Atto n. 3-02240 (con carattere d'urgenza)

Pubblicato il 14 giugno 2011, nella seduta n. 566

MASCITELLI - Al Presidente del Consiglio dei ministri. -

Premesso che:

l'art. 97 della Costituzione repubblicana dispone che "I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione";

il "buon andamento" consiste nel dovere delle amministrazioni pubbliche di garantire ed attuare diritti fondamentali dei cittadini ed i requisiti dell'efficienza, efficacia e produttività sono necessari affinché l'apparato amministrativo soddisfi pienamente i loro bisogni, oltre ai loro diritti fondamentali;

la legge 4 marzo 2009, n. 15 (recante «Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti»), nel delineare i princìpi e i criteri direttivi nella materia della dirigenza pubblica, all'articolo 6, comma 2, lettera a), intende assicurare al dirigente la piena autonomia - e la corrispondente responsabilità - con riguardo alla gestione delle risorse umane di sua competenza, nella sua qualità di "datore di lavoro pubblico". La lettera m), inoltre, impone di rivedere la disciplina delle incompatibilità per i dirigenti pubblici e (con questa ed altre eventuali misure) di rafforzarne l'autonomia sia rispetto alle organizzazioni rappresentative dei lavoratori, sia rispetto all'autorità politica;

tale incompatibilità della dirigenza attiene all'opportuna garanzia della funzione pubblica lato sensu e dovrebbe realizzare i presupposti affinché l'operato del dirigente sia neutrale e disinteressato, non influenzato da interessi diversi da quello pubblico, informato ai criteri della imparzialità e del buon andamento dell'amministrazione;

in attuazione della legge delega n. 15 del 2009 e, dunque, in considerazione dei principi e criteri direttivi in essa contenuti, è stato emanato il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (recante «Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni»). L'art. 52, comma 1, che modifica l'art. 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dispone che: "Non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni";

la ratio della norma - in conformità e aderenza rispetto alla legge delega - è quella di evitare un'eventuale influenza sulla gestione del personale, che può derivare dall'eventuale coinvolgimento, attuale o pregresso, del responsabile della struttura in particolari e significative attività sindacali o politiche o dall'aver avuto con tali organizzazioni particolari rapporti;

il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, in relazione ai numerosi quesiti pervenuti sulla portata della citata norma, è intervenuto con circolare n. 11 del 2010 per fornire alcune indicazioni generali ai fini di un'omogenea applicazione della disposizione medesima. Il predetto Dipartimento ha innanzitutto precisato che la finalità dell'art. 52 del decreto legislativo n. 150 del 2009 è quella di perseguire un'azione amministrativa imparziale e uno svolgimento della funzione dirigenziale scevro da possibili condizionamenti mediante il ricorso a strumenti organizzativi formali. La norma pertanto si riconduce ai principi di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione, che, a prescindere dalla natura dell'attività e anche in presenza di un rapporto di lavoro contrattualizzato, devono essere osservati dalla pubblica amministrazione;

la circolare ha altresì chiarito che la norma in esame riguarda direttamente le amministrazioni dello Stato. Tenuto conto, comunque, che la medesima persegue i valori costituzionali dell'imparzialità e del buon andamento, vale come principio per tutte le altre pubbliche amministrazioni. Dunque, le amministrazioni non statali avrebbero dovuto adeguare il proprio ordinamento al principio enunciato nella disposizione, operando secondo quanto previsto dall'art. 27 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e, in particolare per gli enti locali, dall'art. 111 del decreto legislativo n. 267 del 2000;

per quanto riguarda l'ambito oggettivo di applicazione della norma, al punto 4.1 della circolare citata si chiarisce che la stessa pone il regime di vincolo in riferimento agli incarichi di direzione di "strutture deputate alla gestione del personale", precisando che il termine "deputate" individua in modo chiaro la competenza specifica attribuita in materia di gestione del personale dell'ente interessato. In seguito si legge che "Pertanto, la locuzione è da riferirsi propriamente ai soli uffici cui istituzionalmente, in base agli atti di organizzazione, è attribuita la competenza sulla gestione del personale in ciascuna amministrazione";

in sostanza, la prescrizione riguarda la preposizione alle strutture del personale, siano esse di livello generale o non generale, competenti in materia di reclutamento, trattamento, gestione e sviluppo del personale, relazioni sindacali, secondo le scelte e l'individuazione che ogni amministrazione effettuerà in base alle competenze attribuite dallo specifico ordinamento a ciascuna struttura;

considerato che:

nell'elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (recante «Legge di contabilità e di finanza pubblica»), risultano le agenzie ed enti regionali per la ricerca e per l'ambiente. Ad essi sono evidentemente applicabili le norme di cui in premessa e segnatamente l'art. 52 del decreto legislativo n. 150 del 2009;

