Atto n. 3-01311

Pubblicato il 6 maggio 2010, nella seduta n. 375
Svolto nella seduta n. 467 dell'Assemblea (25/11/2010)

ZANDA , LEGNINI - Al Ministro dello sviluppo economico. -

Premesso che:

il recente disastro ambientale provocato dalla piattaforma marina di estrazione del petrolio di proprietà della British Petroleum che sta devastando il golfo del Messico, con la distruzione di ambienti marini di particolare pregio al largo e in prossimità delle coste degli Stati Uniti, induce a riflettere sull'economicità e sulla sostenibilità ambientale delle estrazioni di idrocarburi in mare;

nel corso degli ultimi 30 anni si sono verificati numerosi gravi incidenti che hanno interessato le piattaforme marine per l'estrazione di idrocarburi nelle diverse aree marine del mondo provocando disastri ambientali per taluni aspetti irreversibili. Fra i più gravi si rammentano: il disastro della piattaforma Sedco 135F nella baia di Campeche al largo delle coste del Messico (1979) con la fuoriuscita di 3,5 milioni di barili di greggio; l'incidente della piattaforma Ekofisk Bravo al largo delle coste della Norvegia (1977) con la fuoriuscita di 202.000 barili di greggio; la fuoriuscita di 200.000 barili dalla piattaforma Funiwa in Nigeria (1980) che ha devastato il delta del fiume Niger; l'incidente sulla piattaforma Piper Alpha al largo delle coste del Regno Unito (1988) che ha comportato la perdita di 167 lavoratori; infine, i disastri che ha coinvolto le piattaforme High North nell'oceano Indiano (2005) e Usumacinta sempre nel golfo del Messico (2007) che hanno causato la perdita di circa sessanta persone;

a tale bilancio si aggiungono i periodici disastri causati dalle navi-cisterna per il trasporto di idrocarburi che hanno sversato in mare, nel corso degli anni, enormi quantitativi di barili di greggio e di scarti di idrocarburi;

nel nostro Paese il numero delle piattaforme di estrazione di idrocarburi al largo delle coste è notevolmente cresciuto nel corso degli ultimi anni, arrivando ad interessare aree marine già sottoposte ad un forte stress ambientale;

attualmente sono in funzione nei nostri mari circa 115 piattaforme di estrazione di idrocarburi. Gran parte di queste si trovano nell'Adriatico centro-settentrionale, altre ai margini sud-occidentali del mar Ionio e nelle acque del canale di Sicilia tra Gela e Marina di Ragusa;

solo nell'area del medio-alto Adriatico sono attualmente operative circa 50 piattaforme e circa 940 pozzi per l'estrazione del gas, prevalentemente di fronte alle coste venete ed emiliane, e diverse piattaforme di estrazione del petrolio nell'area di fronte alle coste marchigiane ed abruzzesi;

le piattaforme italiane operano in acque relativamente basse, e comunque ad un massimo 180 metri di profondità, ed in caso di incidente avrebbero un immediato impatto inquinante sulle coste;

in Italia, potrebbero diventare operative a breve termine numerose altre piattaforme per l'estrazione di idrocarburi da giacimenti con profondità paragonabile a quella della piattaforma della British Petroleum. Le più recenti scoperte di giacimenti si trovano infatti a profondità superiori a 500 metri. Di questi, gran parte sono al largo della costa siciliana;

all'esame degli uffici tecnici del Ministero dello sviluppo economico sono attualmente depositate numerose richieste di concessione di esplorazione in mare (da notizie raccolte circa 73, cui se ne aggiungono altre 9 in Sicilia) e diverse richieste di coltivazione (circa 11, più 4 in Sicilia) che destano particolari preoccupazioni ambientali, in particolare nelle aree prossime alle isole Tremiti e al largo delle coste pugliesi;

numerose richieste di esplorazione e di coltivazione di giacimenti di petrolio e di gas interessano l'area del medio-alto Adriatico dove sono già presenti evidenti problemi ambientali provocati dall'inquinamento marino prodotto dalle piattaforme e dai fenomeni di subsidenza, oggi causati dall'ingente quantitativo di idrocarburi estratti ed in passato dall'estrazione dell'acqua;

