Pubblicato il 2 ottobre 2024, nella seduta n. 227
NAVE - Al Ministro delle imprese e del made in Italy. -
Premesso che:
secondo i dati ISTAT a luglio 2024 la produzione industriale è diminuita dello 0,9 per cento su base mensile, realizzando su base annua la diciottesima frenata consecutiva. Nella media del periodo maggio-luglio si registra un calo del livello della produzione dello 0,4 per cento rispetto ai tre mesi precedenti. Il calo tendenziale sull’anno è del 3,3 per cento;
il trend è preoccupante: non cresce nessun macro comparto manifatturiero, dove si registrano cali diffusi tra beni di consumo durevoli e non, strumentali e intermedi, mentre l’unica eccezione in crescita è quella dell’energia dove si registrano incrementi tendenziali dell’1,5 per cento. Calano i beni intermedi (2,8 per cento in meno) e in misura più accentuata i beni strumentali (4,2 per cento in meno) e i beni di consumo (5,2 per cento in meno). Le flessioni più ampie si registrano nelle industrie tessili, di abbigliamento, di pelli e accessori (18,3 per cento in meno), comparti che registrano il bilancio peggiore degli ultimi 7 mesi e dove si pagano i minori acquisti di prodotti italiani, nella fabbricazione di mezzi di trasporto (11,4 per cento in meno) e nell’attività estrattiva (5,9 per cento in meno);
di rilievo è quanto si verifica nel settore automobilistico, anche in conseguenza della brusca frenata della produzione industriale registrata in Germania e delle conseguenti ripercussioni sulla filiera italiana legata alla componentistica. Inoltre ad agosto, concluso l’effetto degli incentivi di giugno e luglio, le vendite hanno segnato un calo del 13,4 per cento. Nei primi 8 mesi dell’anno le auto vendute sono state poco più di un milione con un calo del 18,5 per cento rispetto al 2019;
altro comparto in grave affanno è quello delle costruzioni che, congiuntamente al calo manifatturiero e alla perdita di potere d’acquisto delle famiglie, incide pesantemente sul settore e sulle filiere più rappresentative dell’indotto;
considerato che:
quello che emerge dagli ultimi dati è una fotografia impietosa dell’industria italiana;
da maggio 2022, quando è iniziata la fase discendente successiva al rimbalzo post pandemia, la produzione industriale è scesa del 6,7 per cento e le prospettive future non sembrano rosee dal momento che l’ISTAT tiene a precisare, nella sua nota sull’andamento dell’economia diffusa, che “la fase di discesa dell’indice della produzione industriale non sembra ancora conclusa”;
a conferma di un quadro tutt’altro che incoraggiante vi sono i dati sulle unità di lavoro a tempo pieno, un indicatore strettamente connesso alla crescita perché, a differenza dei dati sul numero degli occupati, tiene conto delle ore effettivamente lavorate. E in questo senso l’aumento del 28 per cento delle ore di cassa integrazione richieste dalle aziende nel mese di luglio è un ulteriore segnale negativo;
rilevato che:
il piano strutturale di bilancio di medio termine, da poco trasmesso alle Camere, pone tra gli obiettivi strategici generali la definizione di una politica industriale volta a superare le disuguaglianze territoriali e le residue restrizioni alla concorrenza. Le previsioni del piano sembrano però totalmente scollegate dal quadro delineato: si legge infatti “nel quadriennio 2026-2029, gli investimenti continueranno a fornire un deciso impulso alla crescita e, ad eccezione del 2027, ad aumentare ad un ritmo superiore a quello del PIL, anche sull’onda della spinta finale dei progetti del PNRR, inclusi gli incentivi legati al pacchetto ‘Transizione 5.0’”;
in merito allo stato dei progetti PNRR i ritardi accumulati dal Governo sono ormai noti e non sorprende che la Corte dei conti europea abbia poche settimane fa evidenziato con preoccupazione come a fine 2023 solo il 29,4 per cento dei fondi previsti a livello europeo fosse stato effettivamente distribuito dall’Italia e che entro il 2026 il nostro Paese dovrà finalizzare il 62 per cento degli investimenti previsti. Concentrare gli investimenti nell’ultimo periodo utile rischia di compromettere seriamente una parte dei fondi e di aumentare il rischio di spese inefficienti e irregolari;
riguardo agli incentivi del pacchetto “Transizione 5.0”, a causa dei ritardi del Ministero delle imprese e del made in Italy nell’emanazione dei provvedimenti attuativi, è ancora difficile prevedere l’impatto che le misure avranno sulla competitività delle imprese e se davvero potranno contribuire in modo così incisivo alle ottimistiche previsioni di crescita del Governo. Al momento è stata fatta richiesta da poche decine di aziende e per soli 70 milioni di euro complessivi, di cui poco più della metà autorizzata in termini di crediti di imposta fruibili;
quello che invece si può affermare con certezza è che secondo le stime dell'associazione dei costruttori italiani di macchine utensili il comparto vede un crollo drammatico del mercato del 26,5 per cento e un calo della produzione del 6,2 per cento. Ad oggi è del tutto evidente quanto sia stata fallimentare la scelta di abbandonare il modello utilizzato per “Industria 4.0”, più immediato e lineare, in favore di un nuovo meccanismo la cui complessità è il Governo il primo a non saper gestire;
sempre il piano strutturale di bilancio di medio termine informa che il saldo di parte corrente della bilancia dei pagamenti in percentuale del PIL sarebbe in aumento graduale nell’orizzonte previsionale fino al 2,3 per cento nel 2027, stabile poi nel biennio 2028-2029, che la crescita del valore aggiunto nell’industria raggiungerebbe un picco nel 2026 e che il settore delle costruzioni dovrebbe stabilizzarsi, dopo la marcata espansione nel 2024, per poi crescere complessivamente in linea con il resto del comparto industriale. Non è chiaro, e di certo il piano non lo spiega, come esattamente dovrebbero realizzarsi tali ambiziosi obiettivi,
si chiede di sapere:
quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda concretamente porre in essere per contrastare l’attuale calo della produzione industriale e per raggiungere gli obiettivi di crescita delineati nel piano strutturale di bilancio di medio termine che, alla luce dei dati e delle considerazioni esposti, appaiono irrealistici;
se non ritenga opportuno rimediare ai ritardi accumulati nell’attuazione delle misure legate agli incentivi del piano Transizione 5.0, prevedendo prioritariamente una proroga in favore delle imprese per la messa in funzione degli investimenti e convocando un tavolo con le associazioni di categoria per definire strategie di semplificazione delle criticità;
se non ritenga urgente adottare un modello efficace di trasferimento tecnologico in grado di rafforzare la competitività delle imprese italiane, sostenendo in particolare le piccole e medie imprese nell’accesso all’innovazione e nel superamento della strutturale carenza di competenze.