Atto n. 1-00261

Pubblicato il 7 aprile 2010
Seduta n. 356

BELISARIO , BUGNANO , GIAMBRONE , CAFORIO , CARLINO , DE TONI , DI NARDO , LANNUTTI , LI GOTTI , MASCITELLI , PARDI , PEDICA

Il Senato,

premesso che:

il 23 marzo 2010 è entrato in vigore il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, recante "Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché misure compensative e campagne informative al pubblico, a norma dell'articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99";

il decreto legislativo in questione, che prevede, fra le altre cose, la costituzione di una Agenzia per la sicurezza nucleare (ASN), precisa che la costruzione e l'esercizio degli impianti nucleari sono considerati attività di preminente interesse statale e come tali soggette ad autorizzazione unica rilasciata, su istanza dell'operatore, con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e trasporti. Nel decreto viene disciplinato l'iter di adozione del documento programmatico nucleare e, in coerenza con lo stesso, dei criteri tecnici, con particolare riferimento agli aspetti concernenti la popolazione, i fattori socio-economici, le risorse idriche, i fattori meteorologici, la biodiversità, la geofisica, la geologia, i valori paesaggistici ed architettonici-storici, l'accessibilità, la sismo-tettonica, la distanza da aree abitate e da infrastrutture di trasporto, la strategicità dell'area per il sistema energetico e le caratteristiche della rete elettrica nonché i rischi potenziali indotti da attività umane nel territorio circostante;

ai sensi dell'articolo 29, comma 15, della legge 23 luglio 2009, n. 99, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e l'innovazione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della citata legge è approvato lo statuto dell'agenzia, che stabilisce i criteri per l'organizzazione, il funzionamento, la regolamentazione e la vigilanza della stessa in funzione dei compiti istituzionali definiti dalla legge. Il medesimo articolo prevede che l'Agenzia sia costituita mettendo insieme il personale di due uffici pubblici esistenti e senza oneri aggiuntivi, ossia l'attuale dipartimento nucleare, rischio tecnologico e industriale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e l'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente (ENEA). Attualmente il decreto ministeriale relativo all'Agenzia per la sicurezza nucleare non risulta ancora adottato, aspetto certo di non poco conto per un soggetto al quale il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, attribuisce compiti di primaria importanza, a partire dall'effettuazione, su richiesta degli operatori che intendono proporre la realizzazione di impianti nucleari, delle verifiche per la predisposizione del rapporto preliminare di sicurezza. L'agenzia è competente per il controllo delle regolarità formali delle istanze, complete di documentazione, per la certificazione dei siti e per la sorveglianza sul corretto adempimento, da parte del titolare di autorizzazione unica, di tutte le prescrizioni contenute nell'autorizzazione stessa. Essa, in caso di inosservanza delle prescrizioni indicate, ha la facoltà di sospendere le attività rientranti nell'autorizzazione unica;

dal 23 marzo 2010 scattano quindi le scadenze previste dall'iter procedurale contenuto nel provvedimento, a cominciare dall'adozione della "Strategia nucleare" da parte del Consiglio dei ministri entro il 23 giugno 2010, consistente in un documento programmatico proposto del Ministro dello sviluppo economico, con il quale saranno delineati gli obiettivi strategici in materia nucleare, tra i quali la dimostrazione dell'affidabilità dell'energia nucleare, in termini di sicurezza nucleare ambientale e degli impianti, di eventuale impatto sulla radioprotezione della popolazione e nei confronti dei rischi di proliferazione, nonché il numero degli impianti che verranno realizzati, la relativa potenza complessiva ed i tempi attesi di costruzione e di messa in esercizio degli stessi. Il decreto prevede che siano individuati i parametri relativi alle caratteristiche ambientali e tecniche cui devono rispondere le aree del territorio nazionale per essere idonee ad ospitare un sito nucleare, sulla base dei contributi e dei dati tecnico-scientifici predisposti da enti pubblici di ricerca, parametri che saranno poi definitivamente approvati dal Governo unitamente al documento programmatico sulla strategia nucleare, sulla base di una procedura di consultazione pubblica ed istituzionale che coinvolgerà tutti gli enti e i soggetti interessati, e sulla base della valutazione ambientale strategica (VAS);

dal momento in cui saranno emanati i predetti parametri di riferimento relativi alle caratteristiche ambientali e tecniche, su proposta però dell'ASN, ciascun operatore interessato ad entrare nella partita del nucleare avrà tre mesi per avviare il procedimento di autorizzazione unica con la presentazione al Ministero dello sviluppo economico e all'ASN dell'istanza per la certificazione di uno o più siti da destinare all'insediamento di un impianto nucleare, il cui iter si completa entro 90 giorni;

dopo il completamento di questa procedura potrà avvenire l'individuazione dei siti, ad iniziativa e sulla base di specifica richiesta degli operatori interessati. All'ASN, in particolare, spetterà valutare la rispondenza dei siti proposti ai criteri ed ai parametri individuati, e procedere alla conseguente certificazione degli stessi. Terminata questa prima fase la partita si sposterà sul piano del dialogo con le Regioni. I siti certificati saranno successivamente sottoposti dal Governo all'intesa con la Regione interessata e con la Conferenza unificata, ai fini dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio delle centrali;

