Atto n. 4-00988

Pubblicato il 11 ottobre 2013, nella seduta n. 124

MOLINARI , VACCIANO , BOTTICI , PEPE , BULGARELLI , LEZZI , BERTOROTTA , MANGILI - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia e delle finanze. -

Premesso che:

diversi articoli pubblicati su "Il Sole-24 ore" e il sito internet di "Il sussidiario", a partire dallo scorso mese di marzo 2013, hanno riproposto, con approfondite analisi e con il supporto di numerosi dati e comparazioni a livello europeo, il tema della "smobilizzazione" dell'oro detenuto dalla Banca d'Italia; hanno evidenziato che la proprietà dell'oro presente nel patrimonio della banca d'Italia debba essere innanzitutto ricondotta nella sfera pubblica, senza alcuna artificiosa assegnazione ai soggetti, ora privati, azionisti della Banca d'Italia;

in particolare, gli autori di tali articoli di stampa, partendo da dati inconfutabili che evidenziano come la quantità di oro detenuta dalla Banca d'Italia sia sproporzionata rispetto ad ogni ragionevole funzione, arrivano alla pianificazione, a seguito della smobilizzazione dell'oro detenuto dalla banca centrale, di una sorta di "rapina" messa in atto dalle banche private, le quali si ritroveranno forse 20 miliardi di euro, dapprima contabilmente e poi in liquidità, sottratti alle casse dello Stato;

l'operazione descritta per "sfruttare le riserve auree" e denominata programma "Bankoro", rientrerebbe nelle competenze italiane avendo come primo obiettivo quello di contribuire ad attenuare la crisi. Si legge nell'articolo de "Il Sole-24 ore" del 16 aprile: «A tal fine bisogna partire dalla sistemazione delle partecipazioni private nel capitale di Bankitalia con una operazione che coinvolga le riserve auree detenute dalla Banca d'Italia. Il programma porterebbe a ricapitalizzare le banche italiane che sono (oggi illegalmente) "azioniste" di Bankitalia con effetti positivi su tutto il sistema bancario italiano e per l'erogazione di credito a vantaggio del sistema economico»;

secondo gli autori: «Quelle riserve ufficiali furono accumulate in anni postbellici molto virtuosi dopo una tragica guerra che le aveva pressoché azzerate. Fu una operazione faticosa ma lungimirante ben più di quanto accada adesso nel nostro Paese (e in Europa) che, non privilegiando gli investimenti, fatica molto a risalire la china di una grave crisi interna ed internazionale. Quanto all'utilizzo dell'oro non si tratterebbe per l'Italia del primo caso perché dal giugno 1974 al luglio del 1978 il nostro Paese dette in garanzia 540 tonnellate di riserve auree per ottenere un prestito dalla Germania. Il programma Bankoro è molto meno impegnativo di quello del 1974 quando la regia finanziaria dell'Italia fu di Guido Carli»;

dall'articolo de "Il Sole-24 ore" del 5 settembre si apprende che si tratterebbe di «Un piano che se attuato renderebbe possibile una nuova dignità all'assetto proprietario della Banca d'Italia, la risoluzione degli immobilizzi delle banche italiane nelle quote della stessa (con beneficio della loro patrimonializzazione e della capacità di erogare risorse) e la contribuzione di un importo non marginale (13-14 miliardi di euro) al rilancio della nostra economia che necessita di risorse per le imprese e gli investimenti. Tre sono i dati di fatto da cui la proposta prese le mosse. Il primo è la legge 2005, n. 262 (articolo 19), con la quale fu avviata la riforma dello statuto della Banca centrale, che aveva come termine attuativo il 31 dicembre 2008. Entro la fine del 2008 avrebbe dovuto essere definito, mediante un regolamento, l'assetto proprietario della nostra banca centrale escludendo i soggetti privati dall'"azionariato". Il che non è accaduto in palese violazione della norma. Il secondo fatto è che la Banca d'Italia detiene 79 milioni di once di riserve auree pari a oltre 2.400 tonnellate (superate nell'Uem solo da quelle della Germania pari a 109 milioni). Diversamente da altre banche dell'Eurosistema e dalla Bce, la Banca d'Italia non ha mai venduto oro dal 1999, da quando vige il "Central Bank gold agreement". Il terzo fatto è che il progetto Bankoro non prevede la vendita di oro italiano, ma solo di rivalutarlo per liquidare le partecipazioni dei privati nel capitale della Banca d'Italia. Il perno della proposta sta nella valorizzazione (ripetiamo, non nella vendita) dell'oro iscritto nel bilancio della Banca d'Italia con il suo conferimento a un'entità sua affiliata e il conseguente pagamento alle casse dello Stato dell'imposta sulle plusvalenze che verrebbero realizzate; con tali somme lo Stato si renderebbe acquirente di quelle stesse quote attraverso un veicolo finanziario costituito ad hoc»;

più avanti si legge: «A fronte di questa riserva (oltre 13 miliardi di euro), le banche beneficiate dovrebbero creare un fondo per finanziare investimenti, specie in tecnoscienza e in ricerca e sviluppo, di imprese meritevoli per aumentare la nostra competitività internazionale. La stessa riserva di cui sopra andrebbe ad aumentare per l'intero ammontare il core tier1 delle banche venditrici. Le due maggiori banche migliorerebbero i coefficienti patrimoniali: il core tier1 aumenterebbe a oltre il 14% per Intesa Sanpaolo (contro l'attuale 11,2%) e a quasi il 12% per Unicredito (contro l'attuale 10,8%). Il buy-back nazionale produrrebbe effetti sulla redditività della Banca d'Italia; il pagamento di circa 21 miliardi di euro equivarrebbe a sottrarre poco più della metà dei proventi netti tratti annualmente dai fondi patrimoniali e a dimezzarne l'utile netto. Tenuto conto che il saldo attivo della banca centrale, dopo il modesto prelievo per i dividendi oggi da versare ai partecipanti, andrebbe comunque distribuito al Tesoro dello Stato, si tratta di un onere da ritenere sopportabile per l'iperpatrimonializzazione dell'istituto. Esso manterrebbe un'ampia autonomia finanziaria sia per il livello del patrimonio sia per la residua riserva da rivalutazione dell'oro (59 miliardi di euro) che sarebbe in grado di assorbire ipotetiche cadute di prezzo del metallo giallo superiori al 40%»;

la soluzione prospettata, a giudizio degli interroganti, non sembrerebbe essere una pura ipotesi accademica bensì una vera e propria strategia per sottrarre beni pubblici e ciò verrebbe confermato dalla notizia che la Banca d'Italia ha costituito una commissione di tre saggi che dovranno valutare il patrimonio della Banca, tenendo conto delle riserve auree e, a breve, confermare che il valore delle quote detenute dalle banche è nettamente superiore a quello iscritto a bilancio, e quindi potranno successivamente procedere alla rivalutazione contabile e migliorare enormemente i loro requisiti;

considerato altresì che:

si legge ancora nell'articolo citato del 5 settembre: «La Banca d'Italia, con una circolazione monetaria pari a fine 2012 a 150 miliardi di euro, si presenta con un patrimonio netto di 23,5 miliardi; la Banque de France gestisce una circolazione non molto superiore (170 miliardi), ma esibisce un patrimonio poco sopra i 9 miliardi, mentre la Deutsche Bundesbank, con l'ammontare di 227 miliardi, dispone di capitale e riserve per appena 5,7 miliardi. Tra gli altri, il Banco de España dispone di mezzi propri per 3,8 miliardi di euro su una circolazione di 100 miliardi, mentre la Bank of England al febbraio scorso esibiva anch'essa 3,8 miliardi di euro di patrimonio con 67 miliardi di circolazione (...). I dati citati dimostrano che la Banca d'Italia è "un'impresa" con un patrimonio molto elevato. Con la nascita dell'euro le massime funzioni di istituto centrale sono state trasferite alla Bce e i "mercati" assumono sempre che una banca centrale "non possa" fallire: nel caso di un difetto grave di liquidità essa (o il sistema a cui appartiene) è legittimata a stampare moneta. Una situazione generale di crisi assoluta andrebbe risolta con operazioni straordinarie (ad esempio, il nostro Iri nel 1933); operazioni che non si sono peraltro rivelate necessarie nemmeno in occasione dell'ultima grande crisi. Per dimensione di mezzi propri la Banca d'Italia è atipica nel panorama europeo»;

a parere degli interroganti, in un momento così difficile per l'Italia sarebbe doveroso affrontare il tema del miglior utilizzo delle riserve auree per contribuire alla soluzione dei gravi problemi economici e finanziari, avendo come obiettivo diretto il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, e non quello della sistemazione contabile dei bilanci bancari, al fine di evitare i necessari aumenti di capitale. Le prevedibili obiezioni dell'Europa potrebbero essere smosse ricordando che l'Italia avrebbe bisogno dall'Europa di una par condicio. A tal fine andrebbero ricordati sia gli aiuti statali alle banche degli altri Paesi, sia il fatto che nel periodo 1999-2013 l'eurozona (Banca centrale europea e singoli Paesi) ha venduto riserve ufficiali per quasi 2.000 tonnellate mentre l'Italia non ha venduto nulla;

considerato infine che, a parere degli interroganti:

l'attuale governance della Banca d'Italia, caso unico nel panorama mondiale, rappresenta un problema, implicando altresì un conflitto d'interessi per cui i controllati (le banche) detengono ancora il capitale del loro controllore (la Banca d'Italia), conflitto di interessi che potrebbe proiettare ombre sull'attività dell'Istituto di vigilanza e sulla sua trasparenza, e i suoi vertici dovrebbero intervenire al fine di farsi carico dei suddetti problemi;

rappresentando la Banca d'Italia un asset con un valore implicito così elevato, non si comprendono i motivi per cui tale valore non sia stato mai indicato al mercato, anche allo scopo di consentire alla Commissione nazionale per le società e la borsa di esercitare le sue funzioni con riguardo ad alcuni dei principali soggetti bancari nazionali coinvolti nella vicenda quali banca Intesa e Unicredit, che, oltre ad essere istituti di credito, sono anche società quotate;

dalle operazioni di sfruttamento delle riserve auree di Banca d'Italia non devono risultare privilegiati i soggetti bancari privati, e in primo luogo le fondazioni bancarie, a scapito dei cittadini italiani, a cui di fatto appartengono le riserve stesse, con il grave pregiudizio per le finanze pubbliche,

si chiede di sapere:

quale sia il parere del Governo in merito alle proposte formulate di "smobilizzazione" delle riserve auree di Banca d'Italia formulate in premessa e se non ritenga necessario rafforzare il credito alle imprese piuttosto che elargire favori alle banche;

quali siano i motivi per cui non sia ancora stato emanato il regolamento citato nell'articolo de "Il Sole-24 ore" del 16 aprile 2013 e se non si intenda provvedere con urgenza per dare attuazione alle disposizioni contenute nella legge 28 dicembre 2005, n. 262, in modo da ritrasferire le quote di partecipazione a Banca d'Italia, attualmente in mano a imprese private, allo Stato ed agli enti pubblici, così da sottrarre la banca centrale dalle oligarchie private e ricondurla in ambito pubblico.