Pubblicato il 23 luglio 2024, nella seduta n. 210
PAITA, SCALFAROTTO, BORGHI Enrico, RENZI, MUSOLINO, FREGOLENT, SBROLLINI - Al Ministro della giustizia. -
Premesso che:
la legge attualmente in vigore prevede per le madri recluse con figli minori la detenzione negli istituti a custodia attenuata per detenute madri (ICAM) o nelle sezioni nido delle carceri o in case famiglia protette;
tutti gli studi sociologici, psicologici, nonché le ricerche empiriche, segnalano in modo inequivocabile che l’ambiente carcerario, tra cui sezioni nido e ICAM, è assolutamente inconciliabile con la crescita e lo sviluppo sano e naturale di un bambino, costretto a vivere i primi anni della sua vita in un contesto di quasi totale deprivazione affettiva, relazionale, e sensoriale;
gli psicologi hanno dimostrato che esiste la “sindrome da prigionia”: i bambini detenuti possono sviluppare difficoltà nel gestire le emozioni e senso di inadeguatezza, di sfiducia, di inferiorità, che si accompagna a un tardivo progresso linguistico e motorio, causato dalla ripetitività dei gesti, dalla ristrettezza degli spazi di gioco e dalla mancanza di stimoli;
paradigmatica in tal senso è la storia di Giacomo (nome di fantasia), un bambino di due anni e mezzo, recluso nel carcere di "Rebibbia" a Roma da 10 mesi insieme alla madre, una trentenne italiana condannata per reati minori insieme al compagno, padre del bambino, anch'esso recluso a Rebibbia;
a causa della reclusione, Giacomo ha sviluppato un ritardo nello sviluppo psicomotorio, non parla, non corre, è sovrappeso e porta ancora il pannolino. Vive in un ambiente che non offre stimoli adeguati per il suo sviluppo, costretto a passare gran parte della giornata davanti alla televisione e in un giardinetto pieno di zanzare;
le volontarie dell’associazione “A Roma insieme-Leda Colombini” si impegnano quotidianamente per portare Giacomo a un nido esterno durante il giorno, permettendogli un minimo di normalità e interazione con altri bambini. Tuttavia, questa soluzione non è sufficiente a garantire uno sviluppo armonico e adeguato alle sue necessità;
la detenzione di bambini con le loro madri, oltre a violare i diritti fondamentali dei minori (la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia sancisce il diritto del bambino a vivere in un ambiente che ne favorisca il benessere fisico, mentale e sociale), li espone anche a rischi significativi per il loro sviluppo fisico, emotivo e psicologico. Bambini come Giacomo, che vivono dietro le sbarre, mostrano segni di ritardi nello sviluppo, problemi comportamentali e difficoltà nell'apprendimento, condizioni che potrebbero essere evitate se fossero collocati in ambienti più appropriati e stimolanti;
le case famiglia protette sono da molti considerate le strutture migliori per la corretta socializzazione dei minori, che hanno diritto a vivere in un luogo adatto alla loro crescita e, preferibilmente, in strutture esterne al circuito penitenziario, pertanto andrebbero privilegiate rispetto alle altre soluzioni;
ad oggi, tuttavia, le case famiglia protette sono soltanto due: una si trova a Roma (dove al momento sono ospitate 5 madri e 7 bambini) e una a Milano (dove al momento vivono 3 madri con altrettanti bambini). Sono gestite da associazioni che si finanziano con donazioni e raccolte fondi, perché tali istituti sono stati previsti escludendo ulteriori oneri a carico della finanza pubblica,
si chiede di sapere:
quali azioni urgenti il Ministro in indirizzo intenda adottare per garantire che i bambini reclusi con le madri nelle carceri italiane possano crescere in un ambiente adeguato e stimolante per il loro sviluppo psicofisico;
se non ritenga opportuno dare priorità assoluta alle misure alternative alla detenzione in carcere per le madri con figli minori, al fine di tutelare il benessere dei bambini, come le case famiglia protette, incentivando la loro realizzazione;
quali iniziative intenda adottare per risolvere senza indugio la grave situazione venutasi a creare in riferimento al caso richiamato.