secondo il Ministro dello sviluppo economico il programma nucleare italiano procede nei tempi previsti ed in particolare il Governo sta creando le condizioni necessarie affinché le imprese possano avviare i lavori per la costruzione della prima centrale nucleare entro il 2013. Tuttavia, a riprova del fatto che il meccanismo riguardante il programma nucleare è particolarmente complesso e delicato - dal momento che interseca numerose competenze e livelli istituzionali - e non si può quindi ragionevolmente procedere attraverso forzature unilaterali, si rileva che lo stesso decreto legislativo, nel quale sono indicati i criteri per l'individuazione dei siti su cui potranno essere costruite le nuove centrali nucleari e sono determinati i finanziamenti compensativi per i territori che accetteranno i nuovi impianti - approvato dal Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2010, vale a dire il giorno successivo all'espressione del parere delle competenti Commissioni parlamentari - è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 55 dell'8 marzo 2010, supplemento ordinario n. 45, ed è datato 15 febbraio, quindi il giorno stesso della scadenza della delega conferita con la citata legge 23 luglio 2009, n. 99;

sullo schema di decreto in questione sono stati sollevati numerosi e rilevanti dubbi in sede consultiva, sia presso la Conferenza delle Regioni che da parte di altri soggetti a tal fine interpellati;

si rileva, ad esempio, che sullo schema di decreto legislativo in questione, in data 8 febbraio 2010 il Consiglio di Stato ha espresso un articolato parere contenente numerose osservazioni critiche sul testo, sottolineando anzitutto l'assenza di elementi per valutare la scelta del governo di avvalersi della procedura di urgenza ai fini dell'adozione del decreto ai sensi dell'ordinamento vigente. Ancorché il legislatore delegante menzioni espressamente, come finalità del provvedimento delegato, il "riassetto normativo" delle disposizioni in materia di produzione di energia elettrica nucleare, il Consiglio di Stato ha rilevato infatti che l'intervento in esame delinea, in realtà, una disciplina rielaborata pressoché integralmente ex novo. Ancorché la materia della produzione di energia elettrica nucleare rientri, in parte (ad eccezione dei profili di tutela ambientale), fra quelle di legislazione concorrente, nelle quali allo Stato è riservata la determinazione dei princìpi fondamentali, il Consiglio di Stato rileva che il legislatore delegante ha ritenuto di avocare alla legislazione statale la disciplina delle funzioni amministrative, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, e di tale scelta (alcuni profili della quale sono attualmente all'esame della Corte costituzionale) non può che prendersi atto;

il Consiglio di Stato ha preliminarmente osservato che non risultava comunicato, alla data dell'esame della questione, il parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, la cui previa acquisizione avrebbe costituito, alla stregua del dettato dell'art. 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99, un atto prodromico essenziale per l'esercizio della specifica potestà delegata; né risultava dagli atti trasmessi se il Presidente del Consiglio dei ministri si fosse avvalso o meno della dichiarazione di urgenza, che, ai sensi dell'art. 2, comma 5, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, avrebbe consentito la consultazione successiva. Il Consiglio ha ritenuto, peraltro, di rendere ugualmente l'avviso ad esso richiesto, in considerazione dell'imminente scadenza del termine per l'esercizio della delega da parte del Governo, non senza sottolineare, però, che lo schema di decreto legislativo è stato trasmesso a ridosso di detta scadenza così da non consentire al Consiglio di Stato di disporre integralmente dello spatium deliberandi che il legislatore ha inteso riservare ad esso in ragione della delicatezza e della rilevanza della funzione consultiva affidatagli;

oltre ai punti sollevati dal Consiglio di Stato, è importante prendere atto delle complesse obiezioni avanzate dalle Regioni nella complessa fase consultiva sullo schema di decreto, nonché dei rilievi fatti dalle stesse dopo la definitiva approvazione dello schema da parte del Consiglio dei ministri. Il Presidente della Conferenza delle Regioni ha infatti rilevato che il via libera del Consiglio dei ministri al decreto legislativo sui criteri per la localizzazione dei siti nucleari è un fatto che presenta aspetti di incoerenza istituzionale ed è certamente grave non aver considerato la necessità di una forte concertazione con le Regioni su tale materia. Molte Regioni avevano già espresso criticità rispetto alla delega al Governo, né può essere sottovalutato il fatto che abbiano deciso di ricorrere alla Corte costituzionale su tale provvedimento. Un giudizio che poi è stato ribadito anche in occasione dell'ultima Conferenza delle Regioni quando è stato analizzato il testo del decreto legislativo varato dal Consiglio dei ministri, e la maggioranza delle Regioni ha espresso un parere contrario. Al di là del giudizio di merito, secondo la Presidenza della Conferenza delle Regioni, restano aspetti piuttosto preoccupanti di natura istituzionale avendo il Governo unilateralmente deciso, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per la semplificazione normativa, di licenziare il decreto legislativo in assenza di un parere della Conferenza unificata e senza la necessaria concertazione istituzionale;

