Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-00304
Azioni disponibili
Atto n. 3-00304 (in Commissione)
Pubblicato il 14 ottobre 2008
Seduta n. 72
PARDI , BELISARIO - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dell'interno e della giustizia. -
Premesso che:
si apprende da più fonti che a seguito della pubblicazione sul settimanale “L'Espresso” di due inchieste dal titolo “Così ho inquinato Napoli” dell’11 settembre e “Gomorra al Nord” del 18 settembre 2008 sarebbero state effettuate, a più riprese, una serie di perquisizioni ad opera della Guardia di finanza al fine di acquisire elementi conoscitivi in ordine all'attività dei due giornalisti autori degli articoli in questione, ipotizzandosi l’accusa, nei loro confronti, di pubblicazione di atti coperti dal segreto giudiziario e di favoreggiamento;
i sopralluoghi, disposti dalla Procura di Napoli, sarebbero stati eseguiti due volte presso la redazione del settimanale, presso le abitazioni dei giornalisti ed anche su un'automobile ed un ciclomotore di loro proprietà. Sarebbe stato effettuato il sequestro degli hard disk dei computer personali, delle copie degli stessi precedentemente eseguite dagli ispettori nonché di documentazione cartacea;
risulterebbe da fonti di stampa che il decreto di perquisizione nei confronti de "L’Espresso" avrebbe consentito controlli estesi anche ai locali adiacenti a quelli assegnati ai due autori delle inchieste, coinvolgendo, potenzialmente, l’intera redazione. Parrebbe altresì che una successiva perquisizione sarebbe stata eseguita durante una giornata festiva e di chiusura della redazione stessa;
sarebbe stato oggetto dei medesimi accertamenti anche un collaboratore esterno del settimanale, coautore di un’inchiesta sulle presunte connivenze di un Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze con ambiti malavitosi di stampo camorrista;
nello stesso mese di settembre sono state effettuate perquisizioni, con provvedimento della Procura di Busto Arsizio - con identificazione di figli e minori presenti al momento del sopralluogo - presso l’abitazione di altri due giornalisti, appartenenti alle redazioni del "Corriere della Sera" e "La Stampa", a seguito della pubblicazione di servizi riguardanti presunte infiltrazioni ‘ndranghetiste all’interno del sistema dell’assegnazione degli appalti relativi alla realizzazione del progetto Expo Milano 2015;
considerato che:
la materia in questione è stata oggetto di ripetute pronunce giurisdizionali, in particolare delle sentenze n. 348 del 2007, n. 349 del 2007 e n. 39 del 2008 della Corte costituzionale e della sentenza n. 85 del 21 gennaio 2004 della Cassazione, nonché di approfondita dottrina e consolidata giurisprudenza anche a livello comunitario, come analiticamente ricordato dal professor Franco Abruzzo in una specifica pubblicazione dal titolo “Segreto professionale dei giornalisti e perquisizioni nei giornali”;
la legge professionale n. 69 del 1963, al comma 1 dell’articolo 2, recita: “È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica”. In senso rafforzativo si esprime la giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale per attività giornalistica deve intendersi la prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento ed all'elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione. Il giornalista si pone pertanto come mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, differenziandosi la professione giornalistica da altre professioni intellettuali proprio in ragione di una tempestività di informazione diretta a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli, per la loro novità, della dovuta attenzione e considerazione (Cass. Civ., sez. lav., 20 febbraio 1995, n. 1827);
nell'ordinamento italiano il divieto di divulgare la fonte della notizia è, invece, sancito dall’articolo 2. comma 3, della legge n. 69 del 1963, secondo il quale i giornalisti sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse. Anche l’articolo 138 del decreto legislativo n. 196 del 2003 conferma le norme sul segreto professionale degli esercenti la professione di giornalista, limitatamente alla fonte della notizia. La VI sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 85 del 21 gennaio 2004, ha stabilito che il segreto professionale sulle fonti, sancito dall'articolo 200, comma 3, del Codice di procedura penale, si estende “a tutte le indicazioni che