Atto n. 1-00086

Pubblicato il 21 marzo 2007
Seduta n. 129

BIANCONI , TOMASSINI , CARRARA , GHIGO , BURANI PROCACCINI , LORUSSO , MONACELLI , ANTONIONE , MASSIDDA

Il Senato,

premesso che:

in merito all'interruzione volontaria della gravidanza, l’articolo 4 della legge del 22 maggio 1978, n.194 prevede che: “entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975, n. 405, o ad una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla Regione, o a un medico di sua fiducia”;

la stessa legge, riconoscendo un ulteriore diritto alla donna di ricorrere a questa drammatica pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza, ha precisato all’articolo 6 che: “l'interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”;

l'8 marzo 2007 a Firenze, presso l’ospedale di Careggi, si è praticato un aborto terapeutico ad una donna toscana a seguito di precisi esami diagnostici che evidenziavano una grave malformazione del feto, risultata poi inesistente; a differenza di quanto accade nella maggior parte dei casi in cui i feti nascono morti, in questa circostanza il feto, del peso di circa 500 grammi, è nato vitale ed ha continuato a dare segni di vitalità, e pertanto i neonatologi sono intervenuti prontamente provvedendo a rianimarlo. Essendosi già verificata una emorragia celebrale, che avrebbe comunque comportato da subito gravi lesioni cerebrali, ed ulteriori complicanze, il feto è morto il giorno seguente;

considerato che:

questo triste episodio pone l’accento sulla situazione della sopravvivenza dei feti abortiti, sulla rianimazione terapeutica in neonatologia, e sul periodo entro il quale devono essere eseguiti i principali esami di diagnostica prenatale;

per i neonati, nati vivi, di età gestazionale uguale o inferiore alle 22 settimane compiute, le procedure spesso seguite prevedono l'astensione dall'intubazione endotracheale e dalla ventilazione, tecniche di rianimazione che permetterebbe loro di provare a sopravvivere. Una tale astensione è spesso motivata dal considerare tali tecniche di rianimazione di questi piccoli neonati come una forma di accanimento terapeutico;

anche se la legge consente l’aborto terapeutico oltre i 90 giorni quando vi sono “rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”, si può affermare che il potere decisionale di procedere ad un aborto terapeutico della coppia, o meglio della donna, è molto spesso frutto del desiderio di partorire solo il così detto “bambino perfetto”. Non a caso sono sempre più numerosi i casi in cui si fanno ITG anche per mosaicismi su cariotipo che non sono correlati a gravi patologie, o patologie del feto con difetti interventricolari sul cuore, anch’essi compatibilissimi con la vita. Risulta evidente come casi di questo tipo si possano, purtroppo, definire eugenetica e/o casi di eutanasia prenatale, in special modo quando ci si riferisce ad interruzioni volontarie di gravidanza di feti che hanno ormai 23 settimane di vita se non di più;

da più parti è stato dimostrato, con dati scientifici, che grazie alle attuali tecniche che permettono l’uso di sofisticate apparecchiature, alle migliorate capacità diagnostiche ed all’elevata competenza dei medici ecografisti nel settore della diagnostica prenatale, in special modo nei centri di secondo livello, è possibile che vengano evidenziate patologie con maggiore sensibilità e prima di quanto preveda oggi il cosiddetto "percorso della gravidanza", percorso che stabilisce i termini ben precisi in cui la donna durante la gestazione debba eseguire i singoli controlli diagnostici,

impegna il Governo:

ad istituire una Commissione d’inchiesta che verifichi l’applicazione dei criteri di controllo sul rispetto dei tempi per l’aborto terapeutico, così come previsto dalla legge 194 del 1978, e se effettivamente, quando si tratta di aborti terapeutici praticati oltre il 90° giorno di gestazione, ricorrano le gravi condizioni previste dall’articolo 6 delle legge 194 del 1978, o piuttosto, non si tratti di interruzioni tardive di gravidanza senza alcun serio motivo e quindi classificabili come eutanasia prenatale, come sembra si stia verificando in qualche struttura sanitaria;

a predisporre una maggiore campagna di sensibilizzazione, anche all’interno dei consultori, sul valore della vita e quindi della nascita, a prescindere dalle condizioni di salute del nascituro;

a prevedere tempi più brevi per gli esami di diagnostica prenatale spostando il limite ultimo non ai 180 giorni, cioè entro la venticinquesima settimana di gestazione più 5 giorni, bensì entro la ventiduesima/ventitreesima settimana di gestazione; riorganizzando, soprattutto, il sistema di effettuazione dell’ecografia morfologica, esame che può evidenziare sospette malformazioni, oggi effettuata alla ventiduesima settimana, eseguendola entro la ventunesima settimana di gestazione, in modo da lasciare dai 7 ai 10 giorni per la procedura di controllo in un centro di secondo livello, prima di procedere all’eventuale IGT;

a regolamentare in forma unitaria, su tutto il territorio nazionale, i criteri di rianimazione dei feti nati vivi, seguendo anche le norme internazionali, al fine di evitare che sia il rianimatore a dover decidere se provvedere o meno alla rianimazione o, ancor peggio, che sia applicata la crudele tecnica, adottata da diversi ospedali, di far firmare ai genitori, che scelgono l’aborto terapeutico oltre i 90 giorni, un "consenso informato" con il quale rinunciano alle cure intensive nel caso in cui il bambino abortito dovesse nascere vivo.