il 27 gennaio 2010 la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha infatti espresso parere contrario sullo schema di decreto legislativo ribadendo che risulta pregiudiziale, per qualsiasi ulteriore sviluppo del programma nucleare, risolvere le problematiche costituzionali degli articoli relativi alla certificazione dei siti, all'autorizzazione unica per gli impianti nucleari e all'autorizzazione unica per il deposito nazionale in cui viene prevista la possibilità che il Governo possa superare la mancata intesa della singola Regione, in relazione anche agli articoli 25 e 26 della legge 23 luglio 2009, n. 99. Tali previsioni, ad avviso della Conferenza, risultano in palese contrasto con la lettera dell'art. 120 della Costituzione e dovrebbero essere sostituite da differenti procedure che permettano di risolvere gli eventuali contrasti istituzionali con forme concertative non lesive delle prerogative costituzionali delle Regioni;

nel parere reso dalla Conferenza delle Regioni si sottolinea inoltre la necessità che ogni atto normativo, attuativo o integrativo dello schema in esame dovrà essere adottato previa acquisizione dell'intesa della Conferenza unificata. Passando al contenuto dell'articolato, il parere evidenzia anche l'assenza, sia nel percorso di formazione del provvedimento e degli atti ad esso collegati che nel procedimento autorizzatorio, del coinvolgimento dei Ministeri della salute e dell'interno (per le competenze legate agli aspetti di salute e per la sicurezza in capo al dipartimento dei Vigili del fuoco). Inoltre, si rileva che nello schema di decreto non viene mai fatto esplicitamente riferimento all'obbligo, da parte del titolare dell'autorizzazione unica, di effettuare attività di monitoraggio radiologico ambientale così come invece previsto dalla normativa vigente sulla radioprotezione (articolo 54 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230). Non si ritiene, a tal fine, sufficiente il generico riferimento alla presenza nell'autorizzazione di "prescrizioni per garantire la tutela dell'ambiente", mentre la necessità di coordinamento con le altre norme interessate (decreto legislativo n. 230 del 1995 e decreto legislativo n. 152 del 2006) richiederebbe un'ulteriore approfondita analisi;

la legge delega 23 luglio 2009, n. 99, e il decreto delegato emanato sembrano inoltre discostarsi dai criteri più volte sanciti dalla Corte costituzionale, poiché prevedono che il mancato accordo della Regione sulla decisione statale - in merito alla localizzazione o autorizzazione degli impianti nucleari - possa essere superato con un decreto del Presidente della Repubblica. A riguardo, occorre ricordare che la giurisprudenza costituzionale, a partire dalla sentenza n. 303 del 2003 relativa alla cosiddetta legge obiettivo (legge n. 443 del 2001), ha dato un'interpretazione dinamica della competenza concorrente e ha abbandonato l'idea di un riparto di competenze cristallizzato in senso verticale definendo un sistema di relazioni costruito sulle cosiddette "intese" tra Stato e Regioni e sul principio di leale collaborazione. Inoltre, secondo quanto previsto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 6 del 2004 relativa al decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 (il cosiddetto "decreto sblocca centrali", convertito in legge 9 aprile 2002, n. 55, recante "Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale"), risulta indispensabile una ricostruzione procedimentale che tenga conto dell'esercizio del potere legislativo di allocazione delle funzioni amministrative secondo i princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza;

appare dunque evidente che il testo definitivo del decreto legislativo n. 31 del 2010 non ha risolto i nodi costituzionali sollevati dalle Regioni. In particolare, il decreto interviene su una materia nella quale si è già avuta normazione regionale, peraltro di segno diametralmente contrario. Ne è prova il fatto che il Consiglio dei ministri del 3 febbraio 2010, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, d'intesa con il Ministro per gli affari regionali, abbia deciso di impugnare davanti alla Corte costituzionale le leggi regionali di Puglia, Campania e Basilicata che vietano l'installazione di impianti nucleari nei loro territori. Secondo il Governo le tre leggi impugnate intervengono autonomamente in una materia concorrente (produzione, trasporto e distribuzione di energia elettrica) e non riconoscono l'esclusiva competenza dello Stato in materia di tutela dell'ambiente, della sicurezza interna e della concorrenza (articolo 117, comma secondo, della Costituzione). Le leggi regionali impugnate dal Governo sono state approvate prima del decreto legislativo n. 31 del 2010, ed in particolar nel periodo dicembre 2009 - gennaio 2010;

la Regione Puglia, con legge 4 dicembre 2009, n. 30, recante "Disposizioni in materia di energia nucleare", ha stabilito che il territorio della regione è precluso all'installazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché di depositi di materiali e rifiuti radioattivi. La decisione è stata assunta tenendo conto degli indirizzi di politica energetica regionale, nazionale e dell'Unione europea con lo scopo di promuovere lo sviluppo sostenibile del sistema energetico regionale garantendo la rispondenza fra energia prodotta, il suo uso razionale e la capacità di carico del territorio e dell'ambiente;

il comma 2 dell'articolo 1 della legge 21 gennaio 2010, n. 2 (legge finanziaria per il 2010) della Regione Campania stabilisce che il territorio regionale è precluso all'installazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione e di stoccaggio del combustibile nucleare nonché di depositi di materiali radioattivi. Il comma dedicato prosegue indicando un programma di interventi, da varare entro 30 giorni, per migliorare l'efficienza energetica pubblica;

