Pubblicato il 26 marzo 2024, nella seduta n. 173
MAGNI - Al Ministro della salute. -
Premesso che:
la legge 22 maggio 1978, n. 194, recante "Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza" prevede, all'articolo 16, che: "entro il mese di febbraio, a partire dall'anno successivo a quello dell'entrata in vigore della presente legge, il Ministro della Sanità presenta al Parlamento una relazione sull'attuazione della legge stessa e sui suoi effetti, anche in riferimento al problema della prevenzione. Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di gennaio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministro. Analoga relazione presenta il Ministro di grazia e giustizia per quanto riguarda le questioni di specifica competenza del suo Dicastero";
dopo numerosi solleciti, solo in data 12 settembre 2023 il Ministero della salute ha trasmesso al Parlamento l’ultima relazione con i dati relativi al 2021;
ad oggi non è stata presentata la relazione successiva, relativa ai dati dell’anno 2022;
le ultime rilevazioni confermano l’andamento degli anni passati: una diminuzione del ricorso all’IVG, verosimilmente collegato anche al decremento delle nascite, oltre che al maggiore e più efficace ricorso ai metodi di controllo della fecondità, in ordine alla procreazione libera e consapevole, secondo gli auspici della legge n. 194 del 1978;
ciononostante, è pur vero che l’ultima relazione pubblicata riporta altresì dati allarmanti riguardanti in particolare la scarsa diffusione dei consultori familiari, un ancora limitato ricorso al metodo farmacologico in ottemperanza alla circolare del 12 agosto 2020 del Ministro della sanità, che indica l’erogazione in regime di day-hospital, in strutture ambulatoriali pubbliche o nei consultori famigliari, per ridurre il ricorso all’IVG tradizionale gravata da un numero maggiore di complicanze, e soprattutto l’altissima incidenza in ambito pubblico dell’obiezione di coscienza con riguardo a personale medico e non medico: basti pensare che il personale sanitario obiettore nelle regioni settentrionali rappresenta il 54,7 per cento del totale, nelle regioni centrali il 63 per cento e nelle regioni meridionali il 78,5 per cento con picchi di oltre l’85 per cento in Sicilia, l’84 per cento in Abruzzo, l’80 per cento in Puglia. Quest’ultimo dato in particolare comporta ancora oggi un’alta percentuale di strutture pubbliche che non effettuano IVG, in aperta violazione dell'art. 9 della legge n. 194: sono 11 le regioni che contano strutture ospedaliere con il 100 per cento di obiettori;
emergono inoltre gravi criticità in alcuni specifici ambiti territoriali: in Basilicata una donna su tre è costretta a recarsi fuori regione per poter accedere all'IVG; sono ben 9 le province italiane nelle quali non è possibile accedere all’interruzione volontaria di gravidanza; in Sicilia e in Calabria i tempi medi di attesa per poter accedere ad un intervento IGV sono di circa 28 giorni. Secondo il report “Mai dati” dell’Associazione “Luca Coscioni”, in Italia sarebbero 72 gli ospedali che hanno tra l’80 e il 100 per cento di obiettori di coscienza tra il personale sanitario; ventidue gli ospedali e quattro i consultori con il 100 per cento di obiettori tra tutto il personale sanitario, 18 gli ospedali con il 100 per cento di ginecologi obiettori e infine 46 le strutture che hanno una percentuale di obiettori superiore all’80 per cento;
in questo contesto, preoccupano le notizie di stampa che quasi quotidianamente riportano episodi in cui dentro le strutture ospedaliere pubbliche e nei consultori vengono riconosciuti spazi ad associazioni pro vita, veri e propri presidi anti abortisti, in cui i volontari, spesso confondendosi con il personale medico e paramedico, contribuiscono a diffondere pratiche e iniziative poco rispettose della libertà di autodeterminazione delle donne, come le cosiddette stanze di ascolto, in cui si cerca di dissuadere le donne dalla loro scelta sollecitando i medici a mostrare o sentire l’ascolto del battito fetale. Peraltro, sovente, queste associazioni usufruiscono di stanziamenti pubblici, come in Piemonte, Umbria, Lazio, Campania: si calcola che ad operare attualmente in Italia siano ben 110 realtà anti abortiste che contrastano la scelta della donna, sancita dalla legge n. 194 del 1978,
si chiede di sapere:
come il Ministro in indirizzo intenda attivarsi per: garantire una più completa e uniforme attuazione della legge n. 194 del 1978 sul territorio nazionale; rafforzare gli strumenti previsti dalla legge citata a tutela della libertà della donna di abortire in piena sicurezza anche garantendo la pratica dell’aborto farmacologico nei consultori familiari; ridurre la percentuale ancora altissima di obiettori di coscienza fra il personale medico e paramedico in servizio nelle strutture pubbliche; incrementare la diffusione di protocolli che prevedano la somministrazione di strumenti abortivi farmacologici senza necessità di ricovero; rispettare il termine stabilito per la presentazione della Relazione annuale sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978;
se non intenda inoltre attivarsi con urgenza per evitare che le strutture del SSN ospitino iniziative in contrasto con la ratio della legge stessa e con la libertà di autodeterminazione delle persone che decidono di abortire.