tutela del "made in" che prevedono l'irrogazione di sanzioni penali e amministrative a carico di chi commercializza prodotti in generale (alimentari o manifatturieri) presentati falsamente ai consumatori come prodotti realizzati interamente in Italia;
in tale direzione, il comma 49-bis dell'articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (comma aggiunto dal comma 6 dell'art. 16 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, con la decorrenza indicata nel comma 7 dello stesso articolo 16, e poi così modificato dal comma 1-quater dell'art. 43 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, nel testo integrato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134), ha ipotizzato la fattispecie di "fallace indicazione l'uso del marchio" e considera come tale "l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da convincere il consumatore che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale";
sul punto, costituisce falsa indicazione la stampigliatura "made in Italy" su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine;
costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure o quanto altro possa far ritenere al consumatore che il prodotto o la merce sia di origine italiana, incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli;
le modalità applicative dell'art. 4, comma 49-bis, della legge n. 350 del 2003 sono fissate dalla circolare esplicativa del Ministero dello sviluppo economico n. 124898 del 9 novembre 2009 e nella recente nota n. del 6 agosto 2012, prot. 173529;
è prevista, inoltre, una nuova fattispecie penale dall'art. 16, comma 4, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, che dispone che «Chiunque fa uso di un'indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale "100% made in Italy", "100% Italia", "tutto italiano", in qualunque lingua espressa, o in altra forma che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2, è punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene previste dall'articolo 517 del codice penale, aumentate di un terzo»;
da quanto precede deriva che, in ordine al made in Italy, l'elemento più importante è il concetto di provenienza, inteso quale luogo di spedizione materiale delle merci; consegue che l'importazione nella UE di un bene non conferisce l'origine alle merci per le quali è necessario il certificato di origine rilasciato dalla competente Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura;
in riferimento alla normativa di settore si specifica inoltre che l'art. 4, comma 49, della legge n. 350 del 2003, come modificata dall'articolo 17, comma 4, della legge n. 99 del 2009, chiarisce che "L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza, costituisce reato ed è punita ai sensi dell'articolo 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura "made in Italy" su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine; Costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli ovvero l'uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine senza l'indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione delle merci" può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione a cura ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quanto altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della stampigliatura "made in Italy"»;
inoltre, il nuovo articolo 49-bis introduce l'ipotesi di fallace indicazione aggravata, comminando la sanzione amministrativa, cumulabile con quella penale, e la confisca dei prodotti salvo che il titolare non sani la situazione sul bene, sulla confezione o sui documenti apponendo le esatte indicazioni di origine;
vi è da aggiungere che, il 31 dicembre 2013, venivano pubblicate notizie giornalistiche relative alla vicenda ed in particolare, sul quotidiano "Libero" si leggeva il breve articolo "Codacons contro Eataly e Coop: etichette fuorilegge": «Il Codacons ha denunciato Eataly, Carrefour e Coop per etichette fuorilegge. Secondo l'associazione dei consumatori, presso alcuni punti vendita delle tre catene vengono venduti prodotti alimentari la cui etichettatura e presentazione grafica - fortemente incentrata sulla garanzia di elevata qualità e origine tutta genuinamente italiana e locale di tali alimenti - si presta a violare la normativa vigente e rappresentare una forma di inganno per i consumatori;
ed ancora, il giornalista Maurizio Gallo su "Il Tempo", il 16 gennaio 2014, pubblicava un articolo dal seguente titolo: «Eataly e le etichette "ingannevoli" - Dossier del Codacons sui prodotti dello store. Sotto accusa 30 "campioni": non rispettano la normativa sulle indicazioni ai consumatori». Spesso le indicazioni sono fallaci, imprecise, vaghe o, addirittura, false. E così violano la legge. Accadrebbe anche in esercizi commerciali che si basano proprio sul binomio "fatto in Italia-uguale-di qualità", come la "Coop" e "Eataly". Almeno, è quello che denuncia il Codacons, che ha depositato una querela con istanza di sequestro ai carabinieri del Nas, al Ministro della salute e alle procure di Roma, Asti, Bologna e Milano. L'associazione si rivolge anche all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e a quella per le Garanzie nelle comunicazioni, chiedendo controlli e la sospensione temporanea della vendita,
si chiede di sapere:
quali iniziative i Ministri in indirizzo intendano adottare per assicurare l'uniforme applicazione sul territorio delle norme vigenti, da parte delle aziende citate e di tutti i venditori e produttori di prodotti alimentari, la cui etichettatura non è conforme alle normative;
quali iniziative intendano poi adottare nei confronti delle aziende citate e di tutti i venditori e produttori di prodotti alimentari che si siano resi responsabili di condotte illecite e contrarie alle normative di settore, ai danni dei consumatori;
quali misure intendano avviare per garantire l'effettiva applicazione della legge e l'avvio di un sistema adeguato ed efficiente di controlli.