la Regione Basilicata, con legge 19 gennaio 2010, n. 1, all'articolo 8, stabilisce che nel territorio lucano non possono essere installati impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione di combustibile nucleare, di stoccaggio di combustibile irraggiato e di rifiuti radioattivi, né depositi di materiali e rifiuti radioattivi. La decisione è stata assunta in ossequio ai principi di sussidiarietà, ragionevolezza e leale collaborazione, in mancanza di intesa tra lo Stato e la Regione Basilicata;

la contrarietà al piano nucleare è venuta in realtà da quasi tutte le Regioni, tranne la Lombardia, il Friuli-Venezia Giulia e il Veneto, a cominciare dai ricorsi alla Corte Costituzionale presentati da 11 amministrazioni (Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Umbria, Lazio, Puglia, Liguria, Marche, Piemonte, Molise e Toscana), che hanno rilevato profili di incostituzionalità nelle procedure previste per la definizione dei siti e per i processi autorizzativi delle centrali. Altre quattro regioni (Veneto, Campania, Sardegna e Sicilia) hanno dato il loro sostegno alle Regioni ricorrenti. In Sicilia, l'assemblea regionale ha detto no al nucleare con un ordine del giorno, approvato all'unanimità;

la Commissione attività produttive - energia della Conferenza delle Regioni, già in sede di coordinamento tecnico del 12 gennaio 2010 (osservazioni preliminari in merito allo schema di decreto legislativo di attuazione dell'articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99, in materia di energia nucleare) ha ritenuto prioritario sottolineare come lo schema di decreto legislativo non faccia alcun qualsiasi riferimento alla chiusura della passata stagione nucleare e allo stoccaggio dei rifiuti pregressi. In quella sede si è richiamata proprio la circostanza che molte Regioni hanno proposto ricorso per la dichiarazione di illegittimità costituzionale con particolare riferimento agli articoli 25, comma 2, e 26, comma 1, della legge 23 luglio 2009, n. 99, relativi alla materia nucleare in riferimento agli articoli 3, 117, 118 e 120 della Costituzione;

in generale, le Regioni ricorrenti lamentano che la legge di delega non preveda il rilascio dell'autorizzazione alla localizzazione e realizzazione degli impianti nucleari previa intesa con la Regione territorialmente competente, bensì rinvii ad una mera intesa con la Conferenza unificata. Le Regioni hanno rimarcato soprattutto la necessità di prevedere un'intesa "forte" tra Stato e Regione interessata, da ricercare in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, non potendosi prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle parti coinvolte. Fatte salve le considerazioni illustrate nei ricorsi, il tavolo tecnico preliminare riscontra in più parti violazioni palesi della normativa vigente, unitamente ad aspetti di eccesso di delega, sottolineando l'assenza di qualsiasi informazione circa possibili obiettivi di sostenibilità ambientale da prendere in considerazione nei successivi momenti valutativi (criteri di localizzazione e VIA dei singoli progetti) e nel documento strategico nucleare che è parte integrante della strategia energetica nazionale, la cui definizione è prevista in ultimo dall'art. 7 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008. In primo luogo va evidenziato che tale previsione non è contemplata nell'ambito dei principi e criteri direttivi dettati dall'articolo 25, comma 2, della legge n. 99 del 2009. Inoltre, appare indubbiamente contraddittorio che la strategia nucleare, per la quale è previsto uno specifico procedimento di approvazione, faccia parte di una più ampia strategia energetica nazionale non ancora adottata e comunque oggetto di una procedura differente. Al riguardo si paventa il rischio che lo stralcio di piano sul nucleare, considerata l'urgenza attribuitagli dal Governo, di fatto anticipi la definizione del documento strategico complessivo, rendendo con ciò altamente critica sul piano generale una sua valutazione sia nel novero delle strategie proposte in campo energetico, sia nell'ambito della prevista VAS. Infatti, lo schema di decreto prevede che il documento strategico, insieme con uno schema di parametri ambientali e tecnici per l'individuazione delle aree idonee alla successiva individuazione e certificazione di siti per la localizzazione degli impianti nucleari, venga sottoposto a VAS, peraltro senza prevedere la contestuale applicazione di tali criteri al territorio e la conseguente definizione di una proposta di aree idonee con il corredo delle necessarie ipotesi alternative. Ne deriva così un salto logico e procedurale: dai parametri di riferimento per la definizione delle aree idonee alla localizzazione si passa direttamente all'autorizzazione degli impianti nucleari, senza alcun passaggio intermedio di definizione e valutazione d'insieme del risultato dell'applicazione dei parametri stessi. Ulteriore elemento di possibile eccesso di delega è rappresentato dalla previsione di attività per il riprocessamento del combustibile irraggiato (art. 18, comma 2) non previste nella dettagliata elencazione dell'articolo 25 della legge n. 99 del 2009;

