Atto n. 4-01800

Pubblicato il 22 luglio 2009
Seduta n. 241

D'ALIA - Al Ministro dell'interno. -

Premesso che:

nella notte tra il 31 giugno e il 1° luglio 2009, 82 rifugiati e migranti sono stati individuati dalla nave della Marina militare italiana “Orione”, secondo i mezzi di informazione, a circa 30 miglia da Lampedusa e poi trasferiti su una motovedetta libica per essere rimpatriati in Libia senza che ne fossero stabilite la nazionalità né le motivazioni che li spingessero a fuggire;

il 2 luglio l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha inviato una missiva al Ministero dell’interno ai fini di chiedere informazioni sul respingimento e sul rispetto delle convenzioni internazionali;

il Ministero ha risposto dichiarando che proprio in ossequio alle convenzioni internazionali si era proceduto a rimpatriare in Libia 82 libici, i quali, fermati in acque internazionali, non avrebbero manifestato la volontà di richiedere asilo in Italia;

al contrario, dalle dichiarazioni raccolte nei centri di detenzione ove sono stati smistati i migranti, è emerso che gran parte di essi risultano bisognosi di protezione. Infatti, dalle interviste rilasciate al personale delle Nazioni unite facente capo all’UNHCR e al personale del Centro italiano per i rifugiati (Cir) di stanza in Libia, si è constatato che gli 82 respinti non sono libici bensì, per la maggior parte, precisamente 76, di nazionalità eritrea. Tra essi vi sono 9 donne e almeno 6 bambini; 33 di essi sono già stati precedentemente riconosciuti rifugiati sotto il mandato delle Nazioni unite;

nel corso delle interviste rilasciate separatamente nei diversi centri di detenzione al personale del Cir e dell'UNHCR, inoltre, gran parte dei migranti hanno chiesto protezione ed espresso la volontà di avanzare richiesta d’asilo;

in queste testimonianze gli stessi hanno affermato che i loro effetti personali, fra i quali documenti di vitale importanza, sarebbero stati confiscati dai militari italiani durante le operazioni e non più riconsegnati. Le persone ascoltate dall’UNHCR e dal Cir hanno riferito di aver trascorso quattro giorni in mare prima di essere intercettate e di non aver ricevuto cibo dai militari italiani durante l’operazione durata circa 12 ore;

almeno 6 dei respinti hanno avuto bisogno di cure mediche e sono stati ricoverati in ospedale a causa dei traumi riportati in conseguenza dell’utilizzo, da parte delle Forze dell’ordine, nei loro confronti di bastoni elettrici, come denuncia Christopher Hein, direttore del Cir e come rilevano testimonianze fotografiche. In particolare uno di essi, detenuto nel centro di Zuwarah, ha addirittura riportato ferite alla testa provocate da bastoni elettrici;

lo stesso Ministro ha ammesso, nel corso di alcune sue dichiarazioni, che i militari hanno proceduto ad immobilizzare alcune persone durante il trasbordo forzoso, dovendo reagire alle resistenze che alcuni hanno opposto nel momento in cui si è paventata la possibilità di un respingimento in Libia a rischio della loro stessa vita e libertà. Il Ministro ha altresì confermato che denaro, cellulari e documenti personali in possesso dei migranti sono stati messi in sacchettini e consegnati al personale della Guardi di finanza a bordo;

l’UNHCR, preso atto dell’origine dei migranti, gran parte eritrei, delle loro richieste di fare domanda d’asilo, delle modalità del respingimento e della situazione di restrizione della libertà personale in cui versano attualmente gli stessi, considerato che l’Italia accorda protezione agli eritrei, ha inviato un’ulteriore missiva, in data 7 luglio, al Ministero dell’interno per avere chiarimenti in merito alla vicenda. Ad oggi non si è avuta alcuna risposta;

a giudizio dell'interrogante, la misura dei respingimenti più che contro l'immigrazione irregolare sembra essere una misura ai danni del diritto d'asilo e di chi fugge dalle violazioni dei diritti umani e dalle guerre, tanto più che lo scorso anno il 70 per cento delle persone che hanno fatto domanda d'asilo in Italia è giunto via mare;

gli obblighi internazionali, che scaturiscono dalla Convenzione sui rifugiati del 1951 e dal Protocollo del 1967, dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, dalla Convenzione ONU contro la tortura, dalla Convenzione europea sulla protezione dei diritti umani, vietano tassativamente il respingimento di rifugiati o richiedenti asilo;

in particolare l’art. 33 della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e l’art. 19 del testo unico sulla disciplina dell’immigrazione e sulla condizione dello straniero (di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998) sanciscono il principio del non non refoulement; l'art. 19 citato quale recita che: “In nessuno caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”. In base allo stesso testo unico minori e donne incinte sono inespellibili;

l’obbligo di non respingimento per gli Stati non comporta alcuna limitazione geografica e si applica a tutti gli agenti statali nell’esercizio delle loro funzioni all’interno o all’esterno del territorio nazionale. L’obbligo di non respingere un rifugiato o un richiedente asilo vieta quindi non solo l’espulsione dal territorio di uno Stato ma anche il respingimento alle frontiere dello Stato o il rinvio o l’accompagnamento verso il luogo di temuta persecuzione;

inoltre, il rinvio diretto di un rifugiato o di un richiedente asilo verso un Paese nel quale teme di essere perseguitato non rappresenta l’unica forma di respingimento. Anche il rinvio indiretto verso un Paese terzo che potrebbe successivamente inviare la persona verso il Paese in cui è temuta persecuzione costituisce respingimento, ed in questo caso entrambe i paesi sarebbero ritenuti responsabili;

l’art. 10, comma terzo, della Costituzione recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Dal dettato costituzionale deriva per il Governo il dovere costituzionale di garantire il diritto d’asilo;

nessun richiedente asilo dovrebbe essere quindi rinviato verso un Paese terzo che non possa garantire criteri base di protezione, l'osservanza del principio di non respingimento e l'impegno ad esaminare in maniera imparziale ed obiettiva la domanda di asilo della persona, e che non abbia dimostrato capacità e volontà di fornire efficace protezione in tutti i casi competenti;

la Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951 e, soprattutto, non possiede una legge sull’asilo né un sistema di accoglienza e protezione dei rifugiati,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo non intenda riconsiderare la nuova politica dei respingimenti che, in assenza di adeguate garanzie, impedisce l’accesso all’asilo e mina il principio internazionale del non respingimento (non refoulement);

se non intenda far luce sul respingimento degli 82 migranti occorso nella notte tra il 31 giugno e il 1° luglio 2009 onde verificare a quante miglia da Lampedusa la barca dei richiedenti asilo sia stata intercettata, se nel corso del trasbordo forzato sia stata usata la forza, se sia vero che alle persone esauste da quattro giorni trascorsi in mare non sono stati dati viveri e che fine abbiano fatto i documenti e i beni confiscati agli stessi;

se e quali garanzie il Governo italiano abbia avuto da parte del Governo libico in merito al trattamento e alla protezione delle persone respinte.