Atto n. 4-04206

Pubblicato il 6 dicembre 2010
Seduta n. 468

BASSOLI , VIMERCATI , ADAMO , BAIO - Al Ministro della salute. -

Premesso che:

la lotta all'Aids va combattuta su più fronti: da un lato investendo sulla ricerca, la cura e la prevenzione, dall'altro informando i cittadini e soprattutto le nuove generazioni su come prevenirne il contagio;

come confermano le statistiche più recenti su questo fronte, la guardia si è molto abbassata: in Italia i casi accertati di Aids sono stati circa 60.500, con 39.000 decessi. I nuovi casi di Aids nel 2008 sono stati 1.400, mentre nel 1996 erano stati 5.653. Dati che potrebbero sembrare confortanti ma che vanno letti tenendo conto che nel nostro Paese, fino al 2008, non esisteva un sistema di notifica nazionale dei casi di sieropositività e dunque non venivano raccolti i numeri delle nuove infezioni ma solo il numero delle persone che si ammalavano di Aids;

in Italia ogni anno ci sono 4.000 nuovi casi di sieropositività, 2.000 solo in Lombardia, per un totale di circa 170.000 persone viventi Hiv positive, di cui circa 22.000 con Aids. Un sieropositivo su quattro non sa di essere infetto e non prendendo precauzioni può infettare i propri partner, a loro volta inconsapevoli. D'altra parte moltissime persone scoprono di aver contratto il virus a malattia conclamata scontando ritardi diagnostici che hanno gravi ripercussioni sulle effettive possibilità di cura della patologia;

queste stime dimostrano come l'Aids non sia un problema confinato nei Paesi in via di sviluppo, ed evidenziano anche gli effetti di una disinformazione in aumento su questo tema. Un'adeguata campagna informativa dovrebbe essere contenuta in un piano specifico che ad oggi, nonostante sia stato richiesto al Ministro in indirizzo, continua a mancare;

anche per queste ragioni la vita di chi è affetto da questa patologia è doppiamente difficile: da un lato deve combattere contro l'avanzare della malattia, dall'altro contro le discriminazioni a cui è sottoposto nel mondo del lavoro come nella vita, a causa di pregiudizi dettati dall'ignoranza e dalla mancanza di informazioni;

in questo difficile contesto il 31 dicembre 2010 verrà chiusa l'Unità operativa di Malattie a trasmissione sessuale di Sesto San Giovanni, che opera in una zona di circa 270.000 abitanti del nord di Milano ma che di fatto ha un bacino di utenza che coincide con la regione Lombardia: nonostante i numeri molto preoccupanti relativi al numero dei contagi nel territorio lombardo, la Regione consente alla ASL di Milano di sradicare dal territorio a nord della città una struttura come l'Unità operativa di Malattie a trasmissione sessuale di Sesto San Giovanni, che da 15 anni cura e previene l'Hiv e le malattie sessualmente trasmesse, rischiando così di favorire di fatto un più facile diffondersi delle infezioni;

per i pazienti che hanno contratto l'Hiv che da anni vengono curati in questa struttura, l'unica alternativa rimarrà quella di vagare per gli ospedali della città di Milano, senza il supporto psicologico e sociale che l'Unità garantiva a questa fragile utenza e con il pericolo di pregiudicare le stesse terapie farmacologiche,

si chiede di sapere quali iniziative di competenza il Ministro in indirizzo intenda intraprendere al fine di bloccare lo sciagurato smantellamento dell'Unità operativa di Sesto San Giovanni e per indurre la Regione Lombardia e la ASL di Milano a garantire il futuro di questa struttura mantenendo integralmente l'attuale attività e ripristinando quelle attività di informazione, svolte negli anni scorsi, negli istituti scolastici e più in generale sul territorio lombardo.