Pubblicato il 14 marzo 2002
Seduta n. 137
BERLINGUER, FASSONE, ANGIUS, PETRINI, BOCO, DEL TURCO, MANIERI, PAGLIARULO, CALVI, MALENTACCHI, TONINI, BASSANINI, PAGANO, MONTICONE, MARITATI, ACCIARINI, DI SIENA, FRANCO VITTORIA, VIVIANI, CHIUSOLI, BONFIETTI, IOVENE, BASSO, BRUNALE, ROTONDO, PIZZINATO, GUERZONI, DE PETRIS, DONATI, MARTONE, ZANCAN. - Al Ministro della giustizia. -
Premesso che:
Adriano Sofri sta espiando una pena di ventidue anni di reclusione per un delitto commesso nel maggio del 1972. Per tale delitto il procedimento è stato avviato nel 1988, ed è stato definito, incluso il giudizio di revisione, il 4 ottobre 2000. Della condanna di cui sopra Sofri ha già espiato un mese e 16 giorni di custodia cautelare, un mese e 6 giorni in custodia cautelare agli arresti domiciliari, due anni e sette mesi in esecuzione prima della sospensione della medesima in forza della richiesta di revisione, e circa venticinque mesi dopo il rigetto della richiesta ora detta: in totale, pertanto, poco meno di cinque anni di reclusione;
tra breve saranno decorsi trent’anni dal delitto per cui è stata pronunciata condanna. Erano circa ventotto allorché il processo si concluse definitivamente. È quindi legittima e doverosa la domanda sulla funzione della pena a tanti anni di distanza dal fatto. Quando l’esecuzione avviene a circa trent’anni dal reato, e soprattutto quando sono mutati radicalmente il contesto e le circostanze in cui si sono verificati i fatti, quando in questi anni il condannato ha dato ripetute, costanti ed inequivoche prove di un alto senso di maturità civile e di responsabilità, allora la pena non può aspirare ad alcuna funzione rieducativa, ma risponde inevitabilmente ad una pura logica retributiva, che non è coerente con le finalità volute dalla Costituzione. Ad evitare tale distorsione nella funzione della pena soccorrono, di regola ed entro i limiti di legge, i benefici penitenziari. Quando neppure essi sono idonei a sanare la situazione (come nel caso in esame), si apre lo spazio giuridico per la concessione della grazia: lo ha evidenziato a suo tempo, pur nel rigoroso rispetto delle proprie competenze, la stessa sentenza della Corte di Cassazione che ha rigettato l’istanza di revisione, scrivendo che «l’enorme lasso temporale decorso dal giorno dell’omicidio ad oggi» (ed altro tempo è ancora passato) produce «un effetto profondamente distorsivo dell’espiazione della pena, la quale ormai attualizza il solo elemento retributivo del delitto, ed è obiettivamente svincolata da ogni esigenza di emenda e di recupero dei condannati alla società»;
per queste ragioni taluno degli scriventi ha presentato a suo tempo al Presidente della Repubblica (non una domanda, né una proposta, alle quali non era giuridicamente legittimato) una sollecitazione all’esercizio d’ufficio del potere di grazia. Tale richiesta, per quanto consta agli scriventi, non ha avuto sino ad ora esiti positivi, nemmeno sotto il profilo di una compiuta istruttoria da parte di codesto Ministro. E’ convinzione degli scriventi che i tempi siano ampiamente maturi per una risposta positiva: lo richiede la biografia del condannato, che già prima del processo, e apprezzabilmente anche in regime di detenzione, ha mostrato costante impegno ed attenzione ai diritti umani violati, alla condizione di tutti coloro che patiscono la pena del carcere (non solo i detenuti, ma anche i loro familiari, gli agenti di custodia, gli operatori tutti), contribuendo attivamente, proprio per l’autorevolezza conseguita, nel mantenere un carattere pacifico e responsabile in tutte le iniziative dei detenuti, anche in periodi di grave tensione carceraria,
si chiede di sapere:
se abbia avuto inizio l’istruttoria relativa alle istanze di grazia a favore di Adriano Sofri;
a che punto sia, in caso di risposta positiva, l’istruttoria stessa;
se il Ministro in indirizzo non ritenga di portarla a compimento con la maggiore sollecitudine possibile.