in quella stessa sede, con riferimento al quadro autorizzativo e procedurale e con specifico riferimento agli istituti della partecipazione, si evidenziava come da un lato si prevedesse il ricorso all'intesa della Regione interessata territorialmente, a conclusione del processo di certificazione del sito proposto da un operatore di mercato e operato dall'Agenzia per la sicurezza nucleare, salvo poi prevedere il superamento di un eventuale diniego regionale mediante il ricorso, in ultima istanza, ad un decreto del Presidente della Repubblica. Per altro verso veniva previsto il successivo ricorso all'intesa della Conferenza unificata sull'elenco totale dei siti, salvo poi disporre il superamento della mancata intesa mediante deliberazione motivata del Consiglio dei ministri, espressa sulla base delle intese già raggiunte con le singole Regioni ovvero surrogate tramite decreto del Presidente della Repubblica. Si segnalava, tra tutte, l'incongruenza legata al ruolo attribuito all'Agenzia per la sicurezza nucleare nell'ambito del procedimento autorizzativo. A tale organismo tecnico, infatti, lo schema di decreto attribuisce il ruolo di soggetto a cui i diversi enti competenti rilasciano le singole autorizzazioni (tale soggetto dovrebbe, viceversa, coincidere con il Ministero dello sviluppo economico) in vista della redazione del parere vincolante dell'Agenzia, definito nel rispetto dell'esito della procedura di VIA istruita dal competente Ministero dell'ambiente. Analoghe censure erano sollevate con riferimento al procedimento relativo alla costruzione ed esercizio del "Deposito nazionale", evidenziando che lo schema di decreto non era assolutamente coordinato con la normativa vigente per quanto attiene al coinvolgimento delle amministrazioni interessate nei procedimenti autorizzativi, apparendo "riduttivo" rispetto all'attuale assetto normativo, comprese le norme del decreto legislativo n. 230 del 1995 in recepimento di direttive Euratom, tale da innescare un notevole contenzioso;

il tavolo tecnico preliminare segnalava - infine - che lo schema di decreto nulla prevedeva in termini di monitoraggio ambientale degli impianti indipendentemente dalle risorse necessarie ad effettuarli. Rimarcando il vulnus al principio di leale collaborazione istituzionale dimostrato con la trasmissione dello schema di decreto a ridosso della scadenza dei termini di delega, con la conseguente contrazione dei tempi necessari per approfondire con la dovuta diligenza il testo, si sottolineava la necessità che lo stesso fosse esaminato con il coinvolgimento dei soggetti istituzionali a diverso titolo competenti, considerando anche le connesse ricadute di carattere ambientale che tali disposizioni comportano;

ciò premesso, rispetto alle complesse fasi di formazione dei pareri tecnici sullo schema di decreto legislativo attuativo, è opportuno richiamare le numerose eccezioni di costituzionalità, attualmente pendenti davanti alla Corte costituzionale, sollevate dalle Regioni con riguardo alla legge delega n. 99 del 2009;

in particolare risultano depositati presso la cancelleria della Corte costituzionale undici ricorsi:

il ricorso n. 69, depositato il 2 ottobre 2009 dalla Regione Toscana, con cui si impugna la norma contenuta all'art. 25, comma 2, lettere a), f), g), h), della legge 23 luglio 2009, n. 99, per violazione degli articoli 117, 118 e 120 della Costituzione, anche sotto il profilo della lesione del principio di leale collaborazione;

il ricorso n. 70, depositato il 5 ottobre 2009 dalla Regione Umbria, per dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge 23 luglio 2009, n. 99, relativamente alle seguenti disposizioni: art. 25, comma 2, lett. a); art. 25, comma 2, lett. f); art. 25, comma 2, lett. g); art. 26, comma 1, per violazione dell'art. 117, commi secondo e terzo, della Costituzione; dell'art. 118, primo comma, della Costituzione; dell'art. 120 della Costituzione; del principio di leale collaborazione;

il ricorso n. 71, depositato il 5 ottobre 2009 dalla Regione Liguria, per dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge 23 luglio 2009, n. 99, relativamente alle seguenti disposizioni: art. 25, comma 2, lett. a); art. 25, comma 2, lett. g); art. 27, comma 27, per violazione dell'art. 117, commi secondo e terzo, della Costituzione; dell'art. 118, primo comma, della Costituzione; del principio di leale collaborazione;

il ricorso n. 72, depositato il 5 ottobre 2009 dalla Regione Puglia, per l'impugnazione della legge 23 luglio 2009, n. 99, con particolare riferimento all'art. 25, comma 2, lett. g), per violazione del Titolo V della Costituzione e dei princìpi di leale cooperazione e sussidiarietà;

il ricorso n. 73, depositato il 25 settembre 2009 dalla Regione Basilicata, per la declaratoria di illegittimità costituzionale degli articoli 25, punti 1 e 2, lett. g), e 26, comma 1, della legge 23 luglio 2009, n. 99, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione e dei princìpi di leale collaborazione, sussidiarietà ed adeguatezza;

il ricorso n. 75, depositato il 7 ottobre 2009 dalla Regione Piemonte, per la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 25, comma 2, dell'art. 26, comma 1, e dell'art. 27, comma 27, della legge 23 luglio 2009, n. 99, per violazione degli artt. 117, 118, 120 e 3 della Costituzione e dei princìpi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza, leale collaborazione e ragionevolezza;

il ricorso n. 76, depositato il 7 ottobre 2009 dalla Regione Lazio, per questione di legittimità costituzionale avverso la legge 23 luglio 2009, n. 99, limitatamente agli artt. 25, 26 e 27 per violazione degli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione;