considerato che:

il Mediterraneo risulta essere il mare più inquinato da idrocarburi. La principale causa di inquinamento è dovuta all'alto traffico di navi petroliere. A questa si aggiungono le piattaforme off-shore che nella fase esplorative e in quella estrattiva sversano in mare un quantitativo di idrocarburi valutato nel 10 per cento del totale dell'inquinamento marino da idrocarburi;

la stessa Unione petrolifera nella pubblicazione del 2005 "Traffico petroliero e sostenibilità ambientale" ha denunciato che il Mediterraneo ha una densità di catrame pelagico sui fondali pari a 38 milligrammi per metro quadrato, seguito a distanza dal mar dei Sargassi con 10 milligrammi per metro quadrato e poi dal mar del Giappone con 3,8 milligrammi per metro quadrato;

in tale ambito, particolare preoccupazione desta il mare Adriatico, ritenuto fra i più a rischio dell'area mediterranea, dove all'inquinamento da traffico delle petroliere da e verso le raffinerie di Ravenna e Venezia e da estrazione in mare di idrocarburi si aggiunge il rilevante inquinamento prodotto da fluidi e fanghi generati dalle trivellazioni e dagli scarti degli idrocarburi estratti e lavorati, che nel loro insieme risultano essere letali per la fauna marina, assai diminuita nel corso degli ultimi anni;

l'Adriatico, rispetto agli oceani e ad altri mari ha una struttura morfologica chiusa, simile ad un grande lago, che le impedisce di smaltire l'alto inquinamento prodotto dalle predette attività;

l'ingente estrazione di gas nel medio-alto Adriatico, pari a circa 30 miliardi di metri cubi annui, oltre al fenomeno dell'inquinamento marino, con conseguente divieto di balneazione e pesca in prossimità degli impianti, è causa di preoccupanti fenomeni di subsidenza sulla terraferma che rischiano di investire, in modo del tutto imprevedibile, ampie porzioni di territorio prossime alle coste del Veneto e dell'Emilia-Romagna, compresa la città di Ravenna e il delta del Po, e da ultimo delle Marche e dell'Abruzzo;

a seguito dell'approvazione del decreto-legge 25 luglio 2008, n. 112, anche l'area del golfo di Venezia, finora protetta dal divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi dall'articolo 4 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, potrebbe in futuro divenire un'area interessata da estrazione di idrocarburi. L'articolo 7 del citato provvedimento stabilisce che il divieto si applica fino a quando il Consiglio dei ministri non abbia definitivamente accertato la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste, sulla base di nuovi e aggiornati studi, che dovranno essere presentati dai titolari di permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione,

si chiede di sapere:

se il Governo intenda rendere noti al Parlamento i piani di sicurezza e di protezione e le tecniche utilizzate per l'estrazione di idrocarburi nel medio-alto Adriatico;

se siano stati valutati attentamente i rischi per i cittadini residenti nelle aree territoriali interessate dai fenomeni di subsidenza per effetto delle estrazioni di idrocarburi nell'Adriatico;

se intenda escludere, in modo tassativo e senza eccezione alcuna, il rilascio di nuove autorizzazioni di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nell'intera area del golfo di Venezia, così proteggendo non solo la laguna di Venezia ma anche ad ovest il delta del Po, l'area del ravennate e ad est il tratto di costa fino alla Croazia;

se intenda salvaguardare l'equilibrio biologico dell'area marina delle isole Tremiti e delle vicine coste pugliesi impedendo il rilascio di nuove autorizzazioni di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi recentemente richieste al Ministero dello sviluppo economico dalla società irlandese Petroceltic e dalla Northern Petroleum;

se intenda evitare, alla luce del recente disastro ambientale nel golfo del Messico, il rilascio di autorizzazioni per la prospezione, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi su giacimenti con profondità superiori a quelle attualmente oggetto di estrazione che in caso di incidenti sono causa di gravi disastri ambientali, assolutamente insostenibili per il mare Mediterraneo.