Legislatura 14 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-02428
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Atto n. 3-02428
Pubblicato il 11 gennaio 2006
Seduta n. 934
MARTONE - Al Ministro degli affari esteri. -
Premesso che:
il quotidiano nazionale “Il Manifesto” del giorno 7 gennaio 2006 riporta in un articolo, dal titolo “Guantanamo afghana, fondi italiani”, che il Governo italiano ha contribuito in modo generoso alla riforma penitenziaria in Afghanistan e, in particolare, a un progetto di ristrutturazione delle carceri di Kabul per migliorarvi le condizioni di detenzione: un milione di dollari, già stanziato per rimodernare il vecchio carcere di Pol-e Charki, vecchia struttura di epoca sovietica;
sempre secondo il giornale risulterebbe che, nelle intenzioni delle Nazioni Unite, il carcere così rinnovato sarà il modello a cui dovranno adeguarsi tutte le prigioni afghane, nel rispetto degli standard minimi internazionali sul trattamento dei detenuti. Belle parole, che si leggono nei documenti delle Nazioni Unite e anche del nostro Ministero degli affari esteri;
in realtà, denuncia il redattore, con i soldi del contribuente italiano il carcere di Pol-e Charki sta per diventare un nuovo carcere di massima sicurezza dove trasferire parte dei detenuti della base navale americana di Guantanamo: un'altra delle prigioni speciali degli Stati Uniti nel quadro della «guerra al terrorismo»;
la notizia che gli USA preparano una «Guantanamo 2» in Afghanistan è stata ripresa, ricorda il giornalista, dal quotidiano britannico “Financial Times”, secondo il quale il progetto è trasferire i prigionieri di origine afghana in Afghanistan, in modo da allentare le critiche che piovono da più parti sull'amministrazione USA per il fatto di mantenere centinaia di persone agli arresti senza accuse precise;
la nota stampa ricorda che a Guantanamo sono entrate circa 750 persone dai primi mesi del 2002, per lo più prese prigioniere in Afghanistan durante e subito dopo i bombardamenti che portarono al crollo del regime dei Talebani nell'autunno 2001: nemici combattenti, secondo l'amministrazione di Washington, che ha rifiutato di riconoscere loro i diritti riconosciuti dalle Convenzioni di Ginevra sui prigionieri di guerra. Solo nel 2005, dopo un ordine della Corte Suprema, sono cominciate audizioni per definire lo status e le accuse dei detenuti. Molti sono allora risultati detenuti «per errore». Ad agosto scorso 510 persone erano ancora detenute a Guantanamo; 167 erano state rilasciate (senza imputazioni né una parola di scuse), 67 trasferite alla custodia di altri governi. Sempre in agosto il governo USA aveva annunciato che 110 dei restanti detenuti di Guantanamo, afghani, saranno presto trasferiti in Afghanistan;
le forze USA hanno già i loro detenuti speciali in Afghanistan, rivela il quotidiano inglese, circa 500 persone, rinchiuse senza accuse o processo nella base aerea di Bagram vicino a Kabul o in quella di Kandahar nel sud, più un numero imprecisato di persone in carceri segrete sparse per il paese, come sospetti terroristi. Per trasferire i prigionieri di Guantanamo, dunque, gli USA hanno bisogno di un luogo apposito in Afghanistan, di massima sicurezza. E questo nuovo carcere speciale sarà appunto Pol-e Charki. Il quotidiano “Il Manifesto” sostiene inoltre che le Nazioni Unite e l'Unione europea hanno resistito al piano americano di farne un carcere per sospetti di terrorismo: ma il mese scorso il Corpo genieri dell'esercito USA ha annunciato un appalto per la costruzione di celle di massima sicurezza proprio a Pol-e Charki, segno che alla fine è prevalsa la volontà degli americani;
il redattore de “Il Manifesto”, rifacendosi all’articolo del “Financial Times”, riporta che la ristrutturazione del carcere, avviata la primavera scorsa dalle Nazioni Unite, fa parte di un progetto più generale per la ricostruzione del sistema giudiziario in Afghanistan. La responsabilità di guidare questo capitolo della ricostruzione è stato affidato all'Italia, che dunque sta coordinando il lavoro: dalla riscrittura dei codici di procedura penale e civile, un codice minorile, la creazione di «corti itineranti», una legge appena approvata sui diritti dei detenuti, la formazione di giudici e avvocati, fino alla riabilitazione della Corte d'Appello e delle carceri di Kabul, e poi delle carceri provinciali. Per questo Roma ha stanziato in tutto 22 milioni di euro negli ultimi tre anni;
la ristrutturazione delle carceri, in particolare, è stata chiesta dall'UNODC, il programma ONU per la lotta alla droga e al crimine: riguarda Pol-e Charki, il carcere maschile di Kabul e il centro di detenzione femminile presso la sede centrale della polizia. Per il blocco uno di Pol-e Charki sono stati stanziati 2 milioni di dollari, di cui uno già fornito dal Governo italiano. Il lavoro era al 90% completato l'estate scorsa, poi sarà la volta del blocco 2. Ma nel frattempo il nuovo carcere risulterebbe aver cambiato destinazione ed uso,
si chiede di sapere:
se il Governo italiano fosse a conoscenza della richiesta statunitense e se questo cambiamento della destinazione d'uso del carcere sia stato concordato dagli Stati Uniti con gli altri alleati e con le Nazioni Unite, responsabili del programma di finanziamento e ristrutturazione;
come il Governo intenda comportarsi rispetto alla richiesta statunitense visto che, da quanto si apprende dalla stampa estera, né l’ONU né l'Unione europea sembrano disposte ad accoglierla.