il ricorso n. 77, depositato il 7 ottobre 2009 dalla Regione Calabria, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'articolo 25, comma 2, lettere g) ed h), della legge 23 luglio 2009, n. 99, per violazione degli articoli 117, terzo comma, 118 e 120 della Costituzione, del principio di leale collaborazione, nonché degli articoli 3 e 97 della Costituzione, ed in particolare del generale canone di ragionevolezza delle leggi;

il ricorso n. 82, depositato il 7 ottobre 2009 dalla Regione Marche, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge 23 luglio 2009, n. 99, in particolare, comma 2, lettere a), f), g), h); nonché art. 26, comma 1, per violazione degli articoli 3, 117, terzo e sesto comma, 118 e 120, secondo comma, della Costituzione, nonché del principio di «leale collaborazione»;

il ricorso n. 83, depositato il 7 ottobre 2009 dalla Regione Emilia-Romagna, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge 23 luglio 2009, n. 99, in relazione all'articolo 25, comma 2, lettere a), f), g) ed h), per violazione degli articoli 117, terzo comma, 118 e 120 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione; e dell'art. 26, comma 1, della medesima legge sopra citata, nella parte in cui affida al CIPE il compito di definire, mediante delibera, le «tipologie degli impianti per la produzione di energia elettrica nucleare che possono essere realizzati nel territorio nazionale», ed in subordine nella parte in cui richiede per l'adozione della delibera del CIPE il previo parere della Conferenza unificata «che si esprime entro sessanta giorni dalla richiesta, trascorsi i quali il parere si intende acquisito», senza prevedere l'intesa con le singole regioni interessate e con la Conferenza unificata, per violazione dell'articolo 117 della Costituzione, commi secondo, terzo e sesto; dell'articolo 118 della Costituzione; dell'articolo 120 della Costituzione; del principio di leale collaborazione;

il ricorso n. 91, depositato il 16 ottobre 2009 dalla Regione Molise, per la declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 25 e 26 della legge del 23 luglio 2009, n. 99, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.

nel merito delle eccezioni sollevate, le Regioni ricorrenti eccepiscono principalmente l'incostituzionalità della norma contenuta alla lettera a) dell'articolo 25, comma 2, relativamente all'assenza di previsione di un'intesa o analoga forma di raccordo con le Regioni territorialmente interessate al momento della dichiarazione dei siti individuati per la localizzazione degli impianti come aree di interesse strategico nazionale. La materia della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia rientra, infatti, nella potestà legislativa concorrente, come pure è indubbio che l'individuazione delle aree in cui allocare gli impianti in oggetto interferisce con materie di competenza regionale, come il governo del territorio, la tutela della salute, il turismo e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali. Dovrebbe trovare perciò applicazione, ad avviso dei ricorrenti, il principio più volte affermato dalla Corte costituzionale, per cui quando lo Stato decide di allocare a se stesso ai sensi dell'art. 118 della Costituzione la titolarità di funzioni amministrative, dettando quindi anche la necessaria disciplina legislativa incidente in ambiti rientranti nella competenza regionale, deve essere prevista l'intesa con le Regioni, a salvaguardia delle loro attribuzioni costituzionalmente previste (sentenze n. 303 del 2003; n. 6 del 2004; n. 383 del 2005);

sempre ad avviso delle Regioni ricorrenti, la previsione contenuta alla lettera f) dell'articolo 25, comma 2, che disciplina il potere sostitutivo a fronte della mancata intesa, viene ritenuta incostituzionale per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, così come interpretati dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004: l'intesa, infatti, è la tipica manifestazione del consenso regionale ad un atto e costituisce pertanto l'esercizio di un potere di autonomia che, per natura, non è sostituibile. Per questo la norma appare particolarmente lesiva delle attribuzioni regionali perché, di fatto, vanifica la previsione dell'intesa, rimettendo allo Stato la possibilità di decidere unilateralmente. La disposizione viola altresì l'art. 120 della Costituzione. Infatti, come rilevato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 383 del 2005, il secondo comma dell'art. 120 della Costituzione non può essere applicato ad ipotesi, come quella prevista dalla disciplina impugnata, nelle quali l'ordinamento costituzionale impone il conseguimento di una necessaria intesa fra organi statali e organi regionali per l'esercizio concreto di una funzione amministrativa attratta in sussidiarietà al livello statale in materie di competenza legislativa regionale e nella perdurante assenza di adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni nell'ambito dei procedimenti legislativi dello Stato,

come evidenziato nei ricorsi delle Regioni, l'art. 25, comma 2, lettera g), pone come criterio direttivo della delega che il legislatore delegato preveda «che la costruzione e l'esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica nucleare e di impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi o per lo smantellamento di impianti nucleari a fine vita e tutte le opere connesse siano considerati attività di preminente interesse statale e, come tali, soggette ad autorizzazione unica rilasciata, su istanza del soggetto richiedente e previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti». Come risulta dal testo, è previsto che l'autorizzazione unica (che a termini del principio stabilito con la successiva lettera h), «sostituisce ogni provvedimento amministrativo, autorizzazione, concessione, licenza, nulla osta, atto di assenso e atto amministrativo, comunque denominati», ad eccezione delle procedure di valutazione di impatto ambientale e di valutazione ambientale strategica), sia assunta con l'intesa della Conferenza unificata. Tale previsione si rivela ugualmente illegittima nella parte in cui essa non pone il principio, costituzionalmente dovuto, secondo il quale la localizzazione dell'impianto richiede altresì l'intesa della Regione nel cui ambito esso deve essere realizzato;

ad avviso delle Regioni ricorrenti, è pacifico che il coinvolgimento della Conferenza non può essere ritenuto equivalente o sostitutivo di quello della Regione interessata, la necessità del consenso di questa in relazione alla localizzazione di grandi opere, la cui realizzazione imprima al territorio una caratterizzazione tanto forte da incidere sulla sua complessiva destinazione e su tutti gli interessi che in esso insistono, è implicita nel sistema di applicazione del principio di sussidiarietà sin dalla sentenza fondante n. 303 del 2003 della Corte costituzionale, nella quale espressamente si afferma che «per giudicare se una legge statale che occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione dei principi di sussidiarietà e adeguatezza diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un'intesa fra lo Stato e le regioni interessate, alla quale sia subordinata l'operatività della disciplina»: ed è esattamente questo valore che nella stessa sentenza viene attribuito all'intesa regionale rispetto al Programma delle opere strategiche approvato dal CIPE in base alla legge 21 dicembre 2001, n. 443. Questo principio è stato ribadito proprio in relazione alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia elettrica» dalla già ricordata sentenza n. 6 del 2004, nella quale la legittimità costituzionale della normativa statale impugnata è stata affermata proprio in ragione della circostanza che «l'autorizzazione ministeriale per il singolo impianto "è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, d'intesa con la regione interessata"». In questa occasione la Corte ha sottolineato che si deve trattare di «un'intesa "forte"», nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento. L'illegittimità costituzionale dell'articolo 26, comma 1, viene sollevata nella misura in cui il citato comma attribuisce al CIPE la competenza a deliberare "le tipologie degli impianti di produzione elettrica nucleare che possono essere realizzati nel territorio nazionale". Le Regioni evidenziano pertanto la non conformità di quanto così disposto con l'art. 117, sesto comma, della Costituzione, ai sensi del quale: «la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle regioni in ogni altra materia». Dal momento che la materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» prevede la legislazione concorrente di Stato e Regione, è illegittimo far intervenire una normativa secondaria statale che, ai sensi dell'art. 117, sesto comma, potrebbe essere utilizzata solo nelle materie di potestà legislativa esclusiva;

risulta inoltre che il prescritto numero di cittadini, ai sensi degli articoli 7 e 27 della legge 25 maggio 1970, n. 352, abbia dichiarato di voler promuovere una proposta di referendum popolare previsto dall'art. 75 della Costituzione. Il quesito referendario, che sotto il profilo dell'oggetto è identico a quello a quello vagliato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 25 del 1987, mira all'abrogazione di alcune parti della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante "Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia" nonché dell'articolo 7, comma 1, lett. d), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112. Il quesito abrogativo si appunta, dunque, su una serie di disposizioni accomunate da una medesima ratio, ossia quella di reintrodurre nel nostro ordinamento la possibilità di costruire ed esercire impianti e strutture di fabbricazione del combustibile nucleare e di produzione di energia elettrica nucleare. L'obiettivo immediato e diretto del quesito è chiaramente evidenziato dall'intento di abrogare in primis, come già detto in precedenza, il comma 1, lettera d), dell'art. 7 del decreto-legge n. 112 del 2008 che ipotizza, tra gli obiettivi della strategia energetica nazionale, la realizzazione di impianti di produzione di energia nucleare nonché, in particolare, l'articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99. Anche su tali quesiti dovrà verosimilmente pronunciarsi la Corte costituzionale;

occorre altresì considerare la questione del nucleare sotto il profilo dell'incertezza degli oneri che essa comporta. Tale valutazione va esperita sia sul fronte della valutazione degli elevati investimenti iniziali per la realizzazione degli impianti (il cui ammortamento richiede tempi molto lunghi), sia, conseguentemente, sul fronte della convenienza economica per gli investitori privati. Con riferimento ai benefici per il sistema produttivo italiano, si rileva infatti che la tecnologia che verrà utilizzata risulterebbe per gran parte di provenienza estera (francese, nel caso di specie), a partire dai brevetti, così come disposto nel Protocollo di accordo intergovernativo tra l'Italia e la Francia, firmato il 24 febbraio 2009 a Roma prima ancora che il Parlamento italiano votasse in merito al ritorno alla produzione di energia da fonte nucleare. L'intesa prevede un'ampia collaborazione in tutti settori della filiera, ricerca, produzione e stoccaggio ed è accompagnata da due «memorandum of understanding» tra i due gruppi elettrici Enel ed Edf. A riguardo, si stima da più parti che il permanere di un elevato indebitamento di Enel renderebbe problematico per questo operatore sostenere il costo finanziario senza rilevanti aiuti pubblici. Il presunto basso costo del kWh da nucleare è, infatti, quasi esclusivamente dovuto, in tutto il mondo, all'intervento finanziario dello Stato nella chiusura del ciclo del combustibile nucleare. In occasione della Conferenza internazionale dell'Ocse sull'accesso al nucleare civile, svoltasi a Parigi l'8 e il 9 marzo 2010, il Presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, ha chiesto agli organismi multilaterali, quali la Banca mondiale, la Bers e le banche di sviluppo, di impegnarsi in maniera risoluta a finanziare lo sviluppo del nucleare civile, segno evidente che le giustificate resistenze delle istituzioni bancarie internazionali possono essere superate solo attraverso un intervento statale. A conferma di quanto detto, si può citare l'esempio statunitense. Il Presidente degli Stati Uniti, infatti, ha accompagnato l'annuncio della costruzione di nuove centrali nucleari con quello dello stanziamento sul bilancio 2010 di 8 miliardi di dollari (altri 54 sono stati proposti per il 2011) per fornire una garanzia pubblica al credito erogato dalle banche, senza la quale i tassi di interesse bancari richiesti agli operatori sarebbero proibitivi. Va ulteriormente rilevato che negli Stati Uniti sono stati indispensabili forti incentivi federali già dal 2005, ma, a distanza di cinque anni, non risulta in fase di avanzamento nessun cantiere per nuove centrali;

da ultimo, pare opportuno tenere presente che in ambito comunitario, per quel che concerne la questione cruciale dello smaltimento dei rifiuti, il 12 gennaio 2009 la Commissione europea ha presentato una comunicazione (COM(2008)903) intesa ad aggiornare, per il periodo 2004-2008, le informazioni trasmesse al Parlamento europeo e al Consiglio sugli sviluppi del programma per la disattivazione degli impianti nucleari obsoleti e la gestione dei rifiuti nucleari gestito dal Centro comune di ricerca (CCR) della Commissione, che comprende anche le attività di disattivazione svolte dal sito del CCR di Ispra (Italia). Data l'assenza di impianti di trattamento e deposito dei rifiuti radioattivi in Italia, il CCR di Ispra ha incentrato le sue attività sulla progettazione di un impianto di deposito temporaneo in loco per la caratterizzazione, trattamento e condizionamento nel sito (pre-disattivazione) di una massa di rifiuti radioattivi calcolata in 12.000 metri cubi;

dal punto di vista comunitario, la Commissione europea ha rilevato la sussistenza di vincoli e incertezze gravi sull'esecuzione del programma di attività del sito di Ispra legate, in particolare, a: assenza di norme italiane definitive che disciplinano il deposito di rifiuti ("criteri di ammissione dei rifiuti") che impone al CCR di rinviare il condizionamento di alcuni rifiuti; incertezza circa i costi dello smaltimento definitivo dei rifiuti nel futuro sito di deposito italiano, che costituisce un grosso rischio finanziario potenziale per la Comunità per il quale il CCR sta elaborando piani di emergenza; valori limite di esposizione italiani molto bassi, che impongono vincoli supplementari alla gestione e al deposito temporaneo dei rifiuti con implicazioni sui costi; "responsabilità storiche italiane" derivanti dalle precedenti operazioni nucleari italiane nel sito di Ispra, che aumentano il carico di lavoro del CCR e comportano un rischio finanziario per la Comunità;

il 22 dicembre 2009 la Commissione europea ha presentato un documento di lavoro (SEC(2009)1654) che contiene i dati relativi all'uso delle risorse finanziarie destinate alle attività di smantellamento degli impianti nucleari (decommissioning). Per ciò che riguarda l'Italia, il documento riporta l'inventario dei rifiuti radioattivi presenti nel territorio (esclusi quelli provenienti dal centro di ricerca di Ispra), e valuta in circa 4 miliardi di euro i costi (calcolati nel 2004) per lo smantellamento di tutti gli impianti nucleari, che dovrà essere realizzato entro il 2024. Secondo il documento, tale impegno non comprenderebbe i costi per lo smaltimento di rifiuti ad alta attività e del combustibile esaurito in assenza di un sito definitivo di stoccaggio. La Commissione ricorda che un terzo dei reattori nucleari attualmente in funzione nell'Unione europea dovrà essere smantellato entro il 2025. Ne deriva perciò, alla luce di queste considerazioni, la necessità di un ulteriore approfondimento della fase attuativa del programma governativo in materia nucleare,

impegna il Governo a tener conto della delicatezza del contenzioso istituzionale pendente e, valutata la rilevanza delle questioni sollevate dalle Regioni con riferimento al decreto legislativo n. 31 del 2010 e alla legge delega n. 99 del 2009, a procedere con prudenza, saggezza e senso di responsabilità, sospendendo l'iter dei provvedimenti attuativi fino alla definitiva pronuncia della Corte costituzionale sui ricorsi proposti dalle Regioni e dal Governo stesso, al fine di non inasprire ulteriormente ed unilateralmente il complesso contenzioso in atto - alla luce del grave danno che sarebbe altrimenti recato al principio di leale collaborazione tra Stato, Regioni ed enti locali - nonché al fine di evitare ogni pregiudizio per i conti pubblici e delle stesse aziende interessate, derivante dall'impegno e dalla spesa, in un periodo di grave crisi economica e sociale, di ingenti risorse in applicazione di disposizioni potenzialmente suscettibili di censura, ancorché parziale, di costituzionalità.