con deliberazione n. 189 del 14 marzo 2011, la Giunta regionale abruzzese - ai sensi dell'art. 55 dello statuto della Regione - ha nominato il dottor Mario Amicone, componente del coordinamento regionale del partito del Popolo della Libertà, direttore generale dell'Agenzia regionale per la tutela dell'ambiente (ARTA);

ad avviso dell'interrogante, la Giunta regionale, attraverso tale nomina, ha compiuto una grave, ancorché palese, violazione di legge. Segnatamente, infatti, il Direttore generale dell'Agenzia regionale è esponente politico e soggetto amministrativo unico e responsabile della gestione del personale, sebbene egli ricopra un incarico di vertice burocratico apicale. A tal proposito, l'art. 4 della legge regionale abruzzese n. 27 del 14 luglio 2010 (che ha sostituito l'articolo 10 della Legge Regionale 29 luglio 1998, n. 64) dispone, al comma 1, che: "Il Direttore generale è dotato dei più ampi poteri per l'amministrazione dell'ente, ne ha la rappresentanza legale, sovrintende al suo funzionamento, emana gli atti necessari per realizzarne le finalità e provvede a stabilire le direttive e gli atti di indirizzo". Ai sensi del comma 2, inoltre, il Direttore generale dell'Agenzia adotta la pianta organica e le relative variazioni, nomina i dirigenti delle aree funzionali e i dirigenti dei Distretti provinciali e attribuisce gli incarichi dirigenziali, provvede alla mobilità del personale;

va peraltro segnalato che la legge regionale del 2010 ha abrogato il comma 9 dell'art. 10 della legge regionale n. 64 del 1998, che applicava al Direttore generale dell'ARTA, in quanto compatibili, le disposizioni previste per i Direttori generali delle aziende U.S.L. dal decreto legislativo n. 502 del 1992. Per quanto risulta all'interrogante, tale abrogazione ha, di fatto, neutralizzato - sotto l'esclusivo profilo della legislazione regionale - le incompatibilità funzionali precedentemente ascrivibili al dottor Amicone;

risulta, in definitiva, del tutto evidente come il Direttore generale assuma competenze dirette sull'amministrazione gestionale concreta del personale, rivelando in modo esplicito la violazione, da parte della Giunta regionale, dell'art. 52 del decreto legislativo n. 150 del 2009, in riferimento all'ambito oggettivo e soggettivo del dottor Amicone nell'adozione della sua nomina;

considerato, inoltre, che:

l'art. 126, comma primo, della Costituzione dispone che: "Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge". Le cause di scioglimento menzionate nel comma primo dell'art. 126 della Costituzione rispondono quindi ad un'esigenza di carattere repressivo e sanzionatorio, in caso di atti contrari alla Costituzione, ovvero in dipendenza di gravi violazioni di legge;

l'attività della Giunta regionale, in riferimento alla nomina, concerne sia il profilo dell'illegittimità costituzionale, nonché quello della violazione normativa. La condotta commissiva messa in atto dalla Giunta regionale inficia segnatamente la violazione dell'art. 97 della Costituzione - con riferimento al principio dell'imparzialità della pubblica amministrazione - oltre che la palese violazione dell'art. 52 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150. Lo specifico requisito della "gravità" induce, nel caso, a ritenere che si tratta di una violazione normativa che si riflette direttamente e traumaticamente sul buon andamento dell'attività amministrativa, in violazione dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi dei cittadini abruzzesi;

tale rimozione eteronoma del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale deve essere disposta con decreto motivato dal Presidente della Repubblica. Dal combinato disposto dell'art. 51 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, e dall'art. 2, comma 3, lettera o), della legge 23 agosto 1988, n. 400, si deduce la competenza del Consiglio dei ministri nell'indicare le ragioni della proposta di scioglimento consiliare e di rimozione del Presidente della Giunta regionale. A tal riguardo, la Corte costituzionale nella sentenza n. 101 del 1966 ha riconosciuto al Governo il potere di sciogliere il Consiglio regionale, precisando - sul piano strettamente funzionale - che tale potere non può essere esercitato se non dal Presidente del Consiglio dei ministri;

si chiede di sapere se il Presidente del Consiglio dei ministri non ritenga di valutare l'opportunità di proporre al Consiglio dei ministri, con somma urgenza, la possibilità di scioglimento del Consiglio regionale abruzzese e la rimozione del Presidente della Giunta regionale, ai sensi dell'art. 126, comma primo, della Costituzione e della normativa vigente, in considerazione della condotta commissiva posta in essere dalla Giunta, che inficia i supremi principi costituzionali, oltre alla grave violazione di norme di legge vigenti, che compromettono il godimento dei diritti civili e sociali dei cittadini abruzzesi.