Pubblicato il 25 giugno 2013, nella seduta n. 50
CALEO , TOMASELLI , PEZZOPANE , ASTORRE , COLLINA , CUOMO , FABBRI , FISSORE , GIACOBBE , MANASSERO , MIRABELLI , MORGONI , ORRU' , PUPPATO , SOLLO , VACCARI
Il Senato,
premesso che:
nel corso degli ultimi 30 anni si sono verificati numerosi gravi incidenti che hanno interessato le piattaforme marine per l'estrazione di idrocarburi in diverse aree del mondo, dalle coste del Messico alla Norvegia, dalla Nigeria all'oceano Indiano, che hanno avuto effetti molto pesanti e duraturi sull'ecosistema marino. A questi episodi si devono aggiungere gli ulteriori incidenti che hanno interessato le navi-cisterna per il trasporto di idrocarburi, che hanno avuto gli stessi effetti su flora e fauna acquatica, sversando in mare enormi quantitativi di greggio e di scarti di idrocarburi;
nel nostro Paese, il numero delle piattaforme di estrazione di idrocarburi al largo delle coste è notevolmente cresciuto nel corso degli ultimi anni, arrivando ad interessare aree marine già sottoposte ad un forte stress ambientale. Gran parte di queste si trovano nell'Adriatico centro-settentrionale, altre ai margini sud-occidentali del mar Ionio e nelle acque del canale di Sicilia tra Gela e Marina di Ragusa; in particolare, nell'area del medio-alto Adriatico sono attualmente operative circa 50 piattaforme e circa 940 pozzi per l'estrazione del gas, prevalentemente di fronte alle coste venete ed emiliane, e diverse piattaforme di estrazione del petrolio nell'area di fronte alle coste marchigiane ed abruzzesi. Tali piattaforme operano in acque relativamente basse, e comunque ad un massimo 180 metri di profondità, con un alto rischio di impatto inquinante sulle coste in caso di incidente;
l'Adriatico, rispetto agli oceani e ad altri mari ha una struttura morfologica chiusa, simile ad un grande lago, cosa che rende estremamente difficile smaltire l'alto inquinamento prodotto dalle attività di estrazione;
l'estrazione di gas nell'Adriatico, pari a circa 30 miliardi di metri cubi annui, oltre al fenomeno dell'inquinamento marino, con conseguente divieto di balneazione e pesca in prossimità degli impianti, desta forte preoccupazione anche per i fenomeni di subsidenza sulla terraferma, ovvero l'abbassamento del terreno a causa delle estrazioni di idrocarburi, talvolta accompagnato da micro terremoti e dissesto geologico, che rischiano di investire ampie porzioni di territorio prossime alle coste adriatiche;
considerato che:
questo complesso di fattori desta, soprattutto per le popolazioni coinvolte, particolari preoccupazioni legate sia direttamente alla tutela della salute, sia alle attività economiche dell'area, in particolare la pesca e il turismo, che possono essere fortemente danneggiate a causa di eventuali sversamenti in mare di idrocarburi; inoltre, alcune delle piattaforme, sia quelle in funzione che quelle in via di completamento, sono situate a non grande distanza da aree protette e parchi naturali, destinate alla conservazione floro-faunistica, per le quali è necessario mantenere alti standard di tutela;
è necessario scongiurare il pericolo che le ricerche petrolifere nel mare Adriatico abbiano un impatto negativo, in questo momento di grave e perdurante crisi economica, sulle dinamiche dell'economia locale e sul livello occupazionale dell'area, salvaguardando le piccole imprese locali e l'intero indotto economico e produttivo dei settori correlati al turismo e alla pesca, oltre a tutelare l'ambiente nel suo complesso e la fauna marina, che in particolare sulle coste marchigiane ed abruzzesi verrebbero seriamente compromesse in caso di incidenti;
più in generale, la salubrità delle acque marine dell'Adriatico è decisiva per valorizzare e promuovere il turismo e la pesca;
considerato altresì che:
l'ultimo disastro ambientale provocato dall'incidente della piattaforma marina Deepwater horizon, che nel 2010 ha devastato il golfo del Messico, con la distruzione di ambienti marini di particolare pregio al largo e in prossimità delle coste degli Stati Uniti, ha indotto il legislatore italiano a riflettere sull'economicità e sulla sostenibilità ambientale delle estrazioni di idrocarburi in mare, e quindi a rivedere la normativa in materia;
conseguentemente, l'articolo 2 del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, stabilì il divieto di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare all'interno di aree marine o costiere protette a qualsiasi titolo, nonché, all'esterno di tali aree protette per ulteriori 12 miglia marine, mentre, per il solo petrolio, lungo tutta la fascia marina della penisola italiana, entro le 5 miglia dalla costa. Tale divieto riguardava anche i procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo, mentre venivano fatti salvi i titoli già rilasciati alla medesima data;
successivamente, l'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha novellato la normativa relativa alle attività di ricerca, prospezione nonché coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, in particolare il regime autorizzatorio connesso alle medesime attività. La principale novità consiste nella fissazione di un'unica e più rigida fascia di rispetto, per petrolio e per gas, stabilita in 12 miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione. Rimane comunque immutato il divieto con riferimento a tali attività all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette;
tuttavia la novella, che nasce con l'evidente intento di perseguire una maggiore tutela ambientale, ha finito con il generare nuove preoccupazioni, in quanto viene stabilito che il divieto di ricerca ed estrazione faccia salvi i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010. Così disponendo, sono fatti salvi in modo retroattivo i procedimenti autorizzatori in corso prima del 26 agosto 2010;
inoltre, pur confermando che le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), sono fatte salve le attività finalizzate a migliorare le prestazioni degli impianti di coltivazione di idrocarburi, compresa la perforazione, se effettuate a partire da opere esistenti e nell'ambito dei limiti di produzione ed emissione dei programmi di lavoro già approvati;
tali considerazioni sono ancora più rilevanti se queste attività vengono svolte in aree protette istituite o da istituire, come nel caso del parco della Costa teatina previsto dall'articolo 8, comma 3, della legge 23 marzo 2001, n. 93. In particolare, la coltivazione del giacimento di idrocarburi "Ombrina Mare", che in base alla pregressa normativa rientrava tra le attività vietate poiché l'area di progetto si trovava a circa 6,5 chilometri dalla costa, in virtù della nuova normativa può essere praticata perché riferita ad un procedimento concessorio in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010;
considerato infine che:
la normativa che regola in Italia le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, pur fortemente attenta alle ragioni della tutela della salute e dell'ambiente, non ha potuto completamente cancellare le forti preoccupazioni delle comunità locali situate in prossimità delle aree interessate dagli impianti, che temono i rischi di contaminazione della costa adriatica;
la consapevolezza dei rischi e delle conseguenze ambientali che ricadrebbero sul mar Adriatico, date le sue caratteristiche di mare chiuso, nel caso di contaminazione dell'ambiente marino, richiede di valutare con estrema prudenza lo svolgimento di attività di ricerca, esplorazione e coltivazione di idrocarburi a largo delle coste del nostro Paese,
impegna il Governo:
1) a rendere noti alle Camere e all'opinione pubblica i piani di sicurezza e di protezione e le tecniche utilizzate per l'estrazione di idrocarburi nel medio-alto Adriatico;
2) a garantire che siano rispettati da parte delle compagnie che effettuano le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare i più alti standard di sicurezza nello svolgimento delle proprie attività;
3) a valutare con estrema attenzione i rischi per i cittadini residenti nelle aree territoriali interessate, verificando, sulla base di nuovi e aggiornati studi, la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste per effetto delle estrazioni di idrocarburi nell'Adriatico;
4) ad assumere tutte le necessarie iniziative idonee a garantire particolari misure di tutela intese a salvaguardare l'equilibrio biologico dell'ambiente marino adriatico, verificando che non vi siano rischi di sversamenti in mare di idrocarburi collegati alle attività estrattive, al fine di evitare ripercussioni negative sul sistema economico-occupazionale dell'area, in particolare sulle attività legate ai settori della pesca e del turismo;
5) ad individuare misure specifiche ed appropriate di tutela dell'ecosistema marino in relazione alle peculiari condizioni del bacino adriatico e agli elevati rischi cui è esposto, a partire da mirate misure di tutela e sicurezza ambientale che interessino anche i vettori navali che vi operano e vi transitano al fine di minimizzare ogni tipo di impatto inquinante.