possono condurre all'identificazione di coloro che hanno fornito fiduciariamente le notizie”. La tutela deve ritenersi necessariamente estesa a tutte le indicazioni che possono condurre all'identificazione di coloro che hanno fornito fiduciariamente le notizie. Rientra pertanto nel segreto professionale anche l'indicazione relativa alle utenze telefoniche di cui il giornalista disponeva nel periodo in cui ha ricevuto le notizie fiduciarie perché la stessa è dichiaratamente funzionale rispetto all'identificazione di coloro che tali notizie hanno fornito e la relativa richiesta è quindi in contrasto con il divieto posto dall'articolo 200 del Codice di procedura penale citato. Ne deriva che il giornalista il quale, sentito come testimone, si astiene dal deporre opponendo legittimamente il segreto professionale, anche in ordine a indicazioni che comunque possono essere utilizzate per risalire alla fonte delle notizie pubblicate, non si rende colpevole del reato previsto dall'art. 371-bis del Codice di procedura penale per aver taciuto in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti su cui viene sentito. Si evince quindi, secondo la predetta pubblicazione del professor Abruzzo, che è da considerarsi una vera e propria aggressione alla libertà di stampa qualsiasi tentativo di invasività a danno della tutela delle fonti;
sulla base di quanto disposto dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e dal Patto sui diritti politici di New York del 1966 la libertà di ricevere le informazioni comporta la protezione assoluta delle fonti dei giornalisti;
il diritto a “ricevere” informazioni è stato inoltre ben esplicitato dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo con la sentenza che ha al centro il caso del giornalista inglese William Goodwin (Corte europea diritti dell’uomo 27 marzo 1996, Goodwin c. Regno Unito, v. Tabloid n. 1/2000 n. Peron) laddove, muovendo dal principio che ad ogni giornalista deve essere riconosciuto il diritto di ricercare le notizie, ha ritenuto che “di tale diritto fosse logico e conseguente corollario anche il diritto alla protezione delle fonti giornalistiche, fondando tale assunto sul presupposto che l’assenza di tale protezione potrebbe dissuadere le fonti non ufficiali dal fornire notizie importanti al giornalista, con la conseguenza che questi correrebbe il rischio di rimanere del tutto ignaro di informazioni che potrebbero rivestire un interesse generale per la collettività”;
la Corte di Strasburgo, con la sentenza Roemen del 25 febbraio 2003 (Procedimento n. 51772/99) nell'intervenire sulla liceità delle perquisizioni negli uffici dei giornalisti a tutela delle fonti ha rilevato come l'assenza di protezione delle fonti potrebbe dissuadere le stesse dall'aiutare la stampa a informare il pubblico su questioni d'interesse generale. Di conseguenza, la stampa potrebbe essere meno in grado di svolgere il suo ruolo indispensabile. Secondo la corte le perquisizioni volte a scoprire la fonte di un giornalista costituiscono - anche se restano senza risultato - un'azione più grave dell’intimazione di divulgare l'identità della fonte. Infatti, gli inquirenti che, muniti di un mandato di perquisizione, sorprendono un giornalista nel suo luogo di lavoro, detengono poteri d'indagine estremamente ampi poiché, per definizione, possono accedere a tutta la documentazione in possesso del giornalista;
la medesima Corte europea è intervenuta anche sulla pubblicazione di atti processuali coperti dal segreto istruttorio: con la sentenza Dupuis contro Francia (ricorso n. 1914/02, sentenza 7 giugno 2007) sono stati assolti due giornalisti francesi, rei di aver pubblicato materiale sottratto illegalmente dagli atti giudiziari, ritenendo preminente l’interesse pubblico ad informare e ad essere . La Corte - come è rilevabile dalla rassegna di casi recenti fatta dal professor Abruzzo - ha inoltre condannato lo Stato belga per la perquisizione della casa e dell’ufficio di un giornalista dal momento che le perquisizioni avevano come scopo di svelare la provenienza delle fonti e che pertanto rientravano nel campo della protezione delle fonti giornalistiche, essendo il diritto dei giornalisti a tacere le proprie un elemento costitutivo della libertà di stampa e deve essere trattato con la massima attenzione;
con la raccomandazione n. R (2000) 7, adottata l’8 marzo 2000, anche il Consiglio d’Europa ha voluto tutelare solennemente le fonti dei giornalisti, affermando che il diritto di non rivelare le loro fonti fa parte integrante del loro diritto alla libertà di espressione garantito dall'articolo 10 della Convenzione dei diritti dell'uomo e che pertanto la legislazione nazionale deve assicurare una protezione accessibile, precisa e prevedibile in materia. Questa raccomandazione, secondo la dottrina, concorre a formare uno “spazio giuridico europeo”, che fa del segreto professionale dei giornalisti un caposaldo della libertà di stampa e del diritto dei cittadini all’informazione. Il Parlamento europeo con una risoluzione del 18 gennaio 1994 ha ribadito che il segreto professionale è indispensabile sia nello svolgimento della professione giornalistica che nell’esercizio del diritto di ogni cittadino a ricevere informazioni, mentre per contro le uniche eccezioni ammissibili devono essere ragionevoli e in ogni caso limitate;
nel nostro Paese, le sentenze n. 11 del 1968 e n. 1 del 1981 della Corte costituzionale hanno riconosciuto solennemente l'esistenza di una vera e propria libertà di cronaca dei giornalisti comprensiva dell'acquisizione delle notizie e di un comune interesse all'informazione, quale risvolto passivo della libertà di manifestazione del pensiero. La sentenza n. 39 del 2008 della Consulta afferma che: “Gli Stati contraenti sono vincolati ad uniformarsi alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo dà delle norme della Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’Uomo)”. Le sentenze n. 348 del 2007, n. 349 del 2007 e n. 39 del 2008 espressamente ribadiscono che le norme della Cedu devono essere considerate come interposte e che la loro peculiarità, nell'ambito di siffatta categoria, consiste nella soggezione all'interpretazione della Corte di Strasburgo, alla quale gli Stati contraenti, salvo l'eventuale scrutinio di costituzionalità, sono vincolati ad uniformarsi;
anche la giurisprudenza della Corte di cassazione considera le norme della Convenzione immediatamente applicabili, derivando la precettività dal principio di adattamento del diritto interno al diritto internazionale convenzionale (Cass., sez. un. pen., 23 novembre 1988; Parti in causa Polo Castro; Riviste: Cass. Pen., 1989, 1418, n. Bazzucchi; Riv. Giur. Polizia Locale, 1990, 59; Riv. internaz. diritti dell'uomo, 1990, 419). Ribadiscono ancora i supremi giudici della prima sezione penale che le norme della Convenzione, in quanto principi generali dell'ordinamento, godono di una particolare forma di resistenza nei confronti della legislazione nazionale posteriore (Cass. pen., sez. I, 12 maggio 1993; Parti in causa Medrano; Riviste Cass. Pen., 1994, 440, n. Raimondi; riferimenti legislativi: legge 4 agosto 1955, n. 848 e decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, art. 86). Anche la suprema magistratura civile è dello stesso avviso (Cass. civ., sez. I, 8 luglio 1998, n. 6672; Riviste: Riv. It. Dir. Pubbl. Comunitario, 1998, 1380, n. Marzanati; Giust. Civ., 1999, I, 498; riferimenti legislativi: legge 4 agosto 1955, n. 848),
si chiede di sapere:
se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e se le avvenute perquisizioni siano da considerarsi pienamente in linea con i sopra elenacati pronunciamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo, della Corte costituzionale e della Corte suprema di Cassazione;
se non si ritenga nella fattispecie che l’invasività delle ispezioni compiute presso redazioni e abitazioni, anche per le modalità con le quali risultano essere state disposte, possa essere in contrasto con i principi affermati nelle succitate sentenze, le quali espressamente tutelano la libertà di stampa attraverso la protezione delle fonti con la più ampia accezione e collocano il segreto istruttorio, riconoscendone la necessità ed il valore in corso d’indagine, in posizione ancillare rispetto al diritto all’informazione del cittadino, con particolare riferimento alla circostanza in cui sia coinvolto l’interesse pubblico ad essere informato di fatti preminenti nella gestione della Cosa pubblica;
quali iniziative si intendano assumere al fine di assicurare nel nostro Paese piena e concreta applicazione all'articolo 10 della Convenzione europea di cui in premessa, al fine di garantire il rispetto della libertà di informare e di essere informati in linea con la consolidata giurisprudenza nazionale